NavigAzioni tra locale e globale
Nautilus è una rivista mensile che non parla solo di cultura ma è cultura: nella narrazione di ciò che accade, partendo dai territori locali per spingersi e confrontarsi con altri luoghi, fisici o immateriali, si propone di raccontare le vie che la cultura intraprende attraverso le molteplici vesti con le quali si manifesta, con lo scopo di offrire una visione multidimensionale dei processi e di proporre una mappa dei problemi e delle opportunità del patrimonio e delle attività culturali.
Di volta in volta, si viaggerà nel tempo e nello spazio, cercando di costruire ponti metaforici tra passato, presente e futuro, tra locale e globale, tra centro e periferia, tra competenze diverse, tra punti di vista plurali per offrire, in ciascun numero, non una fotografia dell’esistente bensì un’immagine in movimento di ciò che sta accadendo, che sia foriera di nuove prospettive.
Sommario
Maggio 2023 n. 23
Editoriale
Beni comuni, beni di tutti
La scarsità nella società dell’abbondanza
In una società che consuma troppo e spreca molte delle sue risorse più preziose, parlare di un concetto come la scarsità sembra un paradosso. Ma il problema esiste ed è sempre più pressante, causato spesso da una mancanza di cura, di attenzione, da scelte sbagliate e spesso ingiuste, da comportamenti non ponderati adeguatamente.
Oltre ai problemi ambientali che affliggono il pianeta, si parla sempre più di liste di attesa, carenza di personale, pronto soccorso in tilt, tagli alla sanità e, di conseguenza, aumento della spesa privata.
Le scarsità che caratterizzano i nostri tempi non riguardano solo i beni fisici e materiali ma anche quelli immateriali, che tendiamo a dare per scontati, che consideriamo inesauribili, come afferma Marco Giovagnoli nel suo articolo “Esaurire l’inesauribile”.
Rende bene l’idea Massimo Panicucci con la sua bella illustrazione di copertina che rappresenta una clessidra inserita in un’architettura a forma di tempio, a simboleggiare qualcosa di sacro, il tempo, percepito in diminuzione progressiva nel corso degli anni, si veda il grafico disegnato sotto il timpano della struttura classica. Festina lente, affrettati lentamente, era una delle massime preferite dall’imperatore Augusto che indicava la giusta combinazione tra velocità e tempo, tra il realizzare e pensare. Ma oggi siamo sopraffatti dalla mancanza di tempo. Mentre non ci risparmiamo a smanettare con lo smartphone abbiamo infilato la nostra vita nel tunnel dell’andare sempre e comunque di corsa.
Tornando all’illustrazione di copertina, in alto, sopra la struttura, una bilancia contenente cibo evidenzia gli squilibri alimentari della società contemporanea, tema affrontato da Cinzia Scaffidi in questo numero, evidenziando il paradosso esistente tra la ricchezza delle risorse naturali e le storture prodotte dall’economia capitalistica e consumistica.
Troppo a pochi, poco a troppi, una situazione paradossale in cui abbondanza e scarsità convivono senza incrociarsi...
L'insostenibile sostenibilità dello sviluppo
Intervista a Maurizio Pallante
di Monica Pierulivo
Maurizio Pallante si occupa di sostenibilità ambientale ed è fondatore nel 2007 del “Movimento per la decrescita felice”. Nel suo ultimo libro, “L’imbroglio dello sviluppo sostenibile”, apre una riflessione su argomenti di grande attualità legati ai significati profondi di ogni parola e sulla necessità di un cambio culturale e antropologico sempre più necessario per garantire il futuro del pianeta e dell’umanità
Iniziamo dal concetto di sostenibilità ambientale, può spiegarne il significato?
