NavigAzioni tra locale e globale
Nautilus è una rivista mensile che non parla solo di cultura ma è cultura: nella narrazione di ciò che accade, partendo dai territori locali per spingersi e confrontarsi con altri luoghi, fisici o immateriali, si propone di raccontare le vie che la cultura intraprende attraverso le molteplici vesti con le quali si manifesta, con lo scopo di offrire una visione multidimensionale dei processi e di proporre una mappa dei problemi e delle opportunità del patrimonio e delle attività culturali.
Di volta in volta, si viaggerà nel tempo e nello spazio, cercando di costruire ponti metaforici tra passato, presente e futuro, tra locale e globale, tra centro e periferia, tra competenze diverse, tra punti di vista plurali per offrire, in ciascun numero, non una fotografia dell’esistente bensì un’immagine in movimento di ciò che sta accadendo, che sia foriera di nuove prospettive.
Sommario
Settembre 2024 n. 39
Editoriale
Famiglie
Negli ultimi 20 anni le famiglie italiane sono profondamente cambiate: oggi in Italia ci sono oltre 25 milioni di famiglie, quasi 4 milioni in più rispetto al 2000 (Istat, 2022). Oltre un terzo di queste sono persone che vivono sole – più di 8 milioni – in netta crescita rispetto a vent’anni fa (erano il 22% nel 2000). Questo aumento ha riguardato soprattutto le fasce di età centrali (25-44), prevalentemente a seguito dell’aumento delle rotture coniugali, mentre si riduce la proporzione tra gli anziani e anche tra i giovanissimi.
Un altro 30% delle famiglie italiane è costituito da coppie con figli (erano il 43% venti anni fa), e sempre più spesso si tratta di coppie con un unico figlio: è così per più di cinque coppie su dieci, mentre circa 4 su 10 ne hanno due, e meno di 1 su 10 tre o più.
Sempre negli ultimi 20 anni inoltre, le famiglie in cui vive un solo genitore con uno o più figli , le famiglie mono-genitoriali (oltre 2,5 milioni) rappresentano il 10% delle famiglie italiane (si veda l’articolo di C. Tomassini e D. Vignoli su questo numero per quanto riguarda il dato nazionale e quello di L. Ravagli per la Toscana).
Nonostante le forme che la famiglia ha assunto nel corso della storia umana siano innumerevoli- e non sempre basate sui legami di filiazione e di sangue- non c’è società che non abbia sviluppato una qualche forma di convivenza domestica in nuclei relativamente piccoli. Si tratta di una profonda necessità dell’uomo. È da questi nuclei che possono nascere spontaneamente nuove forme di convivenza, di inclusione, di progettualità, di condivisione. È dalle famiglie , nella loro diversità e mutevolezza, che partono le prime identificazioni di luoghi, di identità e di alterità. Famiglie e paesi possono essere assunti come terreno privilegiato per una lettura dell'organizzazione sociale e dei meccanismi riproduttivi di un dato sistema di valori (R. Pazzagli)...
In questo numero dedicato ai temi della famiglia, della genitorialità e dell’inclusione, ospitiamo con grande piacere la testimonianza di Luca Trapanese, Assessore alle Politiche sociali del Comune di Napoli e padre di Alba, bambina con la sindrome di down adottata nel 2018, in base all’art. 44 della legge 184 del 1983, che consente l’adozione a chi non è coniugato in alcuni casi particolari.
Trapanese, che ha una lunga esperienza nel sociale a fianco delle persone disabili e delle loro famiglie, ha raccontato la storia della sua paternità in un libro scritto con Luca Mercadante, pubblicato per Einaudi nel 2018 e intitolato “Nata per te. Storia di Alba raccontata fra noi” (dal quale è stato anche tratto un film, uscito nel 2023).
La sua è una storia conosciuta ed è significativa per diverse ragioni.
Potremmo iniziare parlando appunto della sua vita di padre della piccola Alba, oppure facendo riferimento alla sua esperienza come Assessore alle Politiche sociali in una città complessa ma anche ricca di umanità com’è la città di Napoli.
