Nautilus

NavigAzioni tra locale e globale

Nautilus è una rivista mensile che non parla solo di cultura ma è cultura: nella narrazione di ciò che accade, partendo dai territori locali per spingersi e confrontarsi con altri luoghi, fisici o immateriali, si propone di raccontare le vie che la cultura intraprende attraverso le molteplici vesti con le quali si manifesta, con lo scopo di offrire una visione multidimensionale dei processi e di proporre una mappa dei problemi e delle opportunità del patrimonio e delle attività culturali.

Di volta in volta, si viaggerà nel tempo e nello spazio, cercando di costruire ponti metaforici tra passato, presente e futuro, tra locale e globale, tra centro e periferia, tra competenze diverse, tra punti di vista plurali per offrire, in ciascun numero, non una fotografia dell’esistente bensì un’immagine in movimento di ciò che sta accadendo, che sia foriera di nuove prospettive. 

L'uomo artigiano

Sommario 

Giugno  2025  n. 48

Editoriale

di Monica Pierulivo


Saper fare: il ponte tra mente, mano e anima


Il “saper fare” rappresenta un patrimonio culturale e umano necessario, soprattutto oggi, in un’epoca in cui la manualità e i mestieri tradizionali sembrano progressivamente perdere terreno.
Prendendo spunto da L’uomo artigiano di Richard Sennett, possiamo riflettere sul valore profondo del lavoro artigianale, inteso non solo come abilità tecnica, ma come una sintesi di pensiero, sentimento e gesto manuale che costituisce un ponte tra cultura e natura, tra mente e mano.
Sennett, come racconta Marco Giovagnoli nel suo articolo in questo numero, sottolinea come l’artigiano incarni una figura che supera la dicotomia tra “homo faber” e “animal laborans” teorizzata da Hannah Arendt, proponendo invece un modello in cui il lavoro manuale è un atto di conoscenza e di creatività, un esercizio di empatia con il materiale e con il processo produttivo. Questo “fare” artigianale è un’attività che educa, che forma non solo competenze tecniche, ma anche valori e senso civico, in un’ottica illuministica che unisce cultura e istruzione tecnica.

In luoghi simbolo come il teatro alla Scala ad esempio, i maestri che stanno dietro le quinte tramandano ai giovani operatori gli antichi saperi dello spettacolo. Spettacolo che è una realtà fatta di cantanti, attori e musicisti, ma dietro il quale operano scenografi, falegnami, sarti, truccatori, tecnici delle luci e del suono, maestri collaboratori e così via. Insomma équipes artigianali che sono le prime ad essere innamorate del loro lavoro e sanno trasmettere questa passione a tutti i loro allievi....

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Come si diventa accordatore?
Ho avuto l’opportunità e il pregio di entrare in contatto con persone che gradualmente mi hanno introdotto a questo mestiere, bellissimo, dove la creatività va di pari passo con la conoscenza della meccanica del pianoforte. L’accordatura è un mestiere che s’impara da soli se si ha una determinata propensione alla musica, la cui conoscenza è essenziale, perché è importante sapere come si formano i suoni. 
Parallelamente al mestiere di accordatore, infatti, ho frequentato il conservatorio “L. Cherubini” di Firenze e ho studiato composizione per pianoforte, successivamente ho frequentato anche i corsi per direzione di coro.

La mia attività di accordatore è parallela a quella di compositore: nel ’79 iniziavo il mio praticantato come accordatore e nello stesso periodo frequentavo il conservatorio che mi ha portato a scrivere musica. Ho iniziato a fare il compositore nel ’93. 

Il mestiere di accordatore bisogna impararlo da soli dal punto di vista della formazione sonora, dal punto di vista delle azioni meccaniche da fare sulle corde, per intonarle e stabilizzarle, cosa che si può insegnare ma che ha comunque bisogno di un’applicazione giornaliera e di una manualità, perché i pianoforti non sono tutti uguali. 

Quanto sono importanti l’intervento umano e l’orecchio per l’accordatura?
Sono fondamentali: con l’orecchio si crea un’intonazione musicale che potrà essere in simbiosi con le necessità degli interpreti pianisti. Non c’è una vera e propria nomenclatura per descrivere le fasi dell’accordatura. Ognuno ha il suo stile, la sua sensibilità. I musicisti a questo proposito sono dei collaboratori essenziali dell’accordatore perché dicono, non a parole ma attraverso impressioni, quello che non trova ragione nella loro sensibilità. La collaborazione tra accordatore e musicista è un aspetto importante, è una sinergia imprescindibile e il risultato non è mai uguale. Non c’è niente di stereotipato, o meglio non ci dovrebbe essere.

