Nautilus
NavigAzioni tra locale e globale
Nautilus è una rivista mensile che non parla solo di cultura ma è cultura: nella narrazione di ciò che accade, partendo dai territori locali per spingersi e confrontarsi con altri luoghi, fisici o immateriali, si propone di raccontare le vie che la cultura intraprende attraverso le molteplici vesti con le quali si manifesta, con lo scopo di offrire una visione multidimensionale dei processi e di proporre una mappa dei problemi e delle opportunità del patrimonio e delle attività culturali.
Di volta in volta, si viaggerà nel tempo e nello spazio, cercando di costruire ponti metaforici tra passato, presente e futuro, tra locale e globale, tra centro e periferia, tra competenze diverse, tra punti di vista plurali per offrire, in ciascun numero, non una fotografia dell’esistente bensì un’immagine in movimento di ciò che sta accadendo, che sia foriera di nuove prospettive.
Editoriale
Gli invisibili
…Quando si grida alla difesa delle “radici” solo per guadagnare voti sfruttando i problemi creati dall’immigrazione… (M. Bettini, Radici. Tradizione, indentità, memoria, 2016)
C’è un esercito di invisibili nel mondo, circa un miliardo di persone, in gran parte sans papiers, che non avendo carta d’identità, passaporto o altri documenti di riconoscimento, sono esclusi dalla società. Un’invisibilità giuridica che preclude l’accesso al lavoro e ai diritti sanciti dalla nostra Costituzione: i diritti di cittadinanza dei bambini, l’istruzione, l’inserimento lavorativo, le cure mediche, l’inclusione nello spazio urbano.
La condizione dei lavoratori stranieri “invisibili”, ossia dei sans papiers ma anche dei migranti che, seppur regolarmente soggiornanti, svolgono occupazioni precarie e a rischio di sfruttamento in settori quali quello domestico o in agricoltura, permette di riflettere criticamente sulla situazione dei migranti oggi in Europa e nel nostro Paese, sulla possibilità di successo dell’universalismo che fonda la rivendicazione dei loro diritti.
Oggi in Italia sono 5,3 milioni gli stranieri residenti nel nostro paese, che rappresentano il 9% della popolazione complessiva. Per oltre il 70% sono cittadini non comunitari. Persone che studiano, lavorano e contribuiscono a creare il contesto sociale ed economico del Paese.
Questa è la fotografia che emerge dall’ ultimo rapporto "Cittadini stranieri in Italia" del dicembre 2024, un’analisi statistico-demografica curata dall’Organismo nazionale di coordinamento per le politiche di integrazione (Onc) del CNEL.
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Il circolo interculturale Samarcanda è una realtà che opera a Piombino e in tutta la Val di Cornia da quasi trent’anni. Nel suo atto costitutivo all’art. 2 si legge: il circolo Samarcanda è un’organizzazione democratica multietnica, antirazzista e non violenta, autonoma e senza fini di lucro, impegnata nella costituzione di una società multietnica e pluriculturale, libera dal razzismo e da ogni forma di intolleranza. La sede del Circolo, che oggi si trova in Via Carlo Pisacane n.64, è condivisa con Arci Comitato Territoriale Piombino Val di Cornia Elba – APS ed è costituita da 3 uffici, una postazione per il Servizio Civile e un ampio salone centrale dove tenere riunioni, incontri o svolgere attività.
Le attività principali che svolge sono legate allo sportello Informativo Immigrati, un punto di riferimento per le comunità straniere, mediazione linguistica su richiesta della scuola, dell’Asl o di chiunque ne abbia bisogno, attività di doposcuola, campi solari, corso di italiano L2 (alfabetizzazione adulti), alla promozione del confronto interculturale.
Di Samarcanda e del ruolo che svolge nel territorio della Val di Cornia, che comprende i comuni di Piombino, Campiglia M.ma, San Vincenzo, Suvereto e Sassetta, ne abbiamo parlato con Vittorio Pineschi, presidente dell’associazione, Eraldo Ridi membro del consiglio direttivo e con Chiara Gorini, presidente di Arci Piombino Val di Cornia.
Chiedo a Vittorio Pineschi un inquadramento generale di questa realtà, quando è nata, il contesto che l’ha generata e le attività che l’hanno caratterizzata sin dall’inizio.
