NavigAzioni tra locale e globale

Nautilus è una rivista mensile che non parla solo di cultura ma è cultura: nella narrazione di ciò che accade, partendo dai territori locali per spingersi e confrontarsi con altri luoghi, fisici o immateriali, si propone di raccontare le vie che la cultura intraprende attraverso le molteplici vesti con le quali si manifesta, con lo scopo di offrire una visione multidimensionale dei processi e di proporre una mappa dei problemi e delle opportunità del patrimonio e delle attività culturali.

Di volta in volta, si viaggerà nel tempo e nello spazio, cercando di costruire ponti metaforici tra passato, presente e futuro, tra locale e globale, tra centro e periferia, tra competenze diverse, tra punti di vista plurali per offrire, in ciascun numero, non una fotografia dell’esistente bensì un’immagine in movimento di ciò che sta accadendo, che sia foriera di nuove prospettive. 

Sommario 

Settembre 2023  n. 27

Editoriale

Chi ha paura della diversità?

Cosa c’è di strano nella diversità e perché fa così paura? Ognuno di noi è diverso dall’altro, ma spesso gli stereotipi sociali non consentono di includere e accettare quello che per noi risulta differente, rispetto al concetto di “norma” al quale sentiamo di appartenere. Ci spaventa e nel momento in cui etichettiamo qualcuno come diverso, automaticamente produciamo discriminazione.
Oggi questo tema è di grande attualità, ma lo è stato sempre nella storia e questo ha prodotto nei secoli ingiustizie, torture, persecuzioni, discriminazioni e molto altro.
Ci spaventa quello che non conosciamo e mettiamo in atto strategie difensive per evitare di entrare in contatto con la diversità. Ci manca la capacità di comprensione e tendiamo a cercare ciò che è più simile ai nostri canoni estetici, esistenziali, alle nostre credenze, come unico modello possibile di vita. Ogni altra caratteristica, anche identitaria, di genere, che fuoriesce dalla norma in cui ci riconosciamo, viene etichettata, stigmatizzata e definita “anormale”.
In questo contesto entra in ballo anche l’odio. Secondo il sociologo e filosofo Zygmunt Bauman, odio e paura sono vecchi quanto il mondo e non smetteranno di accompagnarlo. Esiste un circolo vizioso in cui si odia perché si ha paura del diverso e quella paura alimenta e rinforza l’odio, in un mondo liquido dall’individualismo sfrenato, dove nessuno è un compagno di viaggio ma tutti sono antagonisti da cui guardarsi. L’incertezza che domina la nostra società amplifica la paura del diverso e nasce il bisogno di scaricare su di un bersaglio tutto l’odio e la rabbia repressa (sia migrante o ebreo, gay o musulmano, disabile o nero)...

 

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"Sei esattamente chi ho sempre voluto tu diventassi”

La storia di Alex, Mark e Silvia: una persona non binaria, una trans e una madre

Intervista a Silvia Ranfagni

Corpi Liberi è un podcast ideato e scritto da Silvia Ranfagni e Giovanni Piperno. Un racconto personalissimo che parte dal momento in cui Alba, figlia tredicenne di Silvia, comunica alla madre di essere trans e non binaria. Per Silvia è l’inizio di una nuova fase della vita, quella in cui prova a stare vicino a una figlia che chiede di essere chiamata al maschile con un nome diverso: Alex.
Grazie al sostegno del
SAIFIP, un servizio di un ospedale romano dedicato alla disforia di genere, Alex inizia il proprio percorso terapeutico mentre Silvia si pone sempre più domande: davvero conosce così poco suo figlio?
A guidarla in questo viaggio una terza persona, Mark
, un ragazzo di qualche anno più grande di Alex, la cui storia di transizione è fondamentale per aiutare Silvia a rispondere a tutte le domande che le frullano in testa.
Corpi Liberi rappresenta una testimonianza importante, per capire meglio noi stessi e il mondo che ci circonda e iniziare a farsi delle domande su quanto sia inutile difendere a spada tratta la presunta purezza di un mondo binario, con il solo risultato di generare incredibili sofferenze.

