Il governo delle acque
Intervista a Francesco Vincenzi
(Presidente dell’Associazione Nazionale Consorzi Gestione Tutela Territorio ed Acque Irrigue)
Conoscere l’attività dei Consorzi di bonifica ed irrigazione del nostro Paese, significa comprendere le caratteristiche storiche, ambientali, paesaggistiche e agricole del territorio italiano, fortemente caratterizzato dall’opera dell’uomo per strappare terreni all’acqua e poterli coltivare, per difendersi dalle alluvioni e dai periodi di siccità, per utilizzare al meglio questa risorsa senza la quale non potremmo vivere.
L’acqua è una risorsa fondamentale e insostituibile, è vita, energia, nutrimento. Oggi la scarsità di acqua, effetto del cambiamento climatico, è probabilmente il problema più grande che dobbiamo affrontare. ANBI si occupa di gestire questa risorsa dal punto di vista dell’irrigazione, della sicurezza idraulica, della ricarica delle falde, con una struttura complessa e diffusa sui territori. Presidente, può parlarci brevemente della sua organizzazione?
L’ANBI coordina i Consorzi di bonifica e di irrigazione che sono presenti in tutte le Regioni d’Italia dalla Val d’Aosta alla Sicilia; in particolare ha il compito di guidare a livello nazionale e di fare delle proposte, sia legislative che di coordinamento. I Consorzi di Bonifica, che sono materia concorrente Stato-Regioni, dipendono da leggi regionali.
All’interno di questo quadro normativo l’ANBI assolve alla funzione di gestione idraulica nei comprensori di bonifica, assicurando gli interventi di scolo e difesa idraulica, la regimazione dei corsi d'acqua naturali, allo stesso tempo si occupa della distribuzione delle acque collettive; rispetto a questo siamo gli unici soggetti deputati nel Paese a svolgere questo ruolo. In Europa, dove non esiste un soggetto come il nostro, rappresentiamo un modello virtuoso.
Cosa gestisce l’Associazione in termini di numeri?
Gestiamo i 220mila km del cosiddetto reticolo idraulico minore e siamo presenti in ogni Regione. In alcune regioni operiamo anche nel reticolo naturale; garantiamo la sicurezza dei territori sottesi al mare o comunque laddove ci sia bisogno di sollevare l’acqua, con circa 800 impianti idrovori.
Dobbiamo tenere presente infatti che il nostro paese è un paese in buona parte artificiale come la pianura Padana.
Poi gestiamo le casse d’espansione, le irrigazioni collettive, irrighiamo 3,5 milioni di ettari di territorio.
Le società si sono sempre fondate sull’acqua, sin dalla nascita delle più antiche civiltà. L’acqua è pertanto un elemento indispensabile. La crisi idrica di oggi forse ci può aiutare a prendere coscienza dell’importanza di questa risorsa e a cambiare atteggiamento?
È proprio così. Le civiltà si sono sviluppate dove c’era disponibilità di acqua. Le grandi comunità nascevano sui grandi porti fluviali, i principali comuni italiani, le città italiane sono state fondate sull’acqua, si pensi a Terni, Bologna, Treviso e a molte altre. Nell’immaginario collettivo si tende a pensare solo a Venezia mentre le città d’acqua nel nostro Paese sono davvero molte.
Adesso cosa sta succedendo? I cambiamenti climatici stanno mettendo in forte discussione la risorsa sia in termini quantitativi che qualitativi. Con l’aumento delle temperature, la pioggia sta diminuendo ma soprattutto cade in maniera diversa, in modo più torrenziale e concentrato nel tempo e nello spazio, spesso non nei periodi più opportuni. Il problema principale quindi non è tanto la diminuzione della quantità di pioggia, che fino a oggi è piuttosto relativa, quanto questo nuovo modo di piovere, che crea e continuerà a creare danni.
Qual è la quantità di pioggia caduta degli ultimi anni?
