La cultura è salute

«…Vedemmo che, dal momento in cui davamo risposte alla povertà dell’internato, questi cambiava posizione totalmente, diventava non più un folle ma un uomo con il quale potevamo entrare in relazione. Avevamo già capito che un individuo malato ha, come prima necessità, non solo la cura della malattia ma molte altre cose: ha bisogno di un rapporto umano con chi lo cura, ha bisogno di risposte reali per il suo essere, ha bisogno di denaro, di una famiglia e di tutto ciò di cui anche noi medici che lo curiamo abbiamo bisogno...» (Franco Basaglia e Franca Ongaro)[1]

La cultura fa bene alla salute, sia nell’accezione di acquisizione di strumenti e consapevolezza e per generare cambiamento, sia come partecipazione ad attività culturali. Un’alleanza imprescindibile, necessaria a creare una giusta connessione con il mondo.
Nel centenario dalla nascita di Franco Basaglia, riformatore della psichiatria italiana e una delle figure che più hanno guidato il cambiamento nella storia del nostro Paese, è importante partire da questa consapevolezza, per declinare il tema del ben-essere sotto diversi punti di vista.
La cultura è infatti un’esperienza che agisce sulla dimensione cognitiva ed emotiva, è profondamente connessa allo sviluppo umano, alla crescita delle persone e delle comunità.
Le idee di Basaglia, che attraverso una nuova cultura e sensibilità iniziò l’opera di trasformazione della logica manicomiale eliminando le tecniche di costrizione, le camicie di forza e dei letti di contenzione, le terapie a base di elettroshock, insulina e molto altro, continuano a essere estremamente attuali, non solo nell’ambito della saluta mentale ma, ad esempio, in quello del trattamento degli immigrati, delle RSA, dello stato inaccettabile delle nostre carceri.
Il suo insegnamento più importante e più innovativo è stato quello di mettere sempre al centro l’essere umano, nella sua completezza, affrontando le contraddizioni stesse che stanno alla base dell’idea di libertà e che derivano da una cultura completamente diversa da quella prevalente del tempo.
Il ruolo di questa alleanza cultura-salute è emerso con forza durante la pandemia nel 2020, mostrando la rilevanza degli strumenti culturali, delle competenze cognitive per la resilienza delle persone al trauma, per la connessione con l’altro, con il mondo. Senza l’accelerazione dell’offerta culturale digitale e la risposta generosa degli enti di prossimità, il costo sociale di questa emergenza, seppur ancora non quantificabile nelle sue profonde ferite invisibili e nell’aumento delle diseguaglianze, sarebbe stato molto più rilevante. Dalla pandemia abbiamo imparato che siamo tutti più fragili e che le attività culturali – anche durante e nonostante la chiusura – hanno saputo continuare a essere luogo di incontro e di scambio, dove ritrovare forze ed energie.
Anche le prove cliniche e scientifiche, raccolte negli ultimi vent’anni, dimostrano che la partecipazione culturale attiva e alcune specifiche attività culturali sono fattori che favoriscono quelle che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) definisce life skill, ovvero le abilità per muoversi sulla scena della vita come lo sviluppo di valore e capitale sociale, la valorizzazione e inclusione delle differenze, la riflessione etica e il potenziamento dell’apprendimento critico.
Il premio Nobel per l’economia Amartya Sen parla in questo senso di Agency come l’effettiva facoltà di agire del singolo in base ai suoi valori e obiettivi a favore non solo del proprio benessere ma di tutta la comunità.
Oggi la stessa Oms conferma il valore della cultura per la salute con l’Health Evidence Network Synthesis Report 67-2019 (Quali le evidenze del ruolo della cultura nel miglioramento della Salute e del Benessere?), una vera pietra miliare per operatori socio-sanitari, culturali, educativi e policy maker. Questo rapporto mette a disposizione i risultati di una rassegna della letteratura scientifica e umanistica con un approccio interdisciplinare (medicina, psichiatria, psicologia, filosofia, neuroscienze, antropologia, sociologia, geografia ed economia della salute, sanità pubblica…), prendendo in esame oltre 900 pubblicazioni prodotte dall’inizio del XXI secolo, basate a loro volta su migliaia di studi. Il lavoro chiarisce come la partecipazione culturale sia un’importante risorsa capace di creare salute, sia nella dimensione della promozione e della prevenzione primaria, sia nei percorsi e nelle relazioni di cura, nella costruzione di equità e di qualità sociale. È il risultato di un lungo percorso strategico che l’Oms ha avviato nel 2013 con la strategia “Salute in tutte le politiche” dove la salute, in quanto fenomeno dinamico e complesso, non è soltanto responsabilità ed esito della Sanità, ma della interdipendenza di ogni politica, del comportamento di ogni organizzazione e di ogni individuo.
 
Da qui, la necessità di affrontare il tema della salute e del ben-essere, così ampio e complesso, con la giusta attenzione alle molteplici declinazioni che possono influenzarlo: l’informazione, la cultura alimentare, la necessità di correlare la salute umana a quella animale e degli ecosistemi in un visione olistica, il diritto a lavorare in condizioni di salute e sicurezza, l’importanza di misurare il benessere non solo sul PIL e quindi sulla capacità di produzione di beni e servizi, ma soprattutto su altri indicatori che misurino le disuguaglianze, i divari che minano la coesione sociale, la sostenibilità ambientale.

[1] https://www.culturaesalute.com/news/blog/495-franco-basaglia-e-le-medical-humanities-in-psichiatria