Tutto questo richiede abilità, conoscenze ed esperienza. Ogni strumento ha le sue caratteristiche?

Sì, perché è materia viva. Il pianoforte è fatto di tante componenti però quello principale che crea il suono è quello delle corde e soprattutto l’abete di risonanza che dà il carattere di suono continuativo o meno. Poi c’è la qualità che stabilisce un’impronta sonora e un colore timbrico. L’accordatore ogni volta infonde la sua sensibilità nei suoni del pianoforte fino a capirne l’essenza. Tutto questo richiede molto tempo. Per fare una buona accordatura ci vogliono due o tre ore.


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Il lavoro artigiano secondo Richard Sennett

di Marco Giovagnoli

In un suo straordinario lavoro del 2008, The Craftsman, pubblicato nel 2013 in Italia come L’uomo artigiano, Richard Sennett, allievo (non ortodosso) di Hannah Arendt, prende le mosse proprio da una critica alla sua Maestra, la quale sosteneva che le solitamente le persone che fabbricano cose non capiscono quello che fanno (il riferimento primo erano per la gli esiti del Progetto Manhattan e la tragedia dell’arma atomica). Ma, ovviamente, questa dissociazione tra il fare e gli esiti del fare stesso appare in tutta la sua drammaticità nel processo ad Eichmann, dal quale emerge chiaramente che la banalità del male risiede proprio nell’ossessione nel far sì che una cosa funzioni, che il proprio lavoro venga portato a termine senza interrogarsi prima sulle sue finalità. Nei termini del ragionamento di Arendt questo è il profilo dell’animal laborans, l’essere umano dedito alla fatica routinaria, per il quale il mondo rappresenta un fine in sé; il suo opposto (e sottoposto) è l’homo faber, giudice del lavoro e delle pratiche materiali, colui che si interroga sul ‘perché’, mentre l’animal laborans concentra la sua attenzione sul ‘come’. L’ossessione per il “come” esclude l’idea di pensiero, di riflessione, che si palesano solo a lavoro compiuto e quando le conseguenze dell’azione si sono sovente del tutto tragicamente dispiegate.

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Il “saper fare” dell’artigianato tradizionale

di Massimiliano Moriconi


Stiamo assistendo oggi a cambiamenti epocali nell’ambito dell’organizzazione del lavoro e della metodologia di approccio agli sviluppi delle nuove tecnologie; soprattutto un cambiamento sulla tempistica con cui questi sviluppi si susseguono e ci coinvolgono.

Sicuramente, mentre per secoli alla persona dedita al lavoro è stato sufficiente conoscere una metodologia, applicarla e progressivamente, con il passare degli anni, acquisire conoscenza ed esperienza su quella tipologia di lavoro, oggi, e certamente dal secondo dopoguerra in poi, molto difficilmente una persona, nel completo arco della sua vita lavorativa, ha applicato solo ed esclusivamente un unico “modus operandi” nel suo mondo lavorativo.

Pertanto, oggi e nel prossimo futuro, è lecito chiedersi se, per approcciare in modo corretto ed esaustivo l’ambito lavorativo, sia sufficiente semplicemente il “saper fare”.


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Tra teoria e pratica: il valore trasformativo dell’hands-on experience nei programmi di study abroad a Firenze

di Marco Bracci


Nel dibattito contemporaneo sull’università e sul suo ruolo nella formazione delle nuove generazioni, il rapporto tra sapere teorico e sapere pratico viene spesso ridotto a una contrapposizione dicotomica: da un lato, l’accademia come luogo dell’astrazione; dall’altro, la realtà come spazio della manualità e dell’applicazione. Tuttavia, l’esperienza maturata nel corso degli ultimi 12 anni all’interno dei programmi di study abroad statunitensi a Firenze mi porta a sostenere un’idea diversa: teoria e pratica sono non solo interdipendenti, ma addirittura inscindibili. Non esiste autentico “fare” senza una riflessione che lo orienti; allo stesso tempo, ogni buona teoria si verifica nel mondo, si mette alla prova, si sporca le mani.