È un concetto che mette in relazione la specie umana con la biosfera. La biosfera, attraverso la fotosintesi clorofilliana, produce annualmente una certa quantità di risorse rinnovabili. Se l’umanità consuma più risorse rinnovabili di quelle che vengono rigenerate con la fotosintesi, il suo rapporto non è sostenibile. Attualmente, secondo i dati elaborati dal Footprint Institute, entro la fine di luglio vengono consumate tutte le risorse rinnovabili rigenerate dalla biosfera. Ma non tutti i popoli ne consumano la stessa quantità. In Italia l’Earth overshoot day cade nel mese di maggio, negli Usa a marzo, nel Qatar addirittura a febbraio e questo è molto significativo.
Per parlare di sostenibilità è dunque necessario che l’umanità diminuisca il consumo annuale delle risorse rinnovabili.
Un secondo aspetto è legato all’emissione delle risorse di scarto, in parte biodegradabili. Quelle non biodegradabili, che non possono essere assorbite dalla fotosintesi, si accumulano nel ciclo del'acqua, nell’aria, nei suoli, basti pensare alle masse di plastica che galleggiano in tutti gli oceani.
Prendiamo in considerazione le emissioni di anidride carbonica. La fotosintesi unisce anidride carbonica e acqua creando uno zucchero semplice, il glucosio, di cui si nutrono prima le piante, poi, attraverso le catene alimentari, tutti gli altri esseri viventi. Il prodotto di scarto della fotosintesi è l'ossigeno. L’umanità e tutti gli esseri viventi, con la respirazione assorbono ossigeno ed emettono anidride carbonica mentre la fotosintesi assorbe anidride carbonica ed emette ossigeno.
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Salvare le foreste per salvare noi stessi
Intervista a Giorgio Vacchiano
Ricercatore in gestione e pianificazione forestale presso l’Università Statale di Milano
1) La deforestazione costituisce uno dei nove “limiti planetari”, termine usato per indicare i confini entro i quali noi esseri umani possiamo operare in sicurezza, senza nuocere agli equilibri del pianeta. Il suo libro si intitola "La resilienza del bosco": può spiegare perché le foreste sono così importanti per rendere il nostro pianeta più resiliente e quali sono i pericoli della deforestazione?
Le foreste rendono resilienti sia il pianeta sia la specie umana. Nei confronti dell’uomo, anche se non ce ne rendiamo conto, le foreste forniscono dei benefici diretti.
La nostra qualità di vita dipende dalla loro integrità. Uno dei benefici più importanti è l’assorbimento di anidride carbonica: ne assorbono circa un terzo (il 29% delle emissioni climalteranti), attraverso la fotosintesi. Non è chiaramente tutto, ma si tratta di un contributo fondamentale per il contrasto al cambiamento climatico. Non esiste nient’altro al mondo, né di naturale né di tecnologico, che abbia tassi di assorbimento di CO2 tali.
La fotosintesi è un’attività biologica e dipende, pertanto, dallo stato di salute della pianta: se c’è uno stress per la siccità o qualche disturbo, come un incendio o una tempesta di vento, così come nel caso di rimozione voluta, con la deforestazione, il riassorbimento rallenta o si ferma.
Uno studio pubblicato nel 2021 è riuscito a mappare i flussi di anidride carbonica tra le foreste e l’atmosfera su tutto il pianeta, dimostrando che molte di esse hanno smesso di assorbirla o addirittura ne emettono a loro volta.
Nella parte sud dell’Amazzonia, infatti, questo si verifica per via della combinazione letale tra deforestazione e siccità (fenomeni che si rafforzano a vicenda). Sono più gli alberi che muoiono di quelli che crescono, e così la decomposizione e la combustione del legno producono anidride carbonica in atmosfera.
Gli alberi, tuttavia, non devono essere visti solo come strumenti di assorbimento della CO2. Le nostre case sono ricche di prodotti derivati dalla foresta: basti pensare agli oggetti di legno e di carta che possediamo, nonché ai cibi presenti nel nostro frigorifero (funghi, frutti di bosco o castagne per esempio)...