 

  • "Corpi liberi" è una storia che affronta molti aspetti della vita, del diritto di ognuno a trovare la propria identità e della libertà di viverla "senza fare male a nessuno". È anche una storia di accoglienza per aiutare sua figlia Alba, poi Alex, a trovare appunto la sua identità, per uscire dal dolore e trovare il meglio di sé. Una storia vera che porta all'attenzione tutta una serie di temi cruciali della nostra società. Qual è il significato di questo podcast? 

 Questo podcast è nato nel tentativo di mettere la mia difficoltà a servizio degli altri: mi sono ritrovata in una posizione di ponte tra due mondi, quello di “chi ha capito” e di “chi deve ancora capire” il cambiamento in atto. È un cambiamento che ha radici nel nostro passato, affonda nella nostra storia, eppure sembra incomprensibile.
Volevo accompagnare per mano altri genitori in difficoltà o dare lo strumento ai ragazzi per comunicare con la generazione a cui appartengo.
Questo lavoro vuole soprattutto seminare tolleranza, è l'apertura mentale quello a cui aspira. 

 

  • Cosa significa esattamente essere "non binario" e qual è la distinzione tra identità di genere e orientamento sessuale? 

 L'identità di genere è come ciascuno percepisce se stesso. L'orientamento sessuale è da chi si è attratti. C'è dunque una grande differenza tra le due cose. L'identità non binaria si chiama così perchè indica un terzo binario, diverso dall'identità maschile o femminile, che è la fluttuazione tra entrambi.  

 

 

  • L'incontro con Mark, un ragazzo che ha vissuto la stessa esperienza di Alex ma in un contesto completamente diverso, l'ha portata a prendere consapevolezza attraverso la condivisione. Può raccontarci questo incontro? 

Io vivo a Roma in un ambiente progressista, Mark è nato in un paesino sulle pendici dell'Etna, un posto piccolo ed isolato, eppure incontrare lui e la sua famiglia mi ha fatto da specchio e mi ha aperto gli occhi su molte cose che non sarei stata capace di vedere. Quando si parla di emozioni, bisogno di accettazione o spiazzamento siamo tutti uguali. 

Conoscerci è stato importante: questo ragazzo, che si era nascosto a lungo e che aveva difficoltà con i compagni a scuola, si è raccontato pubblicamente ottenendo maggiore accoglienza dal suo ambiente.  È stato un percorso di consapevolezza per entrambi. 

 

  • Gli atti di autolesionismo e i pensieri di suicidio. A un certo punto lei racconta: "la notizia di pensieri suicidi cambia la prospettiva della madre. Smetto di pensare e decido di accogliere." Cosa è successo a quel punto? 

 A una notizia simile, il genitore depone ogni arma intellettuale. Non si tratta di capire cosa sia un "non binario", si tratta di comprendere il proprio figlio in un modo assai più profondo, cioè comprenderne il valore, il percorso, e farlo col cuore. Le categorie intellettuali cadono... 


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La diversità, le diversità

di Marco Giovagnoli

 

La diversità è la qualità o condizione di chi o di ciò che è diverso. La radice è divertere, comune anche con ‘divertimento’ (e questa condivisione già indica un’idea, un rigetto della ortodossia e della monotematicità dell’esistenza).
Ma vediamo i significati: il primo è ‘scostarsi, da, allontanarsi’, che indica un allontanamento rispetto a qualcosa; il secondo riguarda ‘l’essere differenti’, per cui le differenze sono specificazioni della diversità, sono le sue forme concrete; infine c’è l’indicazione di ‘portare via’ (qualcosa che [ci] viene portato via): ciò che la diversità ci porta via, ciò da cui ci allontana o ci separa è la normalità
Ma che cosa è la ‘normalità’? E’ “il carattere, condizione di ciò che è o si ritiene normale, cioè regolare e consueto, non eccezionale o casuale o patologico, con riferimento sia al modo di vivere, di agire, o allo stato di salute fisica o psichica, di un individuo, sia a manifestazioni e avvenimenti del mondo fisico, sia a situazioni (politiche, sociali, etc.)”. 