Nel mio approccio didattico, l’esperienza pratica non si esaurisce nel laboratorio o nel gesto tecnico, ma assume la forma di una relazione intensa e continua con la complessità del reale. Accompagnare studentesse e studenti statunitensi nel contesto fiorentino – con le sue stratificazioni storiche, economiche, culturali – significa per me costruire ambienti di apprendimento immersivo dove la città diventa estensione dell’aula, laboratorio urbano e culturale insieme. In questo senso, praticare significa leggere la realtà, comprenderla, e imparare a elaborare risposte a problemi complessi.


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L’arte di restituire vita alle carte 

di Angela Gavazzi


Inizierei con il precisare che la figura del restauratore è un ibrido tra l’artigiano, l’artista e lo scienziato; il mestiere di restauratore è cambiato moltissimo rispetto a trentacinque anni fa, quando ho cominciato la mia professione. Oggi le nanotecnologie stanno soppiantando l’approccio empirico nonostante l’intervento manuale rimanga fondamentale e imprescindibile.

In più la diagnostica specialistica ci permette di non intervenire alla cieca e ci aiuta moltissimo a prevenire” errori” di valutazione e far venire alla luce aspetti impossibili da vedere a occhio nudo (spettrografia a infrarosso e ultravioletto, multispettrale, raggi x, tera hertz finanche a tomografie assiali).

Sono molteplici i settori di specializzazione nel restauro, ma ogni restauratore dovrebbe conoscere, a grandi linee, come si interviene sia su un affresco, sia su una statua in marmo o su un manufatto in bronzo, molti dei materiali per il restauro possono essere usati per vari settori specifici. Un esempio: la velina giapponese che usiamo per il restauro della carta viene usata anche per fermature provvisorie della superficie pittorica dei dipinti a olio.

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Mani in pasta, piedi in pasta: saperi incarnati, paesaggi culturali

La tradizione della pasta in Campania  

di Annalisa Di Nuzzo - antropologa culturale (Univ. Suor Orsola Benincasa Napoli) 


Introduzione

Il cibo, in quanto bisogno primario ed essenziale dell’uomo, ha trasceso la sua funzione di semplice fonte di nutrimento, evolvendosi in infinite plasmazioni culturali che ne hanno arricchito e continuano ad arricchire il significato.  Esso si configura come un linguaggio simbolico complesso, un potente mezzo di costruzione identitaria e un luogo privilegiato della memoria collettiva.  Il cibo agisce come un costante crocevia tra la dimensione più primordiale della natura e le stratificazioni elaborate della cultura. In questo scenario vasto e intricato, pochi alimenti sono riusciti a incarnare in modo così profondo e viscerale lo spirito, la storia e l'anima di un territorio come ha fatto la pasta in Campania.

La pasta, lungi dall'essere solo un alimento quotidiano per milioni di persone, rappresenta un vero e proprio racconto.  È un rituale che si ripete, una tecnica tramandata di generazione in generazione, una memoria corporea e collettiva che affonda le radici nel profondo del substrato sociale.  In questo contesto, il corpo umano emerge come il mediatore assoluto e imprescindibile tra la natura e la cultura.  È attraverso il corpo che il bisogno primario del nutrirsi viene tradotto e sublimato in un complesso sistema di simboli, ruoli sociali e tecniche artigianali.  Le mani che impastano, i piedi che lavorano la semola, i corpi che si muovono al ritmo scandito di una tradizione secolare, costituiscono un patrimonio immateriale di saperi.  Questi saperi, non scritti ma incarnati, affondano le loro radici nella storia millenaria e nella geografia peculiare di un territorio. 


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Un navicello … carico di saperi 

Smacchiatori, mastri d’ascia, calafati, carpentieri…. in Toscana tra ‘700 e ‘900

di Cristiana Torti


Con o senza vele, lungo da 8 a 20 metri, chiglia piatta per navigare in acque basse, stazza anche di 20 tonnellate, dall’epoca moderna fino alla metà del Novecento in Toscana il navicello è stato un diffusissimo mezzo di trasporto commerciale, e ha percorso in lungo e in largo l’Arno, i suoi affluenti, i canali fino al mare. Spartano, assai economico, maneggevole, capiente, resistente, ecologico: una vela latina quando c’era vento; una pertica da premere sul fondale per spingerlo a scivolare. A ritorno, controcorrente, nei punti più difficili lo si trainava con la fune alzaia (addetti al compito i bardotti) o con animali da tiro che procedevano sulla via alzaia lungo l’argine.