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Esaurire l’inesauribile
Quella di scarsità è certamente un’idea dinamica, influenzata da fattori come lo spazio e il tempo, dalla dimensione fisica come da quella immateriale, dal posizionamento sociale e dalla struttura delle opportunità, dalle conoscenze disponibili come dai sistemi morali dominanti.
Nello spazio fisico la percezione della scarsità (e dunque dell’esauribilità) è abbastanza facilmente rappresentabile: il petrolio, il carbone, l’uranio, il litio, per quanto in un primo momento abbondanti sono per definizione non rinnovabili (almeno sulla scala temporale umana) e dunque man mano che vengono utilizzati sono destinati, prima dell’esaurimento, alla scarsità.
Ovviamente su questa percezione premono diversi fattori: ad esempio la tecnologia, per cui alcuni attuali metodi estrattivi del petrolio erano inimmaginabili al tempo de I limiti dello sviluppo e dunque hanno spostato un po’ più in là quei limiti stringenti – l’attuale struttura dei prezzi sta lì a dimostrarlo, dove contano molto di più le strettoie geopolitiche, emozionali e speculative che quelle estrattive; inoltre, da molto tempo chi è abituato a riempire a (tutto sommato) basso costo il serbatoio della propria muscle car percepisce la questione in maniera del tutto diversa (o più semplicemente non la percepisce) da chi prova a forare gli oleodotti delle multinazionali per spillare una tanica di gasolio a rischio della propria incolumità.
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Scarsità sociale
Può sembrare strano, in un periodo storico in cui la questione ecologica si colloca al centro delle politiche nazionali e internazionali, ponendo in evidenza la scarsità delle risorse fisiche necessarie alla riproduzione del modello di sviluppo dominante, affrontare il problema della scarsità di risorse dal punto di vista della scarsità sociale.
Pure mai come oggi la legittimazione dei sistemi politici dei paesi sviluppati deve affrontare una conseguenza contraddittoria del proprio sviluppo. Quella di avere suscitato aspettative diffuse che il sistema non è in grado di soddisfare. Laddove tali aspettative si imbattono in un limite che non si può attribuire solamente alla scarsità di risorse fisiche.
Per meglio dire. La scarsità di risorse fisiche è palese e quindi si presenta come limite con cui è inevitabile far di conto (carenza di acqua, di gas). Di conseguenza risulta ovvio biasimare chi tiene il rubinetto aperto o il gas acceso al di là della stretta necessità. Meno ovvio risulta biasimare coloro i quali, soddisfatte in misura sufficientemente sobria le necessità primarie di beni materiali, puntano a soddisfare un bisogno di protagonismo o ad occupare posizioni di leadership nel sistema sociale di appartenenza.
La scarsità del suolo e la città
Quando si pensa alla scarsità viene in mente il suolo. Il suolo infatti è una risorsa fondamentale per la vita sulla terra e conseguentemente per la vita dell’uomo. Il suolo è l’interfaccia attiva fra il mondo della materia attualmente inerte (perlopiù studiato dalla geologia) e il mondo della pellicola vitale, della biosfera, (studiato dalla biologia e dall’ecologia). Nella sinergia fra le caratteristiche della roccia madre e il mondo della vita si sviluppa, in tempi lunghissimi, una pellicola sottilissima fatta di una complessa interazione fra organismi e i minerali della roccia madre.
I fattori che influenzano la pedogenesi (pedologia, la scienza che studia i suoli) sono molteplici: i caratteri del corrugamento della superficie del pianeta (la pendenza dei terreni, la configurazione dei rilievi, l’esposizione dei versanti rispetto alla radiazione solare); il clima caratteristico di un luogo; le precipitazioni meteoriche che agiscono sia nei processi di fertilizzazione (attivando sviluppi chimici naturali), ma anche nei processi di erosione e soprattutto di accumulo di materiali fini e di sostanze nutritive (minerali e biologiche)...