Vorrei però partire da una frase che mi aveva colpito molto, quando, leggendo qualche tempo fa un’intervista sul Corriere della Sera, la mia attenzione era stata catturata da questa sua affermazione: «liberiamo le donne dalla maternità assoluta».
La domanda che le pongo è la seguente: cosa significa genitorialità dal suo punto di vista e quanto pensa sia necessario saper descrivere oggi in modo corretto la varietà delle esperienze che caratterizzano una tale condizione?
LT Io credo che la genitorialità sia una vocazione e che non siamo tutti nati per essere genitori. È la società che ci ha imposto di avere delle regole, degli schemi: mi devo sposare e devo avere la propensione a fare figli, perché altrimenti «non è famiglia», perché se non ho il desiderio della maternità vuol dire che sono sbagliata come donna. E invece questo non è corretto. Innanzitutto, famiglia può essere tante cose, e non vuol dire generare figli per forza. Se una donna non ha l’istinto della maternità non vuol dire che c’è qualcosa di sbagliato in lei o che non è una donna. Ne parlo sempre perché quando viene raccontata la storia mia e di Alba si parla sempre della madre, e invece c’è tutto un nucleo familiare che ha fondamentalmente lasciato quella bambina, c’è un padre, ci sono dei nonni. Molto spesso però è più semplice dire «Ma che razza di madre è una madre che ha lasciato una bambina, una madre che non se ne vuole prendere carico?». Al contrario io penso che il gesto di quella donna sia stato un gesto di grande eroismo e di grande coraggio, ed anche di grande affetto e di grande maternità, perché l'ha lasciata in un luogo sicuro. La maternità non è qualcosa di innato in ognuno di noi, è qualcosa che fa parte in maniera diversa della vite delle persone, e c’è chi non sente questo desiderio.
Allenare alla vita
Essere genitori autorevoli nel mondo reale
Intervista a Alberto Pellai
(a cura di Monica Pierulivo)
La famiglia, troppo spesso, non appare luogo di amore incondizionato e di serenità ma, nei casi più estremi, anche luogo di violenza e di oppressione. Spesso all’interno delle famiglie i bambini e le bambine subiscono la repressione della propria individualità oppure vengono lasciati troppo soli. Il nuovo libro di Alberto Pellai,” Allenare alla vita”, uscito quest’anno ed edito da Mondadori, affronta il tema dell’emergenza educativa che affligge il nostro tempo, affermando l’importanza del ruolo genitoriale davanti alle sfide del Terzo Millennio.
Cosa significa allenare alla vita?
Educare un figlio è un progetto di allenamento alla vita. Appena nasce, il bambino è totalmente dipendente dai genitori, non ha autonomia e, nella relazione con gli adulti che si occupano del suo progetto educativo, dovrà necessariamente conquistare quelle abilità, quelle competenze che lo renderanno capace di gestire in modo autonomo la propria esistenza. L’età evolutiva è quel tempo in cui gli adulti devono lavorare per rendere possibile quest’allenamento alla vita, per cui un figlio poi non avrà più bisogno della sua protezione, del suo sostegno e accompagnamento, perché avrà imparato a diventare genitore di sé stesso.
Oggi questa è una sfida molto grande perché la famiglia in realtà è sola, isolata anche
rispetto al passato, c’è poca appartenenza alla comunità educante, e poi è evidente questo sdoppiamento enorme delle vite di tutti, che sono in parte dentro la vita reale e in parte dentro la vita virtuale.
In questo contesto i genitori tendono a esercitare un’eccessiva protezione nei confronti dei figli, nel tentativo di rimuovere ogni ostacolo che possano trovarsi davanti per non farli soffrire. È giusto questo?
Questa è proprio una caratteristica della famiglia del Terzo Millennio che si è data come obiettivo quello di crescere dei figli sempre felici, e ha declinato la felicità di un figlio come assenza di ogni forma di fatica, frustrazione, disagio. Il genitore quindi è sempre in prima linea nella logica di eliminare qualsiasi asperità che si possa presentare nella vita. È chiaro che questa è una mossa fallimentare perché crescere i figli per farli diventare adulti responsabili e consapevoli, non vuol dire garantire loro l’assenza di fatica e sacrifici, frustrazioni e delusioni nel loro percorso di crescita, anzi vuol dire l’esatto contrario. Vuol dire cercare il radicamento in un principio di realtà, sapere che la vita ha anche le sue zone di grande fatica e che è necessario essere preparati per rimanere in piedi con qualsiasi tempo ci sia fuori. Rappresenta pertanto un allenamento fondamentale e imprescindibile.