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L'Italia plurale e la diversità paesaggistica

di Rossano Pazzagli

 

 

Diversità è un termine ambivalente. Può significare alterità, ma anche pluralità. In alcuni casi le due declinazioni possono convergere e coincidere. Nel paesaggio le troviamo entrambe: l’alterità e la pluralità. L’Italia, in particolare, ha un paesaggio molto diversificato, articolato e complesso, frutto di un peculiare incontro tra uomo e natura e delle stratificazioni storiche che caratterizzano un Paese a lungo diviso e geograficamente molto vario.
Nel 1963 il geografo Aldo Sestini scriveva che “non esiste un paesaggio italiano”, precisando che “l’Italia possiede una grande varietà di paesaggi” e passando a descriverli nel bel libro edito dal Touring Club Italiano, che a tutt’oggi resta una delle più complete e ravvicinate antologie dei paesaggi del Bel Paese colti nel momento della loro trasformazione, vittime dell’urbanizzazione da un lato e dell’abbandono dall’altro...



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La vita è biodiversità

di  Marta Letizia, Alberto Todini e Alessandra Somaschini

 

 La biodiversità si può definire come la diversità dei viventi a tutti i livelli di organizzazione: popolazioni, ecosistemi, paesaggio e biosfera. Nel 1988 l’entomologo americano Edward O. Wilson per primo coniò il termine biodiversity (abbreviazione di biological diversity). Il corrispettivo italiano, biodiversità, è in realtà una traduzione poco rigorosa del termine inglese originario, scelto più per vicinanza fonetica che di significato; infatti, mentre il termine italiano diversità ha una accezione relativa, sempre riferita ad altri soggetti rispetto ai quali viene fatto un raffronto, il termine inglese diversity ha il significato, più restrittivo, di “molteplicità,“varietà” o “diversificazione”, intese come coesistenza di più elementi distinti tra loro, appartenenti ad una determinata categoria di oggetti. 

 La biodiversità è l’espressione della quantità di informazioni necessarie a descrivere completamente una comunità di viventi (biocenosi) e riflette la complessità dell’ecosistema. In quest’ottica, comunità strutturalmente più complesse, come ad esempio una formazione forestale rispetto ad una prativa, presentano per definizione una diversità biologica maggiore. ..

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I sogni che non fanno svegliare

Alterità, accoglienza e autodeterminazione

di Barbara Borgi

 
Nella mia mente esiste una comunità immaginata abitata da chi, come me, è stato svezzato a pane e De Andrè. Con la stessa pretesa demiurgica, coloro che vi appartengono sapranno certamente – anzi, imprescindibilmente – riconoscersi in un esercizio di ascolto ciclico e paziente dei testi, una sorta di solenne rito indagatore (primo sul podio Storia di un impiegato, 1973). La ritualità si ripete a cadenza annuale, quinquennale, decennale e ha delle precise caratteristiche: dal tentativo acerbo di risolverne l’enigmatica complessità, passando per la convinzione puberale di identificarsi finalmente in quella data storia, in quel preciso excursus ideologico, sino ad arrendersi alla meravigliosa consapevolezza dell’inevitabile risemantizzazione che continuerà a darsi a ogni ascolto, a ogni cambio di stagione.

Siamo molto più di un semplice gruppo di professionisti. Ci consideriamo una grande famiglia con una visione in comune, determinata a usare passione e capacità per fare la differenza.
 Questa meticolosa metodologia introspettiva, indissolubilmente unita ai temi presenti nell’antologia del cantautore, caratterizza da un paio di decenni il mio andirivieni tra volontariato, associazionismo, attivismo, militanza e, infine, consacrazione nella società borghese in qualità di operatrice legale per l’immigrazione...

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Non chiamateli “clandestini”

di Donatella Loprieno

Ci sono delle sentenze della Corte di Cassazione che lasciano molto amaro in bocca perché sembrano essere state scritte da uomini e donne che non vivono questi nostri tempi che, per quanto difficili, necessitano della guida dei princìpi della Costituzione repubblicana.
Stavolta, invece, sento di dover plaudire alla “coraggiosa” posizione assunta dalla terza sezione della Corte di Cassazione che, in data 16 agosto, ha chiuso una penosa vicenda iniziata nel 2016. 