Nella storia degli ultimi 15 anni sono piovuti mediamente 1.000 millimetri di pioggia l’anno; negli anni di maggiore siccità, che negli ultimi 20 anni sono stati 8, sono caduti tra i 700 e gli 800 millimetri, evidenziando quindi un calo non così accentuato. La nostra media nazionale è ancora più elevata rispetto a quella di altri paesi del Mediterraneo, come la Spagna e il Portogallo.
Purtroppo però, il fatto che piova per meno giorni all’anno ma con maggiore violenza, provoca gravi danni al territorio e spesso mette in pericolo anche la vita delle persone.
Le cose sono molto cambiate nel tempo. Io abito vicino al Po, se chiedo ai miei nonni qual è il problema principale secondo loro dal punto di vista idrico, la risposta è quella di “allontanare” l’acqua e non quello della sua scarsità.
Allo stato attuale è pertanto necessario cambiare paradigma. Non smetterà di piovere, ma saremo costretti a convivere con tutte e due le facce del fenomeno, quella della troppa acqua e anche quella della poca acqua. Urge avviare delle azioni che aiutino a mitigare i fenomeni estremi e che allo stesso tempo facilitino l’adattamento. Se facessimo l’errore di agire solo sulla mitigazione, l’effetto lo vedremmo tra 30 anni mentre noi dobbiamo dare risposte immediate ai cittadini. Occorre fare delle scelte e creare delle infrastrutture adeguate.
Come governare quindi questa emergenza nel breve e nel lungo periodo? Quali sono i provvedimenti da prendere e le opere da realizzare per contrastare la crisi idrica, efficientare la rete idraulica, ottimizzare l'esistente?
Non c’è una soluzione unica, ma dobbiamo prevedere delle soluzioni nel breve, nel medio e nel lungo periodo. La prima necessità è quella di aumentare la consapevolezza nell’utilizzo dell’acqua e soprattutto la cultura di come utilizzarla al meglio.
La seconda, da attuare nel medio periodo, è quella di mettere in campo azioni che ci permettano di utilizzare tutte le risorse che abbiamo a disposizione, non solo l’acqua superficiale o quella sotterranea. Un grande tema è infatti quello del riutilizzo delle acque reflue depurate, che non è stato mai trattato con lungimiranza. A questo proposito, proprio in questi giorni, stiamo incorrendo nell’ infrazione comunitaria per la non corretta osservanza della direttiva europea sull’uso delle acque reflue e su questo dobbiamo lavorare.
L’altra iniziativa necessaria nel medio periodo è l’efficientamento dell’utilizzo dell’acqua, attraverso la realizzazione di strutture smart e l’introduzione di sistemi innovativi che migliorino l’utilizzo della risorsa.
Ci sono poi gli interventi di più lungo respiro che si concretizzano con la realizzazione di opere e infrastrutture, tra l’altro già compiute in alcune Regioni. Se oggi il Sud del Paese non è in crisi è grazie alla Cassa del Mezzogiorno che ha consentito la realizzazione di investimenti capaci di “trattenere” l’acqua.
Oggi nel nostro paese tratteniamo solo l’11% dell’acqua piovana mentre il restante finisce in mare. È assurdo quindi spostare il dibattito sulla desalinizzazione, che implica spese enormi, dal momento che l’acqua ci sarebbe ma viene in massima parte dispersa. Dobbiamo pertanto aumentare il livello di trattenimento e portarlo a quello degli altri paesi europei.
Oggi la Spagna, il Portogallo, la Francia trattengono il 35% della risorsa e sono proiettati al 50%.
L’obiettivo è pertanto quello di portare il nostro livello al 35-50% nei prossimi dieci anni, allineandoci al resto dell’Europa.
Quali sono i progetti di lungo periodo da avviare per raggiungere questo traguardo necessario?
ANBI, insieme a Coldiretti, ha immaginato un progetto che si chiama Piano Laghetti, da estendere a tutto il territorio nazionale.