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Una risorsa scarsa: lo spazio
La scarsità è un concetto relativo. Così, anche la disponibilità di spazio è strettamente correlata all’andamento della popolazione, alla sua densità piuttosto che alla sua quantità; agli stili di vita e ai comportamenti economici più che al dato numerico. Il ‘900 è stato a livello mondiale un secolo di crescente urbanizzazione, tanto che nel 2009 la popolazione delle città ha superato quella rurale.
Anche in Italia il processo di concentrazione urbana ha generato spopolamento delle aree rurali, accentuato dalla conformazione della penisola, prevalentemente collinare e montuosa e da un modello di sviluppo polarizzante in termini di attività produttive e servizi, basto prima sull’industrializzazione e poi sulla terziarizzazione dell’economia e dell’occupazione, trascurando l’agricoltura e le altre attività legate al territorio e alla natura. Ciò ha generato squilibri e disuguaglianze, in particolare tra aree spopolate (essenzialmente rurali) e luoghi a forte concentrazione come le città, le conurbazioni, le coste.
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L'abbondanza della natura, la scarsità dell'economia
Parlare di scarsità senza darsi una mappa, un perimetro, porterebbe a perdersi perché è una parola che spalanca troppe porte e che assume il suo segno – positivo o negativo – dal complemento di specificazione che la segue.
Diamoci un ambito, quello della relazione tra natura ed esseri umani e del principale risultato di questa relazione: il cibo.
Sulla questione della scarsità la natura e l’essere umano sembrano parlare lingue inconciliabili.
La natura conosce e agisce il linguaggio dell’abbondanza. Con i semi contenuti in un solo pomodoro si può coltivare un intero orto nella stagione successiva. Con i semi ricavati da un’unica pannocchia si può produrre il mais necessario per un’intera famiglia. Un centimetro cubico di suolo sano può contenere svariati milioni di microrganismi. E lo stesso vale per un centimetro cubico di acqua di mare.
Finché gli esseri umani hanno vissuto il loro essere natura, lo hanno accettato, riconosciuto e su questa consapevolezza hanno basato i loro pur complessi comportamenti, hanno fatto tesoro degli insegnamenti dell’abbondanza. E in regime di abbondanza non ha senso l’avidità.
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Economia di Pace e scarsità
Il concetto di scarsità credo si debba contestualizzare all'interno dell'attuale economia di guerra capitalistica. Analizzo in estrema sintesi la scarsità sotto tre aspetti: lavorativa, di tempo, relativa ai beni comuni. La creazione artificiale di scarsità del lavoro è necessaria ad indurre le persone ad accettare lavori malpagati e spingerle ad impegnarsi in una produttività competitiva. La disuguaglianza stimola un senso di inadeguatezza che induce le persone a lavorare più a lungo per guadagnare più reddito per comprare cose inutili al fine di aver riconosciuta un po' di dignità. In questo senso, la disuguaglianza crea una scarsità artificiale di benessere.
La pubblicità o propaganda di regime del capitalismo col suo fare ammiccante apparentemente innocuo o solo fastidioso è sostanzialmente violenta e crea un senso artificiale di carenza: non possediamo abbastanza, non siamo alla moda, non siamo sufficientemente belli.
Scarsità artificiale di tempo. Il poco tempo libero lasciato a chi lavora induce a pagare/delegare altre persone o strutture per fare quello che si potrebbe fare da soli: cucinare i pasti, pulire e mantenere la propria casa, giocare con i bambini, assistere gli anziani.
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La giurisdizione come "risorsa" scarsa: verso una giustizia più sostenibile
di Maria Pia Gasperini
La crisi di funzionamento della giurisdizione statale è dato tanto conclamato (in Italia e non solo) da essere continuamente oggetto di interventi da parte del decisore politico, spinto dall’esigenza di rendere effettivo il diritto di ognuno ad un processo equo che assicuri tutela entro un termine ragionevole (art. 6 CEDU). È altresì diffusa la consapevolezza che il fenomeno dell’eccessiva durata dei processi non possa essere contrastato unicamente con interventi “a costo zero” sulla disciplina strettamente procedimentale, bensì vada affrontato anche mediante azioni finalizzate all’adozione di nuovi modelli organizzativi delle strutture di supporto al giudice.