Samarcanda nasce formalmente nel 1998 come “associazione di associazioni” perché all’epoca il fenomeno migratorio era agli albori e noi, che eravamo nel consiglio direttivo del circolo locale di Arci, insieme alla CGIL e alla Caritas, eravamo tre associazioni che stavano tentando di intercettare i bisogni degli immigrati. Invece di aprire quindi tre sportelli informativi diversi, ci prendemmo la briga di creare uno sportello unico, che realizzammo in via Pacinotti 12 a Piombino, gestito appunto da noi insieme a CGIL e a Caritas, quest’ultima rappresentata allora da Don Sebastiano Leone mentre il primo rappresentante CGIL fu Luciano Francardi. Siamo andati avanti per un po’ di tempo in tre con un’ottima collaborazione, poi alla fine abbiamo assunto direttamente noi tutta l’attività di sportello. All’epoca ci autofinanziavamo per pagare gli addetti allo sportello.
Oltre a questo, abbiamo portato avanti fin da subito progetti e attività interessanti di tipo culturale, perché favoriti da una ridotta quantità di pratiche amministrative da svolgere, ci potevamo dedicare a pieno organico a cogliere la sfida culturale che gli immigrati portavano. Era il tempo del progetto Porto Franco, promosso dalla Regione Toscana dal 1999 che portava con sé una visione e un’apertura molto alta, teso a creare una rete tra istituzioni e società civile per affrontare questo fenomeno, nuovo per l’Italia.
Fata morgana
Come nel celebre passatempo da tavolo, ovvero Il gioco dell’oca, il destino di migliaia di persone in fuga da guerre, povertà, instabilità politica, riscaldamento globale, è basato unicamente sulla fortuna. Un lancio di dadi inesatto che dopo anni di sacrifici rischia di riportare tutt* al punto di partenza. Gli sguardi che vorticano giornalmente attorno a noi inquadrano volti dagli occhi che interrogano. Il gioco dell’oca riflette la circolarità della Storia, le guerre costanti, le spirali di violenza che spesso tornano a galla tra propagande, opportunismi, filo spinato (mai fuori moda). Non mancano i corpi, come quello di Amira, ad esempio, che dentro al campo sfollati di Bab Al Salam (Siria) indossa un cappello con la scritta Happy. La bambina non sorride, non piange, ma guarda e chiede, forse, di vedere.
Un altro mondo è possibile
Che sia un deserto o un mare a separare milioni di donne e uomini dalla legittima aspirazione ad una vita migliore, il risultato non cambia dinnanzi a un sistema malato, che consuma vite umane come fossero combustibile fossile e che aziona la grande macchina del capitalismo.
Un sistema apparentemente schizofrenico che, da una parte rende quasi impossibile e spesso mortale il viaggio da Sud verso il Nord del Mondo, dall’altra, che si tratti delle grandi farm del Nord America piuttosto che dei campi di pomodoro del nostro Paese, ha bisogno di queste lavoratrici e questi lavoratori.
La riflessione potrebbe dunque virare su un argomento spesso taciuto, ovvero svelare come l’Occidente sia artefice, negli ultimi decenni, di un meccanismo perverso, che scarica tutti i costi della riproduzione sociale sul Sud del Mondo laddove viene “selezionata” manodopera giovane, forte e a basso costo, per destinarla alle produzioni più dure e faticose delle nostre produzioni (i famosi “lavori” che gli italiani non vogliono più fare).
Nuovi abitanti
Il messaggio che viene da Riace
di Rossano Pazzagli
Collegare accoglienza e rigenerazione comunitaria, migrazioni e rinascita delle aree interne. È questo il valore dell’esperienza di Riace, rappresentata dal sindaco Domenico Lucano. Quella di Mimmo Lucano, per quattro volte sindaco e ora anche parlamentare europeo, amato dalla sua gente e odiato dai politici cattivi alla Salvini o alla Piantedosi, è la storia di un uomo generoso e di un politico buono, promotore del “modello Riace” e di una nuova e proficua idea di accoglienza e di solidarietà. Dal 2007, accogliendo consapevolmente dei kurdi sbarcati, è riuscito a trasformare un paese della Locride, rimasto con pochi abitanti e in via di ulteriore spopolamento, in un luogo vivo, dimostrando che è possibile dare risposte positive e inclusive al tema storico delle migrazioni. Indagato e condannato per “accoglienza pericolosa” è stato alla fine riconosciuto innocente, anche se le persecuzioni “governative” nei suoi confronti continuano, al punto che Giorgia Meloni l’ha definito sprezzantemente “l’idolo della sinistra immigrazionista”.
