Chi ha paura della diversità?
Cosa c’è di strano nella diversità e perché fa così paura? Ognuno di noi è diverso dall’altro, ma spesso gli stereotipi sociali non consentono di includere e accettare quello che per noi risulta differente, rispetto al concetto di “norma” al quale sentiamo di appartenere. Ci spaventa e nel momento in cui etichettiamo qualcuno come diverso, automaticamente produciamo discriminazione.
Oggi questo tema è di grande attualità, ma lo è stato sempre nella storia e questo ha prodotto nei secoli ingiustizie, torture, persecuzioni, discriminazioni e molto altro.
Ci spaventa quello che non conosciamo e mettiamo in atto strategie difensive per evitare di entrare in contatto con la diversità. Ci manca la capacità di comprensione e tendiamo a cercare ciò che è più simile ai nostri canoni estetici, esistenziali, alle nostre credenze, come unico modello possibile di vita. Ogni altra caratteristica, anche identitaria, di genere, che fuoriesce dalla norma in cui ci riconosciamo, viene etichettata, stigmatizzata e definita “anormale”.
In questo contesto entra in ballo anche l’odio. Secondo il sociologo e filosofo Zygmunt Bauman, odio e paura sono vecchi quanto il mondo e non smetteranno di accompagnarlo. Esiste un circolo vizioso in cui si odia perché si ha paura del diverso e quella paura alimenta e rinforza l’odio, in un mondo liquido dall’individualismo sfrenato, dove nessuno è un compagno di viaggio ma tutti sono antagonisti da cui guardarsi. L’incertezza che domina la nostra società amplifica la paura del diverso e nasce il bisogno di scaricare su di un bersaglio tutto l’odio e la rabbia repressa (sia migrante o ebreo, gay o musulmano, disabile o nero).
Ma cosa significa essere diverso? Da chi e da che cosa? Da quale stereotipo? In una società complessa come la nostra, inevitabilmente interconnessa e globale, è del tutto anacronistico alzare barriere di questo tipo proprio perché è anche difficile capire dove sia la cosiddetta “normalità”, un concetto che in natura non esiste. La cosiddetta normalità di una persona riflette semplicemente attitudini, pensieri, azioni che la società e, in senso più ampio, la cultura hanno selezionato come opportuni e convenienti. La normalità rappresenta pertanto un’opzione, una scelta operata dalla collettività entro cui si è stati educati e si vive. Esistendo una pluralità di culture, ne consegue che esiste una pluralità di comportamenti ritenuti normali o all’opposto anormali, illeciti, devianti. Non esiste quindi una verità assoluta. Quella verità assoluta alla quale ci appelliamo affermando la nostra presunta superiorità rispetto ad altri popoli, alzando, ad esempio, muri e barricate nei loro confronti.
Ma in un Paese assediato di muri, pensiamo davvero che possa nascere qualcosa di nuovo? L’Europa è ormai una società che non crea e non genera, mentre il mondo è già multietnico. Fra dieci anni la sola Nigeria avrà raggiunto la popolazione dell’Europa, pensiamo che sia possibile rinchiudere queste popolazioni all’interno dei loro confini? Il Mediterraneo è un mare sulle cui sponde sono fiorite grandi civiltà basate sullo scambio tra nord e sud, è un mare che può unire e non dividere.
Invece costruiamo infinite barriere per tenere lontani coloro che sono già superiori a noi, e non solo numericamente.
Ci consideriamo portatori di verità assolute che non esistono e che impediscono qualsiasi dialogo e convivenza, perché basate appunto sulla supposizione che “noi” non abbiamo niente da imparare da “loro”.
“L’atteggiamento nei confronti della diversità deve fare i conti con il non conoscere, vale a dire con l’ignoranza: il non sapere, la mancanza di informazioni; questa ignoranza può essere gestita, vi si può voler rimediare, entrando in relazione. (M. Giovagnoli, La diversità le diversità).
La stessa considerazione possiamo farla a proposito dell’omotransfobia. Silvia Ranfagni, nel suo podcast “Corpi liberi”, cerca di combattere l'ignoranza che si nasconde dietro a un giudizio”, raccontando la sua esperienza di madre di un ragazzo non binario.
In realtà il mondo è già avanti e i cambiamenti dal punto di vista etnico, sociale, identitario sono già in atto. Anche volendo non potremmo fermare il vento con le mani, al contrario dovremmo insegnare l’importanza dell’accogliere, del contaminarsi e del comprendere.
Il concetto di diversità inoltre, è fondamentale anche per l’ambiente, per i territori, per la cultura. Un mondo differente e ricco è anche quello dove la varietà dei paesaggi, delle lingue, delle culture, della natura sono tutelate e valorizzate in quanto eredità fondamentali per combattere l’omologazione. Garantire la diversità dei viventi a tutti i livelli di organizzazione (biodiversità), è fondamentale proprio perché ciascuna specie, interconnessa alle altre, contribuisce a mantenere l’equilibrio complessivo dell’ecosistema e ad assicurare servizi essenziali per la vita.
Non è superfluo ricordare che la perdita di biodiversità contribuisce all’insicurezza alimentare, aumenta la vulnerabilità ai cambiamenti climatici, diminuisce il livello della salute all’interno della società, riduce la disponibilità e la qualità delle risorse idriche e impoverisce le tradizioni culturali e le economie dei territori (M. Letizia, A. Todini, A. Somaschini, La vita è biodiversità).