Nelle riforme processuali intervenute negli anni più recenti (da ultima, la cd. riforma Cartabia del 2022) si avverte, peraltro, la spinta verso un cambio di paradigma culturale che attiene al più generale approccio al tema dell’accesso alla giustizia, e alla visione complessiva dell’attività giurisdizionale.
Non è siccità, l'acqua è ormai un bene scarso
di Luca Martinelli
Quando presento il libro “Pane buono”, che ho scritto con Laura Filios per Altreconomia, uno degli elementi che colpiscono di più il pubblico è come i nuovi i panificatori, i fornai artigiani del XXI secolo, siano tornati a chiedere ai propri clienti di prenotare il pane. Alcuni mi hanno raccontato quasi l’indignazione delle persone di fronte a questa richiesta, un’emozione alimentata dall’abitudine di trovare sempre tutto, nei banchi panetteria dei supermercati dove - spesso - si promette il pane caldo (o appena sfornato) tutto il giorno. È una riflessione sulla scarsità a più livelli quella che mi trovo a condividere, anche se quello a cui stiamo assistendo è semplicemente il ritorno a un modello in cui anche io sono cresciuto, quando in campagna il fornaio passava a consegnare un filoncino di pane che era stato prenotato il giorno prima.
Tutti ormai abbiamo però preso un’altra abitudine, che è opportuno è urgente abbandonare. Per tre ordini di motivi: il primo è strettamente legato a quel pane, prodotto utilizzando farina o più farine di qualità, farine agricole, in una relazione virtuosa costruita con il cerealicoltore biologico, basata anche su accordi di prezzo che esulano da quelli stabiliti alla Borsa di Bologna, che in Italia fa fede sul prezzo dei cereali, o a quella di Chicago. Ecco: quella farina, frutto di un anno di lavoro, che ha ottenuto il giusto riconoscimento economico, non ha senso sprecarla.
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Il naufragio del piroscafo Utopia del 1891
Tra scarsità di conoscenza, mood politico condizionante e asfittica ricerca delle fonti
di Gianni Palumbo
Nella storia dell’umanità nomade, errante, che migra per tanti e differenti motivi, ogni naufragio - antico o recente - è causa di dolore.
Dolore generato anteriormente dalla drammaticità dell’evento, sovente premonitore di sottrazione di vite umane; evento che disarciona esistenze, seppellisce vite, sottrae al mondo di chi esiste. Nei naufragi avvenuti durante l’epoca delle grandi migrazioni, uno, in particolare, è stato mediamente dimenticato, quello del piroscafo inglese SS Utopia della compagnia Anchor Line che il 17 marzo del 1891, con a bordo oltre 800 migranti di terza classe (tranne tre viaggiatori “di cabina”), quasi tutti italiani, si inabissa poco prima delle colonne d’Ercole[1].
Il piroscafo Utopia, dopo anni di viaggi tra Glasgow e gli States viene sottratto alla navigazione per la quale era stato concepito e, montato un motore al posto delle vele, viene aggiunto a servizio esclusivo del mercato dei migranti nel Mediterraneo. L’Utopia naufragherà durante una drammatica tempesta, all’ingresso del porto di Gibilterra, causando quasi 600 vittime[2].
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Elogio della scarsità
di Fabio Canessa
“Se ciò che hai/ fosse quello che ti resta/ da un naufragio/ sopra un'isola deserta.../ Grideresti di gioia/ di
avere una coperta,/ di avere pelle addosso/ ed un bottone d'osso/ e un berrettino rosso,/ una cannuccia,/
un temperino nelle tue mani”.