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Migrare è dover tutelare la propria esistenza
di Marica Notte
Vorrei solo vivere una vita dignitosa e libera (F.L., 21 anni, dall’Etiopia, soccorso in mare a novembre 2023).
Che modo di vivere è questo? (M., 25 anni, dalla Sierra Leone, soccorso in mare a luglio 2023).
Rischiamo la vita lottando per un futuro migliore (ragazzo bangladese di 25 anni soccorso in mare ad agosto 2024).
L’unica opzione che avevo era partire (ragazzo siriano soccorso in mare ad agosto 2024)
Queste sono soltanto alcune delle testimonianze che Emergency ha raccolto durante l’operazione di salvataggio nel Mediterraneo chiamata Life support[1].
Nella terza enciclica “Fratelli Tutti”, Papa Francesco pronuncia queste parole: «Da soli si rischia di avere dei miraggi, per cui vedi quello che non c'è; i sogni si costruiscono insieme. Sogniamo come un'unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa stessa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, tutti fratelli!». Il Papa la definisce un’enciclica sociale perché chiama le coscienze di tutti noi a renderci fratelli l’un l’altro. Purtroppo, la realtà che ci è sotto gli occhi mostra tutt’altro e questo invito etico sembra essere confinato a una utopia.
Italiani all’estero: i conti che non tornano
6.134.100: tanti erano i connazionali iscritti all’Anagrafe degli italiani all’estero (AIRE) agli inizi del 2024. Il 10,4% rispetto alla popolazione residente nel Paese. Alla stessa data, circa 827.000 più degli stranieri ufficialmente residenti in Italia, il 9% della popolazione. Questi i dati ufficiali, superati da quelli più recenti, si possono considerare in qualche misura sottostimati rispetto alla realtà effettiva. Non sono pochi, infatti, coloro che eludono l’iscrizione all’AIRE per non perdere le prestazioni sanitarie e, sull’altro versante, coloro che sono stati spinti nella clandestinità dai criteri sempre più restrittivi di concessione del permesso di soggiorno e della residenza agli stranieri.
Il numero degli iscritti all’AIRE, in questo primo quarto del nuovo secolo, si è praticamente raddoppiato, con una progressione costante che non ha conosciuto pause nemmeno a seguito delle restrizioni della mobilità internazionale imposte dalla pandemia da Covid19; essa è diventata più decisa, anzi, proprio negli ultimi anni.
Emigranti di ieri e di oggi
L’importanza di non dimenticare il passato
di Ilaria Zilli
Le grandi ondate migratorie che a partire dall’800 hanno cambiato i destini di intere comunità in Europa e nel nuovo mondo sono stati uno dei temi “classici” della riflessione storiografica e non, sia in Italia che all’estero. Così come “classici” (e in quanto tali credo noti a tutti) sono stati i grandi dibattiti che hanno appassionato una intera generazione di studiosi su quali fossero state le cause di questo esodo massiccio: se espulsive (la grande miseria delle nostre campagne) o attrattive (le grandi ricchezze e potenzialità di riscatto, vere o presunte, offerte dai paesi di destinazione). O anche su quali fossero poi state, non solo e non tanto le loro conseguenze economiche e sociali nei paesi d’origine, ma quelle sulle economie dei paesi in cui si erano trasferiti. Questo flusso inarrestabile di persone, che ha segnato in modo indelebile la storia dell’Europa contemporanea, ha condizionato infatti in egual, se non in maggior misura, la storia dei paesi che li hanno accolti, anche se oggi sembrano tutti dimenticarsene. Pensiamo a cosa sarebbe stata la conquista del “west” degli Stati Uniti senza i milioni di uomini e donne provenienti dai paesi europei e dal lontano oriente che contribuirono alla costruzione delle ferrovie, delle strade, estrassero minerali e metalli preziosi dalle miniere, coltivavano i nuovi territori e contribuirono a consolidare, non solo l’economia americana, ma a costruire un modello culturale e sociale in cui le diverse tradizioni si fusero di fatto, anche se non sempre pacificamente, in quel famoso melting pot che per più di un secolo e mezzo ha rappresentato un punto di forza del modello americano.
