Editoriale

Comunità generative

a cura di Monica Pierulivo


Arrivando a ogni nuova città il viaggiatore ritrova un suo passato che non sapeva più d'avere: l'estraneità di ciò che non sei più o non possiedi più t'aspetta al varco nei luoghi estranei e non posseduti.
( I.Calvino, Le città invisibili)

Le città cambiano, si trasformano perché sono vive, sono fatte di relazioni materiali e immateriali che le rendono complesse e al tempo stesso affascinanti.
La città contemporanea è infatti profondamente diversa da quella novecentesca. Quest’ultima si caratterizzava per la concentrazione delle attività industriali all’interno del tessuto urbano, per la presenza di fabbriche di grandi dimensioni, per la crescente importanza dei servizi, delle infrastrutture (alloggi, strade, scuole, mezzi pubblici). Era anche una città organizzata sui tempi e sui processi rigidi dettati dalla fabbrica e da una altrettanto rigida separazione fra luogo e tempo di lavoro (la fabbrica, l’ufficio) e luogo e tempo per le attività del tempo libero. Ma questa città oramai non esiste più, o sta comunque svanendo.
Oggi, nella terza età industriale, le trasformazioni delle città hanno generato spazi ed edifici inutilizzati: ex fabbriche, ex mercati, ex depositi ferroviari, ex distillerie e molto altro.
Un fenomeno che accomuna grandi, medie e piccole città e le diverse aree geografiche del Paese. Per certi versi è uno dei tratti che unisce la città contemporanea. Questi spazi, trasformati in luoghi, sono stati sottoposti a processi di rigenerazione urbana.
Spazi vuoti senza più alcuna finalità hanno trovato nuove funzioni grazie a esigenze sociali sempre più forti, a un nuovo civismo, a giovani creativi, ad artisti, a professionisti che, a loro volta, in questi luoghi hanno maturato competenze, creato opportunità da condividere con le comunità di riferimento.

Progetti fondati su pratiche collaborative che hanno creato valori relazionali ed ecosistemi innovativi. Ci sono ormai molti casi di successo rintracciabili in ogni angolo del Paese. Le loro storie hanno origini diverse così come i contesti in cui sono maturate.
Sono progetti che ridisegnano le città senza ricorso al cemento, al consumo di suolo intervenendo allo stesso tempo sulla città materiale e sulla città intesa come organizzazione sociale e culturale, sperimentando nuovi modelli di sostenibilità economica, creando nuove centralità nella città, sulla base di progetti che, anche se promossi come individuali, diventano poi progetti condivisi. Sono spazi collaborativi che si originano da sistemi di relazioni inediti, cambiando le gerarchie e i modelli tradizionali. Per questo generano innovazione sociale e culturale. Ci sono poi gli interventi nelle periferie attraverso l’arte contemporanea. Interventi che restano al confine fra le espressioni di una nuova arte e la domanda di bellezza di abitanti, cittadini che popolano i margini. Espressioni di una lotta al degrado ma anche del bisogno di ritrovare identità collettiva, rispetto di sé, riscatto sociale. Per questo non si possono racchiudere dentro i confini della rigenerazione urbana declinata sulla dimensione fisica delle città.

Si tratta di esperienze generative, che rappresentano percorsi possibili per generare cambiamenti, per promuovere buona politica. Non sono espressioni del “rinserramento”, della chiusura nel “piccolo”, sono un altro modo di rappresentazione dell’impegno “politico quotidiano” che possono contribuire a fertilizzare un’intera comunità. E ciò che rende peculiari queste esperienze è il processo che le ha generate, i valori relazionali che hanno rilasciato alla comunità, la dimensione locale del loro agire quotidiano che genera cambiamenti e innovazione, spesso senza clamori. 
In un tempo in cui l’angoscia sociale si fa diffidenza verso l’altro, in questi luoghi si pratica un modo nuovo di lavorare, di vivere, di partecipare alla costruzione di comunità generative in città comunitariamente vissute, offrendo nuove e significative opportunità.