Così Renato Rascel esaltava la scarsità in una canzone degli anni Settanta ispirata al Padre Brown di Chesterton, un autore convinto che la felicità e la cultura siano nemiche
dell’abbondanza. La gioia della conquista rispetto alla noia di avere tutto, il piacere della scoperta rispetto alla paralisi di trovarsi impacciati di fronte a pareti fitte di libri, dischi e dvd.
La rete è una miniera infinita di testi, film e musiche a nostra disposizione: solo le canzoni che possiamo trovare su Internet sono più di 30 milioni ed è stato calcolato che, per ascoltarle tutte, dovremmo campare 228 anni senza mai dormire e
sempre con l’orecchio incollato al web.
Le opere d’arte che i grandi musei italiani, dagli Uffizi a quelli di arte contemporanea, non possono esporre per mancanza di spazio e giacciono invisibili nei magazzini sono quasi
5 milioni...
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Meno biblioteche, più disuguaglianza
di Monica Pierulivo
Fondare biblioteche è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito..(M. Yourcenar, Memorie d’Adriano)
“Le biblioteche sono luoghi che rendono gli uomini uguali: donne e uomini. Giovani e vecchi. Neri e bianchi. Poveri e ricchi. Italiani e stranieri” - afferma Antonella Agnoli, consulente per progetti culturali e bibliotecari, in un suo articolo del 2019 poco prima dell’esplosione della pandemia. “Ciascuno con il suo libro, il suo giornale, il suo film, la sua musica ma insieme. Questa è la comunità reale, la comunità vivente che crea la biblioteca…”
Dopo l’esperienza pandemica, la necessità di promuovere e ricreare ambienti e occasioni di socializzazione e relazioni è emersa con maggiore forza e le biblioteche da questo punto di vista rappresentano dei luoghi fondamentali.
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NELLA STIVA
NOTIZIE E SEGNALAZIONI
Approfondimenti, convegni, pubblicazioni
Letture
L'imbroglio dello sviluppo sostenibile, di Maurizio Pallante, 2022, Lindau edizioni, pp. 125
Un inganno consapevole si cela dietro il concetto di sviluppo sostenibile. Pallante lo denuncia.
Maurizio Pallante lo dice senza mezzi termini: il tanto decantato “sviluppo sostenibile” è soltanto un inganno.
Una società che ormai basa la propria economia sulla continua produzione di beni in gran parte superflui e sul loro consumo sfrenato, come può pensare di conciliare la crescita economica, seppur calmierata, con una diminuzione di inquinamento e sovrautilizzo di risorse naturali?
È chiaramente un controsenso.
Eppure, da decenni, i governi di tutto il mondo si incontrano in assemblee che risultano fallimentari, perché non adottano decisioni necessarie e risolutive, ma tentano di tenere in vita un modello economico che ha raggiunto il punto di non ritorno in termini di sostenibilità.
Le occasioni per invertire il senso di marcia ci sono, ma le stiamo perdendo tutte, a cominciare dal bonus del 110%: un’ottima idea, che però si sta rivelando molto mal gestita.
Maurizio Pallante, teorico della decrescita felice, ancora una volta individua una parte importante della soluzione al problema ambientale nella riduzione degli sprechi di energia, risorse e materiali, in una vera raccolta differenziata, in politiche che abbiano al centro il bene del pianeta, e non uno sviluppo economico travestito da finto ambientalismo.
La resilienza del bosco, di Giorgio Vacchiano,
Modadori, 2019, pp. 216
Le storie che Vacchiano racconta parlano di piante, boschi, foreste, ma soprattutto di noi, di come sapremo immaginare il nostro futuro in relazione all'ambiente che ci circonda.