Il tuo ultimo libro Abitare stanca. La casa: un racconto politico uscito nel 2022, affronta il tema dei costi sociali della grande crisi legata alla casa, sempre più inaccessibile e quindi motivo di profondo malessere soprattutto per le nuove generazioni, mentre non era così per i nostri genitori. Sta diventando quindi una questione anche generazionale.
Siamo in una fase di svolta epocale, il tema della casa, che è fondamentale, è strettamente correlato a quello della rendita che ha guidato l’espansione delle città e dell’economia dalla seconda metà del ‘900 in poi. Fino a poco tempo fa di questo problema non se ne parlava così tanto, oppure se ne parlava come questione che riguardava solo gli ultimi, i più poveri. Invece, se rileggiamo la storia recente dal secondo dopoguerra in poi, ci rendiamo conto che la casa è stata proprio al centro di una trasformazione economica, culturale e sociale a seguito anche della forte promozione dell’accesso alla proprietà che è stato il veicolo di espansione del ceto medio in Italia. Anche da un punto di vista sociologico, e non solo in Italia, è un modello che è nato per promuovere la società dei consumi e della crescita illimitata ma che oggi si sta rivelando insostenibile.
La crescita delle proprietà in Italia infatti non è stata soltanto il risultato del duro lavoro delle persone, ma è stata frutto da un lato di politiche pubbliche, e dall’altro di diverse condizioni economiche tese a ridurre il divario tra salari e costi della vita. La situazione di oggi è invece diametralmente opposta: i costi abitativi sono aumentati tantissimo e se insieme a questo mettiamo l’effetto del crollo dei salari insieme alla trasformazione del mondo del lavoro, ci rendiamo conto di quanto queste difficoltà diventino sempre più generazionali. Siamo cristallizzati in un sistema che è frutto di quelle politiche economiche portate avanti dal secondo dopoguerra fino agli anni ‘80, poi si sono affermate politiche più neo-liberiste che non hanno fatto altro che peggiorare la situazione. Ho parlato di svolta epocale perché di fatto oggi stiamo assistendo alla scomparsa del ceto medio e questo è profondamente legato anche alla questione abitativa.
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Le tante famiglie italiane
di Cecilia Tomassini e Daniele Vignoli
Meno abitanti più famiglie: come spiegare il paradosso italiano? Il modello tradizionale di famiglia (coppia sposata con figli), prevalente fino all'inizio di questo secolo, è stato sostituito negli ultimi anni dalle famiglie unipersonali (fig. 1): il numero di famiglie è aumentato da 21 a 25 milioni tra il 2000 e il 2020 e il numero medio di componenti è diminuito da 2,7 a 2,3 nello stesso periodo. L'aumento delle famiglie unipersonali non è l'unico cambiamento degno di nota nelle famiglie italiane: i percorsi familiari sono sempre meno standardizzati, il matrimonio non è l'evento che segna il passaggio dall'adolescenza alla vita adulta e che sancisce l'inizio della vita sessuale e riproduttiva, il matrimonio non dura per sempre, le convivenze sono sempre più diffuse come i figli nati al di fuori del matrimonio, aumentano le coppie con un coniuge straniero o con entrambi, emergono le coppie dello stesso sesso, aumentano le coppie con coniugi che vivono separatamente, gli scioglimenti dell'unione sono più frequenti anche in età più avanzata con successive nuove unioni.