I lettori e le lettrici non particolarmente avvezzi al linguaggio giuridico stiano tranquilli perché questa breve digressione avrà un taglio quanto più possibile divulgativo.
La vicenda da cui trae origine la sentenza ha per protagonista principale la Lega Nord che, nel 2016, per contrastare l’assegnazione di 32 richiedenti asilo ad un centro di assistenza messo a disposizione da una parrocchia di Saronno, aveva convocato una manifestazione affiggendo un buon numero di cartelli con il seguente testo: “Saronno non vuole i clandestini. Vitto, alloggio e vizi pagati da noi. Nel frattempo, ai saronnesi tagliano le pensioni e aumentano le tasse, Renzi e Alfano complici dell’invasione”.

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L’affresco sulle zolle

di Stefano Lucarelli

 
Premessa
Negli ultimi dieci anni intorno ai paesi appenninici, sui campi lasciati incolti dall’emigrazione o dalla perdita dei vecchi nonni e babbi che ci lavoravano, si sono insediati altri nuclei familiari.
Provengono da campagne intorno a grandi città, infestate dall’uso indiscriminato di prodotti chimici utilizzati dalle vicine tenute a produzione intensiva.
Autentici partigiani della terra che resistono e riescono a sopravvivere, producendo prodotti raggiungibili solo attraverso il passa-parola, i Gruppi d’Acquisto o Cooperative dagli statuti sottoscritti da strette di mano e autocontrollo della filiera.
Ma con tanta, troppa difficoltà.
E così, perplessi e disorientati, spazientiti dalla burocrazia, immalinconiti dai costi e dalla depressione, cercano rifugio nell’idea di spostarsi, di andare altrove, dove trovare aria buona, acqua ancora pulita e terreni grassi per il loro “latte e miele”.
Perché è di questo che si tratta, di contadini migranti veri e propri che, indossati i panni dei nuovi “cialtroni” di pavesiana memoria, hanno rammendato quella stoffa come nuova per una diversa misura della relazione con la terra.
Una volta trovato il luogo giusto impostano la loro attività recuperando le sane usanze e le primizie di chi li ha appena preceduti, ma al tempo stesso aggiungono e correggono le cattive consuetudini, le stolte storture e gli intrecci poco adatti introdotti in tempi più recenti...

 
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Il quartiere "Cotone", continuità e diversità

di Guido Morandini

Il Cotone (un idronimo che significa porto costruito dall’uomo) è un quartiere di Piombino che sta fuori la città. Un insediamento lineare assieme alla borgata Poggetto che si srotola  lungo la via provinciale, la strada che costeggia lo stabilimento siderurgico.
La prima parte è costituita da cinque case popolari a parallelepipedo con tetto a spiovente in tegole. Semplici, color marrone consumato, senza terrazzi né modanature che le aggrazino. Costruite negli anni ‘20 del Novecento per gli operai che lavoravano nell’acciaieria, che oltre a lavorarci se lo vedevano anche da casa. 

Oltre, continuando verso nord sulla strada matrice, affiancati dal muro perimetrale dello stabilimento, a sinistra, si appoggia un reticolo di vie disposte a scacchiera regolare. Questo è il tessuto della borgata Il Poggetto che assieme al Cotone contano circa 150 casette a uno due piani, autocostruite e di buona fattura. Tessuto abitativo, muro dipinto a murales, circolo Arci, monumento all’Umanità del Cotone, il quartiere assume i contorni del pittoresco. Estetica della semplicità popolare direbbe un documentarista come Joris Ivens.  
Credo che chiunque si sia interessato a Piombino - sociologi, scrittori, giornalisti, fotografi, attivisti politici - abbia scritto, fotografato o semplicemente visitato il Cotone.
Rappresenta la continuità del passato industriale e dell’identità novecentesca di Piombino e al tempo stesso la diversità, abitato da vecchi e nuovi residenti, per lo più stranieri, famiglie intere che si sono stabilite qui e che vi convivono da anni...