Migrazione d’amore: una realtà in crescendo
La migrazione per amore è un fenomeno sociale che è emerso a partire dagli anni Novanta ed è definito come la ricerca e il consolidamento di una relazione sentimentale transnazionale. Attualmente, il fenomeno si colloca nel contesto di una società globalizzata in cui il consumo e le nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione hanno un ruolo fondamentale (app di appuntamenti, piattaforme per videochiamate e chat, ecc.). Di conseguenza, c'è stata una notevole trasformazione dei modelli e delle relazioni affettive nella società moderna e con ciò è cambiato anche il concetto di amore.
L'esplorazione dei progetti migratori degli individui che sono emigrati per amore – prevalentemente donne – ci pone di fronte alla complessità e alla diversità delle situazioni migratorie, poiché pongono apertamente l'esistenza di motivazioni per migrare che trascendono il modello che attribuisce alle migrazioni solo una motivazione economica e/o politica.
Immigrazione, fatto sociale totale
di Gennaro Avallone
Che cosa significa emigrare? In accordo con gli studi del sociologo algerino Abdelmalek Sayad emigrare significa cambiare tutto nella propria vita, in quella dei propri affetti e, più in generale, all'interno del contesto territoriale da cui si va via. Secondo questo studioso, l'emigrazione è un fatto sociale totale. Essa agisce su tutte le dimensioni dell'esistenza, non è riducibile a una sola di esse. Questo significa che l'emigrazione non può essere compresa semplicemente come un dato esclusivamente economico, politico o individuale. Essa investe la vita associata nella sua complessità. E lo stesso vale per l'immigrazione: anche essa è un fatto sociale totale.
In realtà, Sayad ha indicato la necessità di non separare l'emigrazione dall'immigrazione, che costituiscono i due risvolti dello stesso fenomeno: è, in altri termini, l’emigrazione-immigrazione a costituire un fatto sociale totale.
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Il progetto Albania e l'Umanesimo post-bellico
Dopo la Seconda guerra mondiale si contano numerosi documenti da parte delle organizzazioni internazionali che parlano in nome e a vantaggio dell’umanità, ricordo solo la Costituzione dell’Unesco (1945), la Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo (1948), le Convenzioni di Ginevra (1949), lo statuto della Corte criminale internazionale (1998); a queste si aggiungono le Costituzioni nazionali come quella italiana.
Oggi l’Umanesimo è tornato attuale perché si è riaperto, in maniera drammatica e in forme del tutto nuove, il problema della condizione umana»[1].
Sennonché in questi giorni da più parti si legge e si scrive del fallimento diplomatico dell'Europa, della sua mancata nascita come soggetto politico internazionale, di una Europa che forse non è mai nata; da ultimo si è votato il riarmo funzionale, si è detto, ad una pace che forse sarà frutto della paura e non dell'umanità.
Allo stesso tempo, in tema di immigrazione, quasi in contraddizione con la non esistenza di una figura unitaria di Europa, tutti i Paesi europei si sono, certamente nell'ultimo decennio, mossi all'unisono verso la creazione di quella che viene normalmente chiamata "fortress Europe".
Il Mediterraneo e le radici emigratorie delle golondrinas
Marzo 1891 – marzo 2025: 134° anniversario dal tragico naufragio del piroscafo Utopia
La leggenda narra che quando l’ultimo avamposto arabo in Europa, il sultanato di Granada, cadde sotto i colpi della Reconquista spagnola ad opera congiunta dei Regni di Castilla e di Aragona, ai mori che non vollero convertirsi al cristianesimo non rimaneva far altro che fuggire verso il mare. Su un irto sperone montuoso, durante la fuga, si fermarono, guardarono per l’ultima volta la loro città e Boabdil, Muhammad XI, ultimo sultano della dinastia dei Nasridi, si voltò per un ultimo sguardo al suo dominio perduto, alla magnificenza de la Alhambra, alle distese meravigliose della verde vallata che la circondava, pianse perdutamente e sospirò: “Ahh Granada!”. Da qui il nome di quella località, El suspiro del moro, da cui si osserva Granada da una parte e il Mediterraneo dalla parte opposta; il mare quale elemento liberatore o via di fuga per la salvezza o per nuove, insperate, avventure.