Le famiglie in Toscana
di Letizia Ravagli
Le famiglie toscane sono profondamente cambiate negli ultimi decenni a causa di grandi mutamenti di natura demografica, sociale ed economica. Nel 2022 se ne contano, secondo i dati Istat, 1 milione e 673mila, circa 104mila in più rispetto al 2011, un incremento che è legato alla crescita di separazioni e divorzi. Nel 2022 sono nati nelle famiglie toscane 21.610 bambini, quasi 11mila in meno del 2009, un calo dovuto sia alla riduzione del numero di potenziali genitori che del tasso di fecondità, soprattutto per il primo e il secondo figlio. Tra le famiglie con figli sono aumentate di oltre un terzo quelle monogenitoriali, tra le più esposte al rischio di povertà. Le molteplici crisi economiche hanno ridimensionato il reddito a disposizione delle famiglie e l'inflazione post pandemica ne ha eroso il potere d’acquisto, soprattutto se a basso reddito. Espresso in termini pro capite e a prezzi costanti, il reddito disponibile delle famiglie toscane è pari a 19.866 euro nel 2022, era 22.158 euro nel 2007. Secondo un’indagine Irpet, nel 2024, il 15% delle famiglie toscane non può permettersi di riscaldare adeguatamente la propria abitazione, di consumare carne o pesce almeno a giorni alterni o di comprare prodotti per i bambini e il 16% non potrebbe gestire una spesa imprevista di 800 euro.
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Famiglia a chi?
di Patrizia Lessi
A dover dare una definizione stricto sensu di famiglia si rischia di appiattirne l’immagine sul modello padre, madre e bambini che certo rappresenta molti dei nuclei con cui ci confrontiamo e a cui viene quasi esclusivamente opposto quello con genitori dello stesso genere o figli non consanguinei, piuttosto che le diverse e numerose realtà raccolte sotto la definizione ombrello di famiglia allargata. In realtà, nella prospettiva degli studi antropologici la questione si fa più complessa. In antropologia la famiglia può essere definita come l’insieme di due o più persone legate da un’alleanza sociale ed economica variabile nel tempo e che coinvolge la parentela percepita attraverso il sangue, il matrimonio o altri accordi. Va da sé che in quest’ottica la nozione di famiglia vari marcatamente fra cultura e cultura.
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Dèi, patrie e (soprattutto) famiglie
C’è un problema di declinazione nella triade ‘Dio, Patria e Famiglia’, tanto amata da vecchi e nuovi conservatori. La forma singolare dei tre elementi è una dichiarazione di intenti, piuttosto che una eleganza stilistica, dichiara esplicitamente una ideologia – del tutto comprensibilmente, nell’ottica dei suoi sostenitori. Assodato che di dèi adorati ce ne sono molti a questo mondo, e che le patrie, piccole o grandi che siano, proliferano alle volte anche come scatole cinesi, e che nel nome dei primi e delle seconde gli esseri umani si macellano da sempre, rimane da ragionare sul terzo elemento, quello a prima vista più rassicurante, caldo e protettivo, ossia la ‘forma-famiglia’ che oggi, e in particolare nel nostro Paese, da un lato viene evocata come il fortino da difendere e il giusto assetto sociale cui ri-tendere, dall’altro suscita spesso pensose nostalgie sul bel tempo andato, perduto per definizione, quando davvero la famiglia era un qualcosa di solido e desiderabile al confronto dei tempi attuali, tempi di disfacimento morale e lassismo strutturale.
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Scuola e famiglia un problema di interesse
L’etimologia della parola interesse è affascinante, motivo per cui almeno una volta nel corso dei cinque anni ad ognuno dei miei studenti è toccato di ascoltare un breve ma accorato pistolotto sulla derivazione del lemma dal latino interesse, essere in mezzo, essere dentro, forzando la mano essere insieme nello stesso spazio, intendendo in senso lato sia lo spazio come qualcosa di fisico sia come qualcosa di intellettivo, ideale, intangibile. Questo perché può capitare di passare ore nella stessa stanza con il corpo ma con la mente dissociata vuoi dai propri patemi adolescenziali vuoi dall’abuso dello smartphone, problema annoso che per altro vede nel rapporto con le famiglie un nodo gordiano.
Spesso si accusa la generazione Z di essere disinteressata, di aver un approccio passivo nei confronti della vita in primis, ma anche della scuola; per questo negli anni tutte le avanguardie educative si sono concentrate proprio su questo bisogno di creare un ambiente di apprendimento fisico e concettuale nel quale poter stare assieme ai ragazzi.
