Editoriale
La curiosità libera il gatto, non lo uccide
di Monica Pierulivo
Edgar Morin sul finire del XX secolo invitava insegnanti e studenti a riflettere sull'attuale stato dei saperi e sulle sfide che caratterizzano la nostra epoca, sui nuovi problemi posti alla convivenza umana da una interdipendenza planetaria irreversibile fra le economie, le politiche, le religioni, le conoscenze, le malattie di tutte le società umane. Per rendere queste sfide affrontabili auspicava una riforma dell'insegnamento fondata sul pensiero complesso.
Ma di fronte alle attuali sfide della complessità e alle fitte interconnessioni esistenti, oggi assistiamo a una proliferazione di metodi per semplificare. «Il bisogno di semplificare riguarda tutte le attività e investe tutti gli ambiti della vita sociale e politica, della medicina, della scienza, della tecnologia, della vita quotidiana» - afferma Elena Falaschi nell’intervista di apertura di questo numero. «…. Il significato dello studio in epoca contemporanea non può che essere quello che sostiene la formazione di “teste ben fatte” e non “ben piene”, menti aperte e critiche».
Da qui partiamo per un viaggio sul valore dello studio oggi, affrontando necessariamente solo alcune delle tematiche che riguardano questo grande argomento, ma con l’obiettivo di provare a comporre un quadro che dia un’idea delle sue diverse sfaccettature: dall’importanza delle esperienze di studio all’estero, al fenomeno dei NEET (Not in Education, Employment or Training), cioè dei ragazzi che restano esclusi dai contesti educativi, formativi e lavorativi, per passare al diritto allo studio nel sistema carcerario, fino all’apprendimento che dura tutta la vita e che restituisce dignità e importanza a una parte di società, quella della Terza età, sempre più numerosa e attiva.
Lo studio infatti è anche libertà. Non può essere libero un uomo che ripete a pappagallo un’intera enciclopedia di stereotipi sugli zingari, perché l’ignoranza è una padrona che si nutre delle frustrazioni dei suoi schiavi, come racconta Ascanio Celestini nel suo spettacolo “Storie di persone”.
Una di queste storie ci parla della curiosità, con una maestra che fa aprire gli occhi al protagonista: «Il detto che la curiosità uccide il gatto è falso – dice Celestini - e anzi potremmo dire che la curiosità libera il gatto e aiuta i bambini a esercitare quel senso critico che in futuro li aiuterà a capire cosa è importante per loro e cosa no».
E qui veniamo al tema dell’educazione. La nostra scuola che sarebbe deputata all’educazione dei nostri figli istruisce, quando ci riesce, ma non educa, come afferma il filosofo Umberto Galimberti. L’educazione non è solo un passaggio d’informazione, è soprattutto cura profonda degli aspetti emotivi e sentimentali. La mente non si apre se prima non si è aperto il cuore (Platone). Per accendere passioni e curiosità c’è quindi bisogno di questo e l’empatia deve far parte necessariamente del bagaglio di un insegnante.
Oggi viviamo nell’epoca della digital transformation, un nuovo paradigma che determina cambiamenti radicali all’interno delle dinamiche della società e nel modo in cui le persone collaborano, si relazionano e si esprimono. La situazione che stiamo vivendo aumenta la presenza della tecnologia, dell’uso sempre più presente di dispositivi e di schermi nelle nostre vite. Al centro di questo paradigma, tuttavia, il fattore più importante resta comunque quello umano. Se l’uomo resta il fulcro di questa prospettiva, la tecnologia non è il fine, ma il mezzo. Fondamentale in tutto questo continuare a relazionarsi incontrandosi.