Il territorio di San Giorgio Albanese prima e dopo la migrazione degli Albanesi in Calabria
di Rossella Schiavonea Scavello
1. Dall’età protostorica al X secolo d.C.
S. Giorgio Albanese sorge sul versante settentrionale della Sila Greca, situato su un’altura che si affaccia sulla Valle del Crati e sulla Piana di Sibari, tra due fiumare alle falde della Serra Crista di Acri. Il comune si estende per 22,68 km2 e ha un’altitudine massima di 428 m s.l.m. L’arrivo dei primi esuli albanesi funge da spartiacque per lo studio del paesaggio su lungo periodo del territorio pertinente a S. Giorgio. Vi sono dati d’archivio, bibliografia e fonti orali che informano di una frequentazione dell’area a partire dall’età del Bronzo. In contrada Pantanello, sono stati individuati alcuni frammenti ceramici pertinenti al Bronzo Finale/Prima età del Ferro. Questi manufatti sono oggetti ceramici di vario tipo, tra i quali si notano un frammento di vaso con ansa a nastro, due frammenti di tazza carenata, tre fuseruole, due frammenti di anse e un vasetto miniaturistico (Scavello 2006-2007, p. 78 e pp. 118-122).
CPR in ogni regione: anatomia di un fallimento umanitario
L'autunno 2024 sanciva anche per le Marche l'adozione di un Centro di Permanenza per il Rimpatrio, destinato ai cittadini stranieri irregolari in attesa di esecuzione di provvedimenti di espulsione. L'ufficializzazione a mezzo stampa individuava in Falconara Marittima (AN) la sublimazione nostrana della parabola governativa "almeno uno per ogni regione". Una parabola disancorata dalla realtà che vorrebbe diffusamente normalizzato il modello della detenzione amministrativa, mentre la società civile ne denuncia l'inconfutabile dimensione deontologicamente e giuridicamente lesiva.
I CPR in Italia sono attualmente 10, dislocati su 8 regioni[1]. Già Centri di Permanenza Temporanea (L. 40/1998 c.d. Turco - Napolitano), poi Centri di Identificazione ed Espulsione (L. 189/2002 c.d. Bossi - Fini), tutto fuorché nonluoghi, i CPR (L. 46/2017 c.d. Minniti - Orlando) in quanto spazi sintetizzano una stratificazione identitaria rilevante sul piano diacronico e amministrativo: essi raccontano come pratica del confinamento, modello detentivo, approccio emergenziale siano metodi e strumenti costanti per il governo dell'immigrazione nel nostro Paese.
NELLA STIVA
LETTURE, NOTIZIE E SEGNALAZIONI
Barbara Sorgoni,
Antropologia delle migrazioni
Carocci, 2022
Il Novecento è stato spesso definito l'età dei rifugiati. Ma chi sono i rifugiati? Più precisamente, come si diventa rifugiati o, al contrario, "clandestini"? E che cosa distingue i migranti di ieri dai rifugiati di oggi? Invece di assumere queste categorie come dati di fatto capaci di spiegare le attuali traiettorie di mobilità, il libro ne analizza l'origine, i molteplici usi e i diversi significati politici, giuridici e simbolici che hanno assunto nel tempo. Adottando una prospettiva antropologica e ricorrendo alle tante ricerche etnografiche già prodotte sul tema delle migrazioni forzate, nel Sud e nel Nord del mondo, il volume riflette criticamente sulla legittimità di mantenere separate tra loro le presunte tipologie di spostamento (regolari/illegali, volontarie/forzate, economiche/politiche), sugli effetti che queste distinzioni esercitano sulla nostra comprensione della realtà e, soprattutto, sull'impatto che hanno nella vita di chi migra e in quella di chi resta.