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Diversità linguistiche

I paesi albanofoni nel Molise

di Fernanda Pugliese

Il primo a parlarne era stato Claudio Tolomeo nel 168 d. C.
Erano gli  "alvanoi"e  abitavano il  territorio dell'odierna Albania e la loro  capitale era Albanopolis. Non erano greci, né slavi, né rumeni, né bulgari, non erano nemmeno latini. Erano genti di stirpe illirica anche se nel corso dei secoli avevano fatto parte dell'impero Romano e dopo la caduta dello stesso, 476 d. C. il loro territorio  ero stato scisso in due parti.
Il Nord era stato assegnato all'Impero Romano d' Occidente, il Sud all'Impero Romano d'Oriente. Il confine era delineato dal percorso del fiume Shkumbi che attraversava l'Albania centrale ed era anche  confine naturale nella definizione dei due dialetti principali  che erano rispettivamente il Ghego e il Tosco.
Il primo nutrito di vocaboli di stampo latino, il secondo con un vocabolario ricco di termini bizantini, arabi, turchi e soprattutto greci. Questi ultimi derivanti dal rito religioso greco bizantino per secoli praticato e trasferito nei territori di quest'altra sponda del mare Adriatico dove diversi nuclei erano pervenuti nella seconda metà del millequattrocento al seguito del loro eroe nazionale Giorgio Kastriota Skanderbeg...


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Paesaggi tradizionali, biodiversità e resilienza. 

Il progetto MedAgriFood Resilience

 di Antonio Santoro e Alessandra Bazzurro


Cattedra UNESCO “Paesaggi del Patrimonio Agricolo”, Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agrarie, Alimentari, Ambientali e Forestali (DAGRI), Università di Firenze

 

I paesaggi rurali di tipo tradizionale possono essere definiti come il risultato delle interrelazioni tra fattori economici, sociali e ambientali nel corso del tempo e dello spazio, e rientrano nella definizione di paesaggio culturale. Si tratta di sistemi agro-silvo-pastorali che sono il risultato dell’adattamento a condizioni ambientali varie e spesso difficili (versanti ripidi, temperature medie elevate, scarsità o eccesso di acqua,…), rappresentando esempi di adattamento e resilienza utili in un contesto di cambiamento climatico. Sono inoltre paesaggi legati a pratiche agricole caratterizzate da un ridotto impiego di combustibili fossili rispetto ai paesaggi dell’agricoltura intensiva, in grado di generare molteplici servizi ecosistemici, ovvero una serie di benefici che un determinato ecosistema o paesaggio fornisce alle comunità rurali.
Questi servizi comprendono la produzione agroalimentare di qualità, la riduzione del rischio idrogeologico e del rischio incendi, la tutela di aree attrattive dal punto di vista turistico, il mantenimento di tradizioni e il rafforzamento dell’identità locale, nonché un grande contributo alla conservazione della biodiversità.


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La corsia degli incurabili

di Marco Jacoviello

…se la musica è l’ospedale degli ammalati, l’opera è la corsia degli incurabili!

Parole di Gustav Mahler.

C’è da crederci?

A ben vedere, non più. Dopo le “purghe” stabilite da Riccardo Muti alla Scala, primi anni Novanta, che han fatto fuori metà degli incontenibili loggionisti alla vigilia dell’andata in scena di una Traviata dopo Callas preannunciata bollente, il teatro d’opera si è sentito riconsegnato ai benpensanti che indulgono al massimo a critiche borbottate e nulla più. Scampato pericolo, l’idea complottistica vinse. Quelle recite passarono indenni senza incidenti: niente cantanti “buati”, direttori fischiettati, registi contestati.

Ah, melomani, vil razza dannata! Rimasero fuori dal decretone un numero ridottissimo delle poltroncine di loggione occupate però da abbonati facilmente riconoscibili nel caso non si trovassero in “non perfetta” sintonia  mutiana, ma i molti “indesiderati”, resi ancor più diversi dal diniego loro imposto, fuori teatro, a meditar vendetta. Le purghe arrivarono financo alla RAI con il divieto di accesso a teatro dei due melomani stragettonati su Radio3, Enrico Stinchelli e Michele Suozzo, animatori del varietà radiofonico La barcaccia...