Trasportava granaglie per i mulini, farina, alimenti; ma anche sabbia, pietrame, mattoni caricati dalle fornaci lungo il fiume; traghettava persone nei “passi di barca”. Tragitti brevi o medi, fermate agli scali cittadini, soste nei piccoli porti fluviali. 

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Tra coltivazione e manifattura

Il lavoro femminile connesso al tabacco

di Rossella Del Prete


La storia del lavoro femminile connesso in varie forme al tabacco è una storia che racconta insieme dell’agricoltura e dell’industria, della città e della campagna, di uomini e di donne, ma anche di adolescenti. Si tratta di una storia larga e plurale, a più dimensioni e a più voci, che a volte si incrociano e si intersecano, a volte solo si affiancano e sovrappongono. 

Tra Ottocento e Novecento, le donne impiegate nel duplice ciclo lavorativo del tabacco (agricolo e industriale) costituirono una categoria di lavoratrici italiane molto particolare: quelle impiegate nelle aziende a concessione speciale vissero a lungo una dimensione “rurale” della loro emancipazione, restando, di fatto, nel mondo contadino, pur se addette alla fase di prima trasformazione manifatturiera; al contrario, le tabacchine e le sigaraie delle grandi manifatture urbane (Torino, Milano, Venezia, Firenze) conquistarono un’autonomia economica che presto impararono a difendere con determinazione. Proprio la condizione di dipendenza dall’Amministrazione dei Monopoli di Stato conferì a tabacchine e sigaraie vantaggi e diritti inesistenti per altre categorie di lavoratrici: nella Manifattura, grande fabbrica di Stato, il salario, per quanto basso, era garantito e regolarmente elargito, inoltre, la presenza di organizzazioni sindacali, con un elevato numero di aderenti, permetteva importanti iniziative rivendicative.


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Saper fare (con) l’informatica

di Rocco Oliveto


Oggi “saper fare” non significa solo avere abilità manuali: significa sapersi muovere con intelligenza in un mondo dove il digitale influenza ogni gesto quotidiano. L’informatica non è più una competenza per pochi, ma una lingua universale. È la grammatica del presente: dalla vita quotidiana allo studio e al lavoro.

In un’epoca in cui l’intelligenza artificiale (IA) può scrivere testi, generare immagini o fornire consigli, le competenze digitali sono diventate una condizione fondamentale per essere cittadini consapevoli e attivi. Saper usare la tecnologia ci rende più autonomi, più critici, più liberi. In altre parole, citando Michele Mezza, o impariamo a essere calcolanti, cioè capaci di comprendere e governare gli algoritmi, oppure resteremo calcolati, guidati da logiche che non controlliamo.


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Saper aiutare: il disastro del Vajont e la macchina dei soccorsi

di Rossella Schiavonea Scavello


La catastrofe è un avvenimento che rompe il corso ordinario delle cose, interrompe il tempo umano e apre un baratro tra passato e presente. È rappresentata spesso come un evento fuori dalla storia, un evento atemporale, uno sconvolgimento statico e dinamico nello stesso tempo. 

La “catastrofe annunciata” invece è, se possibile, ancora più tagliente: un perpetuo déjà-vu di discorsi, frasi dette e non dette, ipotesi fatte ancor prima di vivere l’emergenza reale della situazione. Se l’impatto emotivo iniziale investe i diretti partecipanti della catastrofe, una fetta importante di uditori terzi non resta indifferente al dramma anzi usa la sfera emozionale nell’impiantare ciò che in questa sede viene definito saper aiutare

Il popolo di soccorritori non subisce passivamente la eco mediatica che si crea intorno ad un evento tragico ma si adopera nei primissimi momenti del dramma per fornire un aiuto concreto nelle operazioni necessarie – ancorché vitali – per proteggere persone, animali, cose quanto è possibile, più che è possibile. 


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Libri da mettere in pratica

di Fabio Canessa

Niccolò Machiavelli
si sforza di indagare la complessa trama dei legami che uniscono un fatto alle cause che lo hanno generato (per dimostrare quanto la storia sia maestra di vita) e incardina perciò lo stile della propria scrittura a una sintassi solidamente concatenata; Francesco Guicciardini è convinto che la causalità sia una costruzione a posteriori che ci inventiamo per rassicurarci, a conforto del tragico sospetto che il mondo sia governato dal caso, perciò scrive per aforismi sganciati l’uno dall’altro e responsabilizza tutti a non affidarsi alla programmazione del futuro.

