Resistere
Resistenza è molte cose, che non appartengono solo al passato. È un valore, un’impostazione, un atteggiamento che portiamo avanti ogni giorno, in diversi contesti, che ci contraddistingue e ci guida per non perdere mai la speranza, per continuare a mettersi in gioco e in discussione.
È quella, importantissima e fondamentale, di chi ha combattuto con convinzione il nazifascismo liberando il Paese da cui è nata la nostra Repubblica. La resistenza associata pertanto all’antifascismo, come scrive Francesco Catastini.
Di questa ne abbiamo parlato e continuiamo a parlarne ancora oggi, perché niente può essere dato per scontato, come dimostrano i continui attacchi a diritti acquisiti, la difficoltà all’affermazione di nuovi diritti provenienti da esigenze di una società profondamente cambiata, le censure ai giornalisti, agli scrittori, il voler mettere le mani su un potere indipendente come la magistratura, l’attacco alla nostra Costituzione.
Nel contesto italiano si assiste inoltre alla volontà, da parte di chi governa il Paese, di confondere e banalizzare i valori della democrazia e dell’antifascismo con una retorica ingannevole e mistificatrice che rimuove e rimescola la storia, provocando uno svuotamento di senso, con ricadute deleterie soprattutto nei confronti delle giovani generazioni che si disaffezionano all’impegno politico indebolendo di conseguenza i valori democratici conquistati dagli antifascisti. Lo vediamo e lo sentiamo tutti i giorni.
Uscendo dai confini nazionali, ricordiamo in questo numero altri esempi importanti di resistenza come quella in Mozambico, legata alla lotta contro il colonialismo portoghese e al faticoso processo di democratizzazione di questo paese, e le guerre a noi vicine che stanno mettendo in crisi la convivenza pacifica e il rispetto di diritti fondamentali.
Il 79° anniversario della Liberazione infatti, come ricorda Catia Sonetti nel suo articolo e come evidenziato nell’intervista a Domenico Gallo, cade quest’anno in un contesto storico, sia nazionale che internazionale, assai problematico: dalla guerra in Ucraina invasa dai russi, alla guerra nella striscia di Gaza tra esercito israeliano e Hamas che con l’aggressione terroristica del 7 ottobre ha provocato da parte del governo israeliano una risposta che ha superato tutte le peggiori aspettative.
Ci sono poi altre resistenze, sempre importanti. Quelle delle lavoratrici e dei lavoratori che combattono la precarietà del lavoro, le ingiustizie sociali, che s’impegnano in uno sforzo collettivo per cambiare i rapporti di forza nella società. C’è chi cerca di resistere alla deriva neoliberista del capitalismo e anche alla società dei consumi di massa, al trionfo del consumo e dell’iperconsumo come stile di vita, alla mercificazione dell’esistente, al potere e alla pervasività della pubblicità.
Anche le nostre città richiedono resistenza, per il modo in cui vengono pianificate e costruite, che risponde troppo spesso a esigenze di tipo economico piuttosto che a esigenze sociali tese a garantire un adeguato livello di qualità della vita. Come spiega Fausto Carmelo Nigrelli, alla base del processo di gentrificazione e privatizzazione delle nostre città in questi anni, c’è un uso della cultura trasformata in una forma di economia simbolica fondata sul turismo, la comunicazione e il consumo dove viene meno, ad esempio, il diritto all’abitare sostenibile, aumentando le diseguaglianze e una possibilità concreta e di qualità per sempre meno persone.
Non solo nelle città ma anche nei paesi, dove prevale ormai la cultura dei borghi basata in gran parte su un’economia di consumo, c’è bisogno di resistenza e di rimettere al centro gli abitanti, per garantire un diritto a una qualità della vita che non si basi solo su operazioni economiche e imprenditoriali.
C’è poi la resistenza alla crisi climatica, quella che ci obbliga a fare i conti quotidianamente con le nostre abitudini, ad acquisire consapevolezza di quanto sia fragile e interdipendente la nostra esistenza sulla terra. Resistere significa quindi ammettere questa fragilità, rendersi conto che le cose che perdiamo ci influenzano profondamente, e quindi agire per riportare quei valori che si sono persi.
Last but not the least, la scuola e la storia di chi ha scelto, come atto politico, di sottrarsi ad una «missione impossibile», se vissuta come mera resistenza individuale (Lorenza Boninu), che non si adegua a una scuola dove la conoscenza viene assimilata a semplice nozionismo, e diventa strumento di disciplinamento delle coscienze non solo degli studenti, ma anche degli stessi docenti. Si può scegliere di non accettare tutto questo e quindi di abbandonare l’insegnamento, dopo molti anni di questa professione; e anche questo “abbandono” è in ogni caso una forma di resistenza, una resistenza di denuncia, culturale e politica da costruire nella società nel suo complesso, che mira a trasmettere altri principi, altre visioni e altri sogni per una scuola che abbia al centro le persone, studenti e docenti, per un ruolo vero che stimoli la conoscenza critica, e che non si basi prevalentemente sulla trasmissione di nozioni e sull’esecuzione di adempimenti burocratici.