Siamo abituati a pensare che le foreste siano statiche, che stiano lì, immobili, da sempre. Ma non è così. Semplicemente vivono, e cambiano, a un ritmo più lento del nostro. C'è, tuttavia, un momento in cui abbiamo la possibilità di apprezzarne il cambiamento, e, ironia della sorte, è proprio quando vi si abbatte una calamità o, come si dice in ecologia, un «disturbo». Che sia un incendio, un'alluvione, un'eruzione, ciò che segue non è l'estinzione totale. Al contrario. Disturbi di questo tipo sconvolgono un ecosistema, ma al tempo stesso aprono la strada a nuove specie animali e vegetali. Come le orchidee, ad esempio, che muoiono all'ombra fitta degli alberi, ma proliferano nei terreni aperti e assolati. O come le aquile, che battono le foreste disastrate perché, senza gli alberi, godono di maggiore visibilità sulle prede a terra. Ed è proprio questa capacità di adattamento, questa naturale resilienza, ad accumunare i boschi e le foreste che Vacchiano ha incontrato durante la sua attività di ricerca e i suoi viaggi, e che racconta in queste pagine. Una resilienza acquisita grazie a milioni di anni di lenta evoluzione, che però potrebbe non bastare di fronte alle pressioni e ai cambiamenti estremamente repentini a cui stiamo sottoponendo la nostra casa comune da un secolo a questa parte. E quindi? Vacchiano indica una strada. Dal parco nazionale di Yellowstone negli Stati Uniti alla foresta pluviale delle isole Haida Gwaii nell'Oceano Pacifico, fino alla piemontese Val Sessera, ogni bosco rivela storie di connessioni: tra alberi e alberi, tra alberi e animali, tra alberi e acqua, o aria, o fuoco. Tra alberi e uomini. E anche, tra uomini e uomini. Dimostrando quanto siamo immersi negli ecosistemi che ci danno la vita. Siamo in relazione con ogni loro elemento. Che ne siamo consapevoli o meno, noi siamo una loro causa e un loro effetto.
Abbondanza e scarsità nelle economie sviluppate
Per una valorizzazione sostenibile dei prodotti alimentari invenduti
di Andrea Segrè e Luca Falasconi,
Franco Angeli, 1° ediz. 2022, pp.240
L'economia produce dei surplus mentre la società, o più precisamente una parte di essa, risulta in deficit. A fronte di un'offerta di prodotti, che per le ragioni più varie rimangono invenduti, esiste una domanda che potrebbe essere alimentata proprio con quei beni. Si tratta allora di mettere assieme - anche fisicamente - il deficit con il surplus, la scarsità con l'abbondanza, per riequilibrare localmente ogni piccolo sistema all'interno degli stessi mercati alimentari tradizionali. Se si riuscirà ad ottenere, ed è l'obiettivo concreto di questo studio, tale incrocio non genererà una condizione di equilibrio in senso strettamente economico. Le transazioni non sono monetarie: i prodotti invenduti vengono donati. In questo scambio entrano a pieno titolo anche attori diversi dalle imprese for profit e dai consumatori con potere d'acquisto: le organizzazioni no profit e le persone sottonutrite, beneficiarie di tale azione. Inquadrata nell'economia del dono e della solidarietà, la gestione sistematica degli invenduti viene qui concepita come l'erogazione di un servizio per i fornitori-produttori (imprese commerciali) e per i clienti-utilizzatori (enti assistenziali), coniugando l'approccio metodologico economico-aziendale con quello socio-assistenziale.
Il progetto Everyday.eat , elaborato dalla Last Minute Market e sviluppato assieme al Banco Alimentare, viene proposto come esempio concreto di valorizzazione sostenibile - perché economica, sociale ed ambientale - dei prodotti alimentari invenduti nella grande distribuzione.
Lessico della storia culturale, a cura di Alberto Mario Banti, Vinzia Fiorino, Carlotta Sorba, Laterza, 2023, pp. 296, ill.
Che cos’è la storia culturale? Come ha cambiato il modo di fare storia e la nostra comprensione del passato?