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Tracce di luce

Un Festival diverso per narrare e far conoscere il grande artista Charles Moulin 

di Gianni Palumbo
 

Sfuma il caldo, nella quiete settembrina si assopisce la tempesta ormonale che accompagna il tempo estivo, con il clamore dei mille eventi assiepati in una ressa infinita dentro la competizione tra i “borghi”, i più “belli”, i più “autentici”, i più patetici, che scordano di essere paesi e propongono sagre, concerti, rievocazioni storiche miste a fuochi d’artificio nella grande melassa informe della competizione canicolare, la cui cifra è nella vorace proposta di consumo dei territori a favore dello scalcitante e fagocitante turismo di massa che ingurgita ogni cosa senza troppo pensarci. 

A settembre, l’incendiaria proposta del CISAV (Centro Indipendente Studi dell’Alta Valle del Volturno) è una proposta di pace, differente, non turistica (non nel senso classico) e la si gode con le temperature che si dimensionano a misura del godibile, in un contesto di paese che vuole far pensare senza acrobazie alla dimensione del possibile, alla diversità di una proposta completamente immersa dentro un orizzonte culturale che narra il territorio in funzione di una riflessione stimolata dall’irrevocabile necessità di analizzare il portato artistico, storico, sociale, antropologico e finanche eco-filosofico del grande artista Charles Lucien Moulin. 


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NELLA STIVA

NOTIZIE E SEGNALAZIONI

Approfondimenti, convegni, pubblicazioni

Letture 

I paesaggi dell’Italia moderna. Da Petrarca a Napoleone, di Erminia Irace, Manuel Vaquero Piñeiro,   Roma, Carocci, 2023


Campi coltivati, boschi, sentieri della transumanza, corsi d’acqua, ma anche territori devastati dalle guerre e dai terremoti. Nei secoli dell’età moderna l’Italia era costituita per la maggior parte da aree ubicate al di fuori dei centri urbani. 
Esse diventarono l’oggetto del crescente interesse delle autorità politiche degli Stati, che si proposero di gestire le risorse ambientali. Parallelamente, le piante provenienti da oltreoceano, giunte grazie all’espansione globale dei traffici commerciali, conferirono un nuovo volto al panorama agricolo, nel quale, al contempo, stava fiorendo la civiltà delle ville e dei giardini. Le dinamiche politiche ed economiche forgiarono gli elementi materiali delle campagne italiane, mentre, dal canto loro, artisti, scrittori, cartografi e viaggiatori delinearono l’immagine di questo scenario e i suoi significati estetici, che diventarono parte integrante dell’identità culturale dell’Italia. Prendendo le mosse dall’epoca tardomedievale e arrivando fino al periodo napoleonico, il libro ricostruisce le molteplici e intrecciate vicende che hanno modellato il “bel paesaggio” italiano, tramandandone le caratteristiche fino al tempo presente.








 Se amore guarda. Un'educazione sentimentale al patrimonio culturale, di Tomaso Montanari, Torino, Einaudi, 2023.


 Il patrimonio culturale - le chiese, le grandi opere, gli umili selciati - può trovare un senso solo se ci permette di liberarci dalla dittatura del presente, dall'illusione di essere i padroni della storia, dalla retorica avvelenata dell'identità. Se ci restituisce l'amore necessario a coltivare ciò che in noi è ancora umano. Abbiamo forse smarrito la ragione profonda per cui davvero ci interessiamo al patrimonio culturale e alla storia dell’arte: la forza con cui apre i nostri occhi e il nostro cuore a una dimensione «altra». La sua capacità di separarci dal flusso ininterrotto dell’attualità, per metterci in contatto con ciò che ci avvince alla vita, ciò che le dà un senso. Per vedere – per sentire – tutto questo, è però necessario riattivare la sua connessione con la parte piú intima della nostra anima individuale e collettiva; occorre una vera e propria educazione sentimentale. Come scrive Tomaso Montanari nelle pagine di questo saggio lucido e appassionato, il patrimonio culturale è la nostra religione civile, la nostra scuola di liberazione: non riguarda soltanto il paesaggio o le opere d’arte, ma riguarda soprattutto noi e quell’amore che tutto congiunge. Ogni sguardo posato in una chiesa antica, ogni piede che calpesta un selciato, comporta domande, risposte, interpretazioni. Cosí, passo dopo passo, lentamente, riattribuiamo significato alle cose e ai luoghi fino a sentirli parte, quasi estensioni, dei nostri corpi: perché solo quelli danno senso alle pietre e ai quadri. E perché soltanto cosí il discorso sul patrimonio culturale potrà aiutarci a recuperare le ragioni di una convivenza universale, fondata sulla giustizia e sulla condivisione. 