Entrambi però credono che la letteratura debba avere un fine pratico, che non si scrive per intrattenere il lettore o per esibirsi in un ammirevole esercizio di stile. Quello che “Il Principe” sostiene deve essere provato al vaglio dei fatti, va sperimentato nella politica reale, per vedere se funziona davvero. I “Ricordi” di Guicciardini sono pensieri affidati ai discendenti familiari per istruirli a orientarsi nell’esistenza quotidiana.

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Il sapere del libraio

di Mauro Falciani e Francesca Curradi


Cosa significa fare il libraio in questo momento storico? In un momento storico in cui l’interesse per i libri è il più basso mai riscontrato. In cui i rappresentanti dei governi del mondo libero e non libero si distinguono per la loro ignoranza.
C’è ancora bisogno dei librai. Sui social ci sono migliaia di consigliatori, blogger, bookstagrammer. Penso la media sia uno ogni 10 lettori. E allora i librai? A cosa servono ancora i librai… Le librerie vere, quelle indipendenti si ergono come baluardi, avamposti fortificati di carta nelle lande ostili della non conoscenza. La multinazionale del libraccio ha asfaltato decine, centinaia di piccole librerie con la benedizione di lettori e lettrici di ogni età e fede politica. Fare il libraio oggi è una cosa quasi impossibile, molte persone, le più sono lontane dal pianeta libro ere geologiche. Ma poi improvvisamente gli astri si allineano, appare una cometa, il caos partorisce una stella danzante, e qualcuno entra, chiede, ascolta, apprezza, e questa persona con cui ho parlato va via con una borsata, due borsate, tre borsate di libri…


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Pensiero e Azione

di Simone Baleani


Nasce un’idea, cresce e si moltiplica. Poi una mescolanza. Una suggestione. Visualizzo il piatto: forme e colori, consistenze. Mi arriva l’odore e un attimo dopo è come se il palato l’avesse riconosciuto e subito masticato. Devo tradurre tutto questo immediatamente in Azione. Ingredienti-Coltivatore-Pescatore-Rivenditore.

Ho quasi tutto, mi manca come realizzare il piatto. Quali le tecniche da utilizzare? 

Abbattimento-Conservazione-Taglio-Cotture. Sono diverse le modalità di cottura per ottenere uno stesso risultato nel piatto. Dispongo poi accanto a me sul banco da lavoro, perché di lavoro artigianale si tratta nel senso più nobile, gli attrezzi necessari. Parola stra abusata ‘Artigianale’. Definirne il significato…Mahhhh c’è grossa confusione. Glottologi d’Italia necessitiamo del vostro aiuto. Alcuni attrezzi rimangono appesi perché serviranno dopo; intanto coltelli, cutter, roner, forni, macchine sottovuoto, griglie, frytop, salamandre, fornelli e poi la minuteria che acquisterà un ruolo decisivo per la riuscita del piatto. 


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NELLA STIVA

LETTURE, NOTIZIE E SEGNALAZIONI

Anna Pellegrino, Homo faber. Mito e realtà del lavoro artigiano nella società industriale. Italia, Europa e Stati Uniti , Franco Angeli, 2021



La famosa distinzione di Hannah Arendt fra homo faber e animal laborans era stata anticipata addirittura da Adam Smith, che aveva descritto il passaggio dal lavoro artigiano alla nuova manifattura industriale come il passaggio da un cittadino pensante a un essere “ignorante e stupido”, incapace di decidere dei destini della propria patria; una “bestia”, un animale da fatica, secondo Tocqueville. Sembrava allora inevitabile la fine del lavoro artigiano. Così non è stato: l’artigianato in parte è scomparso, in parte si è trasformato, in parte rinasce continuamente in nuove forme. Questa storia è stata tuttavia a lungo trascurata: solo relativamente tardi si sono sviluppati gli studi per comprendere quanto del patrimonio storico delle culture, dei saperi, dei modi di essere del lavoro artigiano siano giunti fino a noi, o direttamente, o trapassando attraverso le culture del lavoro industriale. Il volume presenta nella prima parte lo stato degli studi sulla storia del lavoro artigiano, per poi ripercorrerne l’evoluzione nei principali paesi europei (Inghilterra, Germania e Francia) e negli Stati Uniti, dalla metà del XIX alla metà del XX secolo; infine, si focalizza sul caso italiano dall’unità al fascismo.