Stefano Allievi, Diversità e convivenza. Le conseguenze culturali delle migrazioni, Laterza 2025
Siamo nomadi in un universo mobile. Niente è statico, e tutto è in relazione con tutto. Per questo dobbiamo ripensare il nostro modo tradizionale di vedere noi stessi, la società, il mondo, la vita.
Le migrazioni sono un fatto, che piaccia o no. E la presenza di un numero significativo di immigrati comporta un cambiamento radicale delle società che li accolgono. La pluralità – culturale, identitaria, religiosa – va conosciuta, indagata e affrontata. Di più: il conflitto non va temuto. Va riconosciuto, accettato, governato. Al di là dello schierarsi pro o contro, del sostenere l’una o l’altra posizione politica sul tema dell’accoglienza o della cittadinanza, quali sono le implicazioni delle migrazioni e della mobilità umana? Qual è l’orizzonte verso il quale stiamo andando, quali gli scenari che si aprono, le difficoltà che dovremo affrontare, le soluzioni a disposizione? Quel che è certo è che non possiamo permetterci di sottovalutare le conseguenze della pluralità culturale e religiosa che caratterizza aree sempre più vaste del mondo. In questo libro, le analisi e le riflessioni di uno degli studiosi più accreditati sui temi delle migrazioni e del multiculturalismo.
Emmanuel Todd, La sconfitta dell’Occidente, Fazi 2024
La sconfitta dell’Occidente, a cui fa riferimento il titolo di questo saggio dello storico e sociologo francese Emmanuel Todd, è duplice. Si tratta infatti di una sconfitta esterna, la guerra in Ucraina, ma soprattutto di una sconfitta interna: il declino demografico, morale ed economico delle società occidentali. Todd chiama in causa le classi dirigenti dell’Occidente, in primis quella degli Stati Uniti, con il conflitto russo-ucraino a fare da lente di ingrandimento e a contrapporre, secondo l’autore, una Russia stabilizzata, di nuovo grande potenza, a un Occidente in preda al nichilismo e in crisi irreversibile di egemonia. Utilizzando le risorse della sociologia, dell’antropologia e dell’economia, Todd pone a confronto le “oligarchie liberali occidentali” con la “democrazia autoritaria russa” per spiegare le ragioni profonde dei cambiamenti geopolitici in atto. In particolare, offre una lettura acuta e originale dei punti di forza e di debolezza dei due paesi in guerra (Russia e Ucraina), dei principali paesi occidentali (Stati Uniti, Regno Unito, Germania e Francia), dei paesi scandinavi e dell’Europa orientale, senza dimenticare il resto del mondo nel suo complesso. I lettori ritroveranno qui gli elementi che hanno sempre reso unici e preziosi gli studi di Todd: l’analisi dei modelli familiari e delle statistiche demografiche ed economiche, la scrittura brillante, un’erudizione non comune e intuizioni geniali.
G. PALUMBO, L’Utopia tra le nebbie della memoria. Appunti di un naufragio, Marotta&Cafiero Editori, Napoli, 2024
Un piroscafo, l’attraversamento del mare di Alborán, l’ultimo pezzo di Mediterraneo arrivando a Gibilterra, una tempesta più o meno improvvisa, metà della Royal Navy mal ancorata nella rada del porto del protettorato inglese, una manovra azzardata del capitano John McKeague, la spinta improvvisa del mare sull’ariete sottomarino di una corazzata inglese, lo squarcio a poppa. È così che affonda Utopia, piroscafo della Compagnia di navigazione inglese Anchor Line, la sera del 17 marzo del 1891. Trasportava emigranti dalle regioni del Mezzogiorno a New York. Era iniziata la grande emigrazione italiana verso il continente americano. L’utopia di un sogno che s’infrange tra i marosi a Gibilterra. Un lungo silenzio durato centotrent’anni prima del riaccendersi dell’attenzione per una tragedia remota che ha sepolto quasi seicento uomini, donne e bambini. La storia di questo drammatico naufragio è riemersa da un’imponente mole documentale ricercata in archivi di mezza Europa, arricchendo e sovvertendo la scarna narrazione bibliografica sul tema.
Collaborano con noi:
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