Fantascienza femminista. Immaginare il genere nella cultura italiana contemporanea, a cura di Ramona Onnis, Chiara Palladino e Manuela Spinelli, Cesati, 2022

 Questo volume nasce dall'intento d'interrogarsi sulle potenzialità e le risorse della fantascienza e sul suo rapporto con il femminismo. Se il genere fantascientifico ha largamente dimostrato la sua capacità di creare nuovi spazi e nuovi immaginari, esso riesce a mettere in discussione gli stereotipi di genere e a produrre nuove rappresentazioni in cui le relazioni siano più giuste e paritarie? Nell'epoca contemporanea, in cui l'evoluzione tecnologica ha colonizzato buona parte del nostro immaginario, le possibilità sembrano ampliarsi. Le frontiere tra umano, organico e meccanico si confondono sempre più, portando così a un ripensamento delle categorie e dei ruoli di genere. Numerosi i punti trattati dai saggi contenuti nel volume: dalle considerazioni sulle categorie e i generi letterari di appartenenza alle questioni centrali del corpo, della parola, del linguaggio all'interno di una più ampia riflessione sulla violenza di genere e sul ruolo della scienza e della tecnologia. Le riflessioni delle autrici e degli autori qui proposte ci spingono a sperare che l'auspicio di Virginia Woolf, che incoraggiava a pensare e scrivere liberamente, senza costrizioni e conformismi canonici, possa realizzarsi.






 

Ragazza, donna, altro, di Bernardine Evaristo, Sur, 2020


Finalista al Premio Lattes Grinzane 2021
Un romanzo corale con dodici protagoniste: etero e gay, nere e di sangue misto, giovani e anziane; impiegate nella finanza o in un’impresa di pulizie, artiste o insegnanti, matriarche di campagna o attiviste transgender. Cucite insieme come in un arazzo, le loro vite (e quelle degli uomini che le attraversano) formano un romanzo anticonvenzionale e appassionante che rilegge un secolo di storia inglese da una prospettiva inedita e necessaria.


«Un viaggio alla ricerca di se stessi, oltre che alla scoperta dell'alterità che ci circonda, che Bernardine Evaristo riesce a farci fare all'interno di un'armonia perfettamente calibrata» - Michela Marzano, RobinsonÈ una grande serata per Amma: un suo spettacolo va in scena per la prima volta al National Theatre di Londra, luogo prestigioso da cui una regista nera e militante come lei è sempre stata esclusa. Nel pubblico ci sono la figlia Yazz, studentessa universitaria armata di un’orgogliosa chioma afro e di una potente ambizione, e la vecchia amica Shirley, il cui noioso bon ton non basta a scalfire l’affetto che le lega da decenni; manca Dominique, con cui Amma ha condi­vi­so l’epoca della gavetta nei circuiti alternativi e che un amore cieco ha trascinato oltre­oceano… Dalle storie (sentimentali, sessuali, familiari, professionali) di queste donne nasce un romanzo corale con dodici protagoniste: etero e gay, nere e di sangue misto, giovani e anziane; impiegate nella finanza o in un’impresa di pulizie, artiste o insegnanti, matriarche di campagna o attiviste transgender. Cucite insieme come in un arazzo, le loro vite (e quelle degli uomini che le attraversano) formano un romanzo anticonvenzionale e appassionante che rilegge un secolo di storia inglese da una prospettiva inedita e necessaria.