Un lessico in sedici parole chiave – dalla famiglia alla guerra, dalle emozioni alla sessualità – per capire come si può leggere il passato e coglierne complessità e multidimensionalità. Ognuna delle voci proposte ricostruisce come si sviluppano nuovi interrogativi, come emergono nuove fonti e nuove piste di indagine, come si aprono sguardi capaci di offrire uno spessore storico lungo a molti problemi che attraversano le società attuali, dai processi di omologazione della società di massa alle dinamiche che normano relazioni ed esclusioni sociali. Con la svolta culturale, la storiografia si è avvicinata alla cultura di massa e ai mass media, alla cultura visuale e alla tecnoscienza, ma anche alla memoria e ai suoi usi.
Collaborano con noi:
Velio Abati
Pupi Avati
Katia Ballacchino
Giuseppe Barbera
Patrizia Becherini
Stefano Benvenuti Casini
Maddalena Bergamin
Cristina Berlini
Annunziata Berrino
Giuliana Biagioli
Francesco C. Billari
Antonio Bonatesta
Gabriella Bonini
Ermanno Bonomi
Sonia Bregoli
Filippo Bruni
Daniela Bruno
Adriano Bruschi
Marco Cadinu
Fabio Canessa
Luciano Canfora
Maurizio Canovaro
Enrico Caracciolo
Mauro Carrara
Alessandra Casini
Piero Ceccarini
Giovanni Cerchia
Roberto Cerri
Fred Charap
Lucia Checchia
Maddalena Chimisso
Federica Cicu
Augusto Ciuffetti
Graziella Civenti
Pietro Clemente
Giovanni Contini
Ilic Copja
Paolo Corbini
Francesca Curcio
Giancarlo Dall’Ara
Stefano D'Atri
Roberta De Iulio
Antonio De Lellis
Maria Carla De Francesco
Maurizio Dell'Agnello
Vezio De Lucia
Mirco Di Sandro
Michele Ercolini
Alessandro Fabbrizzi
Francesco Falaschi
Francesco Ferrini
Maria Fiano
Antonio Floridia
Giovanni Luigi Fontana
Sergio Fortini
Marina Foschi
Tiziano Fratus
Francesca Gabbriellini
Beatrice Galluzzi
Roberta Garibaldi
Danilo Gasparini
Maria Pia Gasperini
Vera Gheno
Stefano Giommoni
Marco Giovagnoli
Antonella Golino
Luciano Guerrieri
Sara Guiati
Alfonso Maurizio Iacono
Fabio Indeo
Matteo Innocenti
M. Cristina Janssen
Anna Kauber
Mario Lancisi
Patrizia Lattarulo
Donatella Loprieno
Michele Lungonelli
Giuseppe Lupo
Stefano Maggi
Enrico Mannari
Marco Marchetti
Nunzio Marotti
Alessandra Martinelli
Luca Martinelli
Michele Mazzi
Paolo Mazzucchelli
Chiara Missikoff
Guido Morandini
Massimo Morisi
Rossella Moscarelli
Tiziana Nadalutti
Sasha Naspini
Sergio Paglialunga
Maurizio Pallante
Luca Pallini
Gianni Palumbo
Vito Palumbo
Caterina Paparello
Letizia Papi
Roberto Parisi
Giorgio Pasquinucci
Antonello Pasini
Camilla Perrone
Marco Petrella
Gloria Peria
Paolo Piacentini
Leonardo Piccini
Manuel Vaquero Piñeiro
Elena Pontil
Federico Prestileo
Chiara Daniela Pronzato
Lorenzo Ramacciato
Marina Riccucci
Andrea Rolando
Rudy Rossetto
Enrico Russo
Rita Salvatore
Giampiero Sammuri
Giacomo Sanavio
Claudio Saragosa
Stefano Sarzi Sartori
Cinzia Scaffidi
Matteo Scatena
Nicola Sciclone
Alessandro Simonicca
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Albertina Soliani
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Gianna Stefan
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Giulia Ubaldi
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Giorgio Vacchiano
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Giorgio Vecchio
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Daniele Vergari
Elio Vernucci
Marco Vichi
Marta Vitullo
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Andrea Zanetti
Enrico Zanini
Donato Zoppo
Massimo Zucconi