Arthur Lochmann, La lezione del legno. Il lavoro manuale e l'etica del fare, Ponte alle Grazie 2020

 
Siamo sempre più numerosi, nel corso delle nostre vite moderne, a cambiare radicalmente traiettoria. Molto spesso è per lanciarsi in un'attività artigianale». Dopo aver studiato Filosofia e Diritto, l'autore di questo libro sceglie di diventare carpentiere. Un mestiere che «procura quella sensazione unica, essenziale, dei volumi che vanno prendendo forma sotto il cielo», restituendo a chi lo pratica «una vita solida alla quale ci si aggrappa». Quella che ci racconta è una storia di formazione dove il maestro è il legno e si impara a «pensare con le mani», e protagonisti sono i profumi delle essenze, l'inclinazione del braccio nell'atto di un taglio, il prolungamento di sé negli strumenti del mestiere, la condivisione silenziosa di spazi e gesti con gli altri artigiani... ma anche l'errore, la fatica, le vertigini, la paura. Se i margini della realtà si allentano diventando inafferrabili, se il tempo accelera al punto da non offrirci più un appiglio, la vita può ritrovare un senso riagganciandosi alla concretezza del saper fare, al gusto del risultato a regola d'arte, alla condivisione di una conoscenza tramandata ma costantemente in evoluzione perché passa dai gesti, dal corpo, dai ritmi di ciascuno. Arricchito da questa esperienza, dopo dieci anni a costruire e riparare tetti, Arthur Lochmann è tornato all'università, e ora alterna la professione di carpentiere a quella di traduttore. Immergendoci in queste pagine, da cui traspaiono con la stessa limpidezza passione per il mestiere e talento di scrittore, ci pare di essere anche noi lassù, sui tetti di un castello, dentro un campanile o sulle coperture di un edificio degli anni Cinquanta, tra i membri di un'antica e stimata confraternita di artigiani.
 


Romano Benini,
Saper fare. Il modello artigiano e le radici dello stile italiano, Donzelli, 2010

 

All'inizio del terzo millennio, l'economia è in declino e il dilemma è uno solo: quale via per lo sviluppo? Il dibattito è interamente schiacciato sul presente, ma la nostra storia può spiegarci tutto. Già la civiltà romana aveva avviato un ciclo di espansione economica basato sul diritto, sulle regole del commercio e delle relazioni umane, sulle vocazioni produttive, su una prima idea di programmazione economica. Poi tutto crollò: fine di una civiltà, fine di un'economia. Di nuovo, nei primi secoli del secondo millennio, sempre dall'Italia riparte un'espansione economica che contaminerà l'Europa per altri cinque secoli, basata sulla centralità della persona, sulle comunità locali, sull'importanza del sapere pratico, sui liberi cittadini. L'artigiano e il mercante diventano portatori di un modello economico che tiene insieme ricchezza materiale e culturale, attenzione sociale, giustizia e affermazione del merito. L'Italia, insomma, inventa il benessere: capitale economico, culturale, sociale tenuti insieme dall'etica. Finché l'artigiano viene sostituito dal cortigiano e si riavvia la decadenza. Da qui, oggi, bisogna ripartire per capire come il made in Italy e il made in Europe non derivino dalle rendite del furbo cortigiano del potere, ma dai saperi pratici, dalle comunità produttive, dalle regole condivise, dal merito. Artigiano contro cortigiano, benessere contro rendita, lavoro contro clientelismo: le soluzioni per la rinascita ci arrivano dal nostro passato.






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Giuseppe Bagni, Storia di un artigiano, Noriplos 2025
 


Amilcare è un anziano ceramista che, per distaccarsi dal mondo, si è ritirato in una casa di riposo in collina. Giacomo è un ragazzo sveglio ma chiuso in se stesso e privo di amici, anche a causa di una forma di epilessia che gli provoca crisi frequenti. I due si incontrano per combinazione quando Amilcare inizia a tenere un corso serale di disegno, nella stessa scuola che Giacomo frequenta al mattino: uno scambio di biglietti lasciati sotto a un banco sarà l’inizio di un legame di affetto profondo, che donerà a entrambi rinnovata fiducia nell’umanità. Sullo sfondo, le trasformazioni di un paese toscano che perde la sua vocazione artigianale per aprirsi al commercio della grande distribuzione, e in cui la popolazione sempre più esigua deve confrontarsi con nuovi ritmi e stili di vita.

