Nautilus n. 44 -febbraio 2025
Giocare è conoscere
di Marica Notte
L’esperienza che più si lega all’infanzia è quella del gioco. Il gioco, potremmo dire, è una fonte della conoscenza umana, al pari della sensazione e dell’intelletto che, secondo il filosofo John Locke, garantiscono validità al processo conoscitivo in sé. L’essere umano, per formulare le idee, si mette in relazione al mondo esterno primariamente attraverso i sensi, e trasforma poi il percepito in contenuti mentali attraverso il senso interno, la ragione. La conoscenza deriva dall’apprendimento che il soggetto instaura con l’ambiente. Per questo possiamo pensare che il gioco, per un bambino, abbia una funzione esperienziale fondamentale affinché possa sperimentare se stesso nel mondo e il mondo stesso. Il filosofo naturalista tedesco Karl Groos studiò le funzioni evolutive del gioco da un punto di vista comparativo e notò che gli esseri umani sono la specie che gioca di più rispetto alle altre, perché ha molte più cose da imparare, conoscere e trasmettere.
Filiera etica della salute
Nella nostra realtà contemporanea le parole non sempre vengono interpretate nel loro reale significato. Troppo spesso vengono usate o, meglio abusate, per significare interpretazioni soggettive, creando una confusione comunicativa che apre la porta ad incompatibilità di dialogo.
Per evitare ciò mi permetto una scomposizione interpretativa del titolo di quanto andrò ad esplicitare.
Innanzitutto, il termine Etica che rappresenta un “Sapere ben definito”, che non è innato, ma si acquisisce nel corso della vita, e che si interroga su cosa è più giusto fare per non crearsi un danno.
Quindi non un sapere soggettivo costruito a proprio piacimento ma una esperienza oggettiva in grado di rispondere e discernere tra ciò che ci fa bene e ciò che ci fa male.
È il fondamento del cibo come valore etico in quanto custode di una potenzialità intrinseca di bene e di male, e di conseguenza proattivo di salute e di malattia.
Filosofia? Roba da bambini!
Nel recente Come non insegnare filosofia Massimo Mugnai, docente per molti anni di Storia della logica a Pisa, racconta l’esperienza di selezione scritta e orale per l’ingresso nella classe di Lettere, indirizzo in Filosofia, alla Scuola Normale Superiore di Pisa:
“Su 120-140 compiti, quelli accettabili, negli anni dal 2002 al 2012, erano di solito non più di 12-15; meno ancora dal 2012 al 2017, anno del mio pensionamento [...]. I candidati, nella stragrande maggioranza, riassumevano in maniera stringata e piatta il manuale, per cui era difficile stabilire se avessero davvero interesse per la materia, se fossero in grado di argomentare e se avessero capacità filosofiche [...]. Quasi nessuno dei candidati era in grado di presentare e commentare un testo [...]. I candidati che prendevano voti bassi (dal 2 al 4 per intendersi) alla povertà intellettuale univano incertezza sintattica e sgrammaticature. Frequente “un” senza apostrofo seguito da sostantivo femminile iniziante con vocale; “accellerare” invece di “accelerare”, “fatisciente” per “fatiscente” ecc. Nella maggioranza dei casi si trattava di compitini striminziti di tre, talvolta due mezze facciate di fogli a protocollo, buttati giù nel totale delle sei ore messe a disposizione dalla SNS.”