La forma della famiglia tra storia e identità
di Rossano Pazzagli
"Io sono dei Michelotti di Buggiano". Appartenenza spaziale e appartenenza familiare si intrecciano costantemente, definendo le coordinate della posizione di ciascun individuo: la famiglia, come il paese, costituisce il principale ambito sociale di riferimento; in più essa è la cellula elementare della riproduzione, non solo biologica, ma anche di status e condizione sociale, dunque di comportamenti e di valori. Gli ormai numerosi studi di storia e di sociologia della famiglia dimostrano che questa, oltre a rappresentare lo strumento per eccellenza dell'organizzazione sociale, costituisce anche il più importante riferimento nella sfera psicologica e sentimentale: essa è un valore in sé, per cui possiamo considerarla uno dei luoghi reali e simbolici dell'identità. Società differenti, o segmenti sociali differenti, sono strettamente correlati a tipologie e meccanismi familiari diversi. Così, famiglie e paesi possono essere assunti come terreno privilegiato per una lettura dell'organizzazione sociale e dei meccanismi riproduttivi di un dato sistema di valori.
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Luci e ombre delle famiglie coloniche
Un grande tavolo di ciliegio (aperto poteva ospitare ventiquattro persone) troneggiava nella cucina dei miei nonni quando ero piccola. Era una delle ultime testimonianze di una grande famiglia mezzadrile che ormai non esisteva più da molto tempo. Era anche un po’ un simbolo di quella che, nell’immaginario collettivo, è stata la famiglia contadina in Toscana fino al primo dopoguerra: un insieme di generazioni e nuclei familiari che vivevano sotto lo stesso tetto, nonni, figli, mogli, nipoti, tutti insieme in una “grande, bella e felice famiglia”.
La realtà come sempre è ben diversa. I numerosi studi sul mondo contadino hanno fatto emergere luci e ombre di questi aggregati. Nel corso dell’800, e fino alla prima metà del XX secolo, la stragrande maggioranza degli italiani viveva in diretto contatto con la terra e da essa traeva i mezzi per la propria sussistenza.
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La famiglia cinema
di Fabio Canessa
Conoscete “La famiglia Passaguai”? Probabilmente no, eppure è stata la serie di film più popolare degli anni Cinquanta, riempiendo le sale a tal punto che, quando usciva il sequel, era ancora in programmazione il precedente. Il padre Aldo Fabrizi (che era anche il regista), la madre Ave Ninchi e i figli Giovanna Ralli e Carlo Delle Piane divertivano con le loro disavventure le grandi platee, che si rispecchiavano in quella famiglia semplice, imbranata e affettuosa dell’Italia ingenua del dopoguerra.
Nel 1965 Marco Bellocchio esordiva con “I pugni in tasca”, anticipando la contestazione sessantottina con la storia di un matricidio. È qui che il cinema perde l’innocenza e diventa adulto, iniziando a bersagliare vizi, ipocrisie, soprusi e ambiguità della famiglia borghese.
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Le vacanze finalmente
Un racconto familiare
di Stefano Lucarelli
Introduzione
Tante le cose fatte insieme. Nella memoria mia, che in quegli anni tra il 1970 e il 1980 era memoria di tutti, il periodo di maggior frequentazione dal sapore nostrano avveniva in estate. Il Natale era una casa apparecchiata per altro: trame di sacro, profano e botti di fine anno.
In estate si partiva, si andava via, si migrava verso le terre d’origine che per noi erano stagliate oltre l’Appenino per scivolare verso il Mar Adriatico.
Parenti contadini che odoravano di melone e paglia, pane bianco mollicoso e salumi stagionati, fettuccine rugose e vino; e corse con i cugini dentro scarpate interminabili con biciclette prima, e cerotti sulla ferita saldata a sputo dopo.
Giorni e giorni dentro un nuovo linguaggio, chiamato con onore dialetto, che apparteneva solo ai miei e che con gran gioia riversavano sul tavolo del pasto tra un bicchiere e una sigaretta di trinciato forte.