Collaborano con noi:

Velio Abati
David Abulafia
Diego Accardo
Ilaria Agostini
Leonardo Animali
Flaminia Aperio Bella
Gennaro Avallone
Pupi Avati
Antonella Balante
Simone Baleani
Tina Balì
Katia Ballacchino
Alberto Barausse
Giuseppe Barbera
Massimo Bastiani
Alessandra Bazzurro
Patrizia Becherini
Federico Beconi
Gianluca Becuzzi
Matteo Bellegoni
Marinangela Bellomo
Stefano Benvenuti Casini
Maddalena Bergamin
Cristina Berlini
Annunziata Berrino
Jacopo Bertocchi
Giuliana Biagioli
Anna Bigi
Francesco C. Billari
Carlo Bisci
Riccardo Bocci
Antonio Bonatesta
Gabriella Bonini
Lorenza Boninu
Ermanno Bonomi
Barbara Borgi
Arianna Brazzale
Sonia Bregoli
Dario Bressanini
Alessandra Broccolini

Filippo Bruni
Daniela Bruno
Adriano Bruschi
Roberto Buizza
Marco Cadinu
Mario Calidoni
Federico Campagna
Fabio Canessa
Luciano Canfora
Maurizio Canovaro
Mathias Canapini
Luca Caprara
Enrico Caracciolo
Mauro Carrara
Adolfo Carrari
Massimo Catarini
Francesco Catastini
Alessandra Casini
Piero Ceccarini
Carlo Cecchi
Carlo Cellamare
Giovanni Cerchia
Roberto Cerri
Fred Charap
Lucia Checchia
Maddalena Chimisso
Maria Chimisso
Federica Cicu
Diana Ciliberti
Angelo M. Cirasino
Augusto Ciuffetti
Graziella Civenti
Pietro Clemente
Giovanni Contini
Ilic Copja
Paolo Coppari
Paolo Corbini
Gabriella Corona
Lauretta Corridoni
Luigi Costanzo
Marta Cristianini
Antonella Cucinotta
Francesca Curcio
Francesca Curradi
Maria D'Agostini
Giancarlo Dall’Ara
Roberto Danovaro
Simone D'Ascola

Stefano D'Atri
Claudio Davoli
Mitia Davoli
Marzia De Donno
Roberta De Iulio
Antonio De Lellis
Hervé Defalvard
Maria Carla De Francesco
Antonella De Marco
Gianluca De Vito Franceschi

Marco Del Francia
Rossella Del Prete

Sergio De La Pierre

Maurizio Dell'Agnello
Claudia Della Valle
Vezio De Lucia
Antonella De Nisco
Andreina Di Girolamo
Annalisa Di Nuzzo
Mirco Di Sandro
Federica Di Sarcina
Giusi D'Urso
Silvia Duranti
Michele Ercolini
Alessandro Fabbrizzi
Elena Falaschi
Francesco Falaschi
Mauro Falciani

David Fanfani
Paolo Favilli
Luigi Ferrajoli
Alessandra Ferrara
Maurizio Ferrari
Francesco Ferrini
Giulio Ferroni
Maria Fiano
Simone Ficicchia
Gianluca Fiorentini
Silvia Fioretti
Antonio Floridia
Giovanni Luigi Fontana
Fiore Fontanarosa
Sergio Fortini
Marina Foschi
Sara Franceschelli
Tiziano Fratus
Francesca Gabbriellini
Nicola Gabellieri
Alessandro Gagliardi
Sarah Gainsforth
Domenico Gallo
Beatrice Galluzzi
Roberta Garibaldi
Danilo Gasparini
Maria Pia Gasperini
Angela Gavazzi
Catia Eliana Gentilucci
Manuela Geri
Andrea Ghelfi
Vera Gheno
Cristina Ghirardini
Manuela Giobbi
Stefano Giommoni
Andrea Giotti

