Vivere in comune

di Monica Pierulivo

Dall’energia all’acqua, dalla salute all’istruzione, dai fiumi agli oceani fino al diritto all’informazione in rete. Sono tutti beni comuni o commons. Non coincidono né con la proprietà privata, né con la proprietà dello Stato, ma esprimono dei diritti inalienabili dei cittadini.
In parte sono naturali, ad esempio il clima o l’ecosistema, in parte sono il prodotto di processi sociali. Quanto più la società è complessa o artificiale tanto più i beni cognitivi e sociali diventano strategici, ma proprio perché la nostra società è immersa nella complessità, è sempre più forte l’interazione tra naturale ed artificiale, ed è sempre più decisivo l’intreccio tra beni comuni naturali ed artificiali. Questo è un punto decisivo per la definizione di strategie mirate a preservali.

Una tendenza dei nostri tempi è quella trasformare i beni comuni in beni privati, sia per semplici ragioni di sfruttamento economico da parte di soggetti e imprese private, sia per una ideologia economica che considera i commons come un problema, perché tendono ad essere distrutti dall’eccessivo sfruttamento (è la nota teoria della “tragedia dei commons” elaborata nel 1968 dal biologo D. Hardin).
In realtà la storia delle comunità ci racconta che questa ideologia che porta a trasformare i beni pubblici in privati non sempre funziona e che necessita di cambiamenti e adeguamenti.
C’è oggi bisogno di rilanciare una nuova stagione di governance comunitaria dei beni collettivi, se vogliamo salvarli dallo sfruttamento eccessivo che la sola logica privatistica del mercato porta con sé; una gestione comunitaria che deve coinvolgere tutti i livelli interessati, la politica, la società e anche il mercato, purché sia un mercato popolato da imprenditori civili e non da speculatori. La governance comunitaria dei commons è cruciale per combattere il più possibile le diseguaglianze, poiché con la globalizzazione, l’acqua, l’ambiente, l’energia sono beni estremamente importanti per lo sviluppo e per la pace. Tra il ruolo dello Stato e quello del mercato, ci può essere una terza via ed è quella che assegna un ruolo significativo alla società civile, anche in tema di economia e di impresa, fondata su un’alleanza e un patto sociale tra questi tre attori. La cosiddetta impresa sociale o civile è infatti un soggetto che è mosso da finalità sociali e solidaristiche ma che non ha come scopo il profitto e, soprattutto, senza aspettarsi grandi remunerazioni del capitale, riesce a esprimere imprenditori sociali che sanno utilizzare il loro talento imprenditoriale per gestire i commons.
In questo contesto di complessità, anche la fiducia è sicuramente un bene comune da tutelare. Un bene molto apprezzato, risultante di tante interazioni, che quando scarseggia condiziona inevitabilmente gli scambi sociali in negativo. È un bene globale che vale a livello sistemico, e allo stesso tempo locale, in quanto radicata in specifiche relazioni, campi e ambiti di attività. Oggi sembra che sia un bene sempre più fragile; proprio per questo è necessario rafforzare un nuovo rapporto di collaborazione tra cittadini e istituzioni. Nell’azione quotidiana, la valorizzazione dei beni precedentemente confinati in una dimensione di fruizione esclusiva e ora trasformati in luoghi di aggregazione, di promozione di attività culturali, sociali ed economiche, è essenziale per rafforzare il senso di comunità, il legame sociale, l’impegno civile e la partecipazione.
Ne è un esempio il caso di Gerfalco, raccontato in questo numero dal suo sindaco, “dove un bene comune e collettivo diventa simbolo di identità, di appartenenza e di chi non si arrende all'omologazione ed al conformismo” (N. Verruzzi), ma anche di Mondeggi Bene Comune, Fattoria Senza Padroni, un’esperienza che dura da più di dieci anni, e nella quale la pratica agroecologica intreccia il tema dei beni comuni emergenti (A. Ghelfi), o ancora l’esperienza dell’ex Asilo Filangieri a Napoli (M. R. Marella).  
Un tema necessariamente trasversale che ha a che fare con modelli di società di cui parliamo diffusamente negli articoli di questo numero, partendo da una questione cruciale come quella del diritto all’informazione (M. Mezza), strettamente collegato alla complessità della nostra società.