Parliamo della realizzazione di piccoli invasi a basso impatto, non paragonabili alle grandi dighe per l’idroelettrico, ma che siano di altissima valenza ambientale, da creare con l’utilizzo delle terre e delle rocce da scavo al posto del cemento per fare il contenimento. Tutti progetti fattibilissimi, che vorremmo realizzare avviando un confronto e un dialogo con i cittadini. Si tratta di una prima soluzione per rispondere prima di tutto alle esigenze antropiche. Oggi, agli inizi di marzo, abbiamo Comuni in Piemonte che sono già serviti da autobotti.
Questi invasi possono consentire anche la produzione di energia idro-elettrica, che comunque la più pulita; possono consentire anche l’installazione di pannelli fotovoltaici galleggianti che producono energia senza consumare suolo agricolo.
La sfida della sovranità alimentare da un lato e quella ambientale dall’altro possono essere viste in questo modo come un’opportunità e non come un problema. Se creiamo questa rete di bacini e di invasi, l’acqua la usiamo anche per creare luoghi fruibili da parte dei cittadini. Dobbiamo trasmettere un senso di positività e di fiducia. Altrimenti di limitiamo a dichiarare lo stato di calamità, di emergenza e a obbligare i cittadini a bere l’acqua dalle autobotti.
Qual è la tempistica di realizzazione del Progetto laghetti?
Stiamo valutando insieme al governo di aprire una Cabina di Regia che coordini diversi ministeri sul tema dell’acqua. Questo è un aspetto principale, un altro aspetto è la necessità di ridurre la burocrazia, che ha impedito lo sviluppo delle opere pubbliche nel nostro paese. Auspichiamo che nei prossimi giorni si mettano in campo iniziative utili all’avvio di questi progetti.
Allo stato attuale abbiamo oltre 200 progetti cantierabili, cioè che hanno completato l’iter per essere appaltati. Stiamo solo attendendo il finanziamento per dare avvio a questo grande piano, che vorrei definire come una sorta di Piano Marshall e che indicativamente richiama quanto realizzato con la Cassa del Mezzogiorno. Una grande opera pubblica che oggi riesca a dare risposte concrete e sostenibili.
Il governo delle acque storicamente ha sempre generato conflitti, soprattutto quando si tratta di armonizzare interessi e utilizzi diversi (energetico, turistico, irriguo). Il Lago Maggiore ad esempio che è il più grande regolatore di acqua del Settentrione, non produce energia elettrica ma produce un contenzioso con la Svizzera che lo utilizza a fini turistici. Come si armonizzano i diversi interessi?
La conflittualità è certa anche tra paesi transfrontalieri; oggi per i rilasci di acqua dobbiamo continuamente rapportarci con la Svizzera e la Slovenia. L’Isonzo ad esempio dipende dalla Slovenia.
La gestione di questi rapporti viene gestita attraverso l’Autorità di distretto.
In Italia c’è comunque una legge chiarissima che stabilisce le priorità sull’uso dell’acqua. Il primo è quello umano, dopo viene quello agricolo e poi gli altri. Tant’è che anche tutte le polemiche che ci sono state, i ricorsi giudiziari ecc, sono stati persi da chi pretendeva di far prevalere altri aspetti, perché l’utilizzo prioritario riconosciuto per legge è proprio quello antropico. Il dialogo comunque rimane fondamentale in queste situazioni.
Oggi siamo di fronte a un sacrificio che richiede uno sforzo enorme da parte di tutti. Occorre una sinergia e un lavoro congiunto senza “incolpare” un settore o un altro, e senza creare divisioni inutili. Quando si dice ad esempio che l’agricoltura consuma l’80% dell’acqua si dice una falsità. L’agricoltura non “consuma”, ma utilizza l’acqua perché quella non utilizzata torna nelle falde acquifere e quindi viene immessa nuovamente nel servizio ecosistemico. Occorre pertanto intelligenza e senso di responsabilità e soprattutto consapevolezza della necessità di salvaguardare una risorsa preziosa e di estrema necessità per il bene di tutti e per guardare avanti.