Marco Giovagnoli
Beatrice Giovannetti
Paolo Giovannini
Massimo Giuliani
Antonella Golino
Chiara Gorini
Vittorio Graziosi
Corradino Guacci
Jennifer Guerra
Luciano Guerrieri
Sara Guiati
Alfonso Maurizio Iacono
Barbara Imbergamo
Paola Imperatore
Fabio Indeo
Matteo Innocenti
Marco Jacoviello
M. Cristina Janssen
Anna Kauber
Sabrina Lallitto
Ingrid Lamminpää
Mario Lancisi

Giuliano Landini

Patrizia Lattarulo
Gianluca Lentini
Giovanna Lenzi
Emanuele Leonardi
Rosario Lerro
Toby Lester
Marta Letizia
LIBERA
Norberto Lombardi
Vincenzo Lombardi
Donatella Loprieno
Micaela Lottini
Leonardo Lovati
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Michele Lungonelli
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Giuseppe Lupo
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Marco Marchetti
Maria Rosaria Marella
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Michele Mariani
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Marco Masoni
Luigi Mastronardi
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Paolo Mazzucchelli
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Michele Mezza
Serena Milano
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Antonio Monte
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Massimo Morisi
Marco Moroni
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Alessandro Moscatelli
Nicoletta Moschini
Museolab6
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Alessandra Narciso

Sasha Naspini
Fausto Carmelo Nigrelli
Simonetta Noè
Marica Notte
Franco Novelli
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Rocco Oliveto
Francesco Orazi
Michele Padovano
Sergio Paglialunga
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Gianni Palumbo
Vito Palumbo
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Caterina Paparello
Letizia Papi
Vincenza Papini
Roberto Parisi
Valeria Parrini
Giorgio Pasquinucci
Antonello Pasini
Alberto Pellai
Ivan Pereira
Giulia Perfetto
Camilla Perrone
Matteo Petracci
Marco Petrella

Paolo Pezzino


Gloria Peria
Paolo Piacentini
Leonardo Piccini
Manuel Vaquero Piñeiro
Vittorio Pineschi
Alessandra Pioggia
Piombino gioca
Carlo Pistolesi
Daniela Poli
Elena Pontil
Anna Pramstrhaler 
Federico Prestileo
Gabriele Proglio
Chiara Daniela Pronzato
Alberto Prunetti
Fernanda Pugliese
Lorenzo Ramacciato
Omerita Ranalli
Sofia Randich
Silvia Ranfagni
Letizia Ravagli
Giuseppe Restifo
Fabrizio Ricciardelli
Marina Riccucci
Eraldo Ridi
Andrea Rolando
Rudy Rossetto
Florindo Rubbettino
Antonio Ruggieri
Enrico Russo
Paulina Sabugal
Severino Saccardi
Rita Salvatore
Giampiero Sammuri
Giacomo Sanavio
Giuseppe Santarelli
Antonio Santoro
Claudio Saragosa
Stefano Sarzi Sartori
Iride Sassi
Luca Sbrilli
Cinzia Scaffidi
Enzo Scandurra
Vincenzo Scaringi
Matteo Scatena
Rossella Schiavonea Scavello
Nicola Sciclone
Anna Segre
Francesco Serino
Salvatore Settis
Alessandro Simonicca
Federico Siotto
Lorenza Soldani
Albertina Soliani
Alessandra Somaschini
Catia Sonetti
Francesco Sottile
Gianna Stefan
Enrico Tabellini
Marco Tagliaferri
Alberto Tarozzi
Cecilia Tomassini
Emidio Ranieri Tomeo
Nicholas Tomeo
Cristiana Torti
Aurora A. Totaro
Luca Trapanese
Laura Trappetti
Agata Turchetti
Giulia Ubaldi
Elisa Uccellatori
Franco Vaccari
Olimpia Vaccari
Gianpiero Vaccaro
Giorgio Vacchiano
Federico Valacchi
Daniele Valeri
Maurizio Vanni
Giorgio Vecchio
Francesco Vincenzi
Daniele Vignoli
Daniele Vergari
Elio Vernucci
Nicola Verruzzi
Marco Vichi
Francesco Viegi
Carmen Vitale
Angela Vitullo
Marta Vitullo
Alessandro Volpi
Paolo Volpini
Massimo Zamboni
Andrea Zanetti
Enrico Zanini
Ilaria Zilli
Donato Zoppo
Massimo Zucconi