La famiglia, la nostra come quella dei miei amici, era fatta di cose comuni: comuni le aspirazioni, comuni le litanie sulla scuola, sull’educazione prima di tutto e sull’attenzione allo spreco.
Nato all’inizio degli anni ’60, penso di far parte dell’ultima generazione che in Italia si è abbigliata con i pantaloni, le camicie e i maglioni smessi dai fratelli più grandi.
NELLA STIVA
LETTURE, NOTIZIE E SEGNALAZIONI
Perché facciamo la differenza?
Donatella Bramanti, Le comunità di famiglie. Cohousing e nuove forme di vita familiare, Franco Angeli, 2009
Le comunità di famiglie appaiono come una forma interessante e possibile di coniugare l'esigenza di vivere insieme e condividere un progetto di vita comune con le irrinunciabili esigenze di libertà e di autonomia proprie della modernità. Esse, inoltre, dando vita a realtà aggregate, flessibili e agili, riescono a essere particolarmente capaci di rispondere, in un'ottica solidaristica, direttamente, senza mediazioni, a una molteplicità di bisogni propri e di coloro che incontrano. Queste famiglie mostrano che è possibile vivere secondo una distinzione direttrice che coniuga il familiare e il comunitario e consente di fare esperire anche ad altri - estranei - il codice del dono e della reciprocità. Il volume propone la prima ricerca a livello nazionale sulle comunità familiari, collocandole, dal punto di vista della riflessione sociologica, all'interno del processo di morfogenesi familiare in atto nel nostro Paese.
Ameya Gabriella Canovi, Di troppa o poca famiglia. Radici, zavorre e risorse: un percorso dentro le relazioni affettive, verso la libertà Sperling & Kupfer, 2023
Quando pensiamo alla famiglia, la prima immagine che ci viene in mente è, con buona probabilità, quella di due genitori e dei relativi figli. D'altronde, oggi il concetto di famiglia è talmente interiorizzato e condiviso che quasi mai si riflette sul suo reale significato e sul ruolo che gioca nella vita di ognuno di noi. C'è persino chi sostiene di non averne una, ignorando che famiglia si è, prima di tutto, con se stessi: tutti noi, che ci piaccia o no, siamo anche la somma delle storie di chi ci ha preceduto. Proprio di questo tratta Ameya Canovi nel suo nuovo libro, partendo dal presupposto che ogni nucleo familiare è come un albero: le radici, forti oppure fragili, lo nutrono e sostengono, e i rami crescono dando origine, in alcuni casi, a foglie e frutti, in altri restando «a maggese». Insieme a coloro che sono venuti prima, quest'albero forma una foresta che può essere prospera e rigogliosa o, al contrario, poco accogliente. Trovare il coraggio di prendere il proprio vissuto e addentrarsi in quel bosco alla scoperta delle tracce di chi ci ha preceduto non è facile. Spesso, però, è l'unico modo per conoscere davvero se stessi...
Paolo Crepet, L'autorità perduta. Il coraggio che i figli ci chiedono, Adelphi 2022
Bambini maleducati, adolescenti senza regole, ragazzi ubriachi all'alba in una qualsiasi via di una qualsiasi città. Bullismo, indifferenza. Giovani senza occupazione che, invece di prendere in mano la propria vita, vegetano senza studiare né lavorare. Genitori che si lamentano di una generazione arresa, una generazione senza passioni, che sembra aver perso anche la capacità di stupirsi. Ma chi si è arreso per primo, se non i genitori stessi? Chi per primo ha smarrito lo stupore e l'indignazione? Chi, dicendo sempre sì, ha sottratto alle nuove generazioni l'essenziale, ossia il desiderio? I genitori "invertebrati", quelli che difendono i figli a priori, quelli che salvaguardano un quotidiano quieto vivere privo di emozioni e ambizioni, dove rimbomba soltanto l'elenco delle lamentele contro la società e la politica. Come se questo mondo non l'avessero creato proprio loro. Un pamphlet severo ma anche pieno di speranza, con cui Crepet ribadisce tenacemente che educare significa soprattutto preparare le nuove generazioni alle difficili, ma anche meravigliose, sfide del futuro.
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