NavigAzioni tra locale e globale
Nautilus è una rivista mensile che non parla solo di cultura ma è cultura: nella narrazione di ciò che accade, partendo dai territori locali per spingersi e confrontarsi con altri luoghi, fisici o immateriali, si propone di raccontare le vie che la cultura intraprende attraverso le molteplici vesti con le quali si manifesta, con lo scopo di offrire una visione multidimensionale dei processi e di proporre una mappa dei problemi e delle opportunità del patrimonio e delle attività culturali.
Di volta in volta, si viaggerà nel tempo e nello spazio, cercando di costruire ponti metaforici tra passato, presente e futuro, tra locale e globale, tra centro e periferia, tra competenze diverse, tra punti di vista plurali per offrire, in ciascun numero, non una fotografia dell’esistente bensì un’immagine in movimento di ciò che sta accadendo, che sia foriera di nuove prospettive.
Sommario
Novembre 2023 n. 29
Editoriale
La prospettiva dello spazio
Una vibrazione unica, dal più piccolo degli esseri viventi al più grande dei corpi celesti. Tutti siamo uno, ci differenziamo solo per il modo in cui gli atomi che ci compongono si aggregano, e la conoscenza dello spazio, emblema del mistero e del futuro, rafforza la speranza che il progresso sia tanto scientifico quanto filosofico-spirituale. Così Franco Battiato nella sua canzone “No time, no space”.
Oggi lo spazio cosmico non è più percepito come qualcosa di lontano, ma come qualcosa che riguarda la nostra vita e anche il futuro. Sia per l’utilità, come i satelliti che sono infrastrutture divenute necessarie quasi al pari dell’elettricità, sia perché andare nello spazio per fare le cose che pensiamo di fare come specie, esplorando, è qualcosa di molto più vicino e tangibile. Oggi i bambini crescono in un mondo in cui lo spazio è parte della vita.
C’è poi lo spazio rappresentato, tramite le carte o mappe che ci hanno fatto scoprire nuovi mondi. La storia della cartografia, o delle rappresentazioni, è anche la storia del mondo. Al suo interno si ritrovano i percorsi dell’evoluzione delle conoscenze e delle scoperte geografiche fino al completamento del disegno del pianeta e, nelle modalità e qualità del segno, le tracce dell’acquisizione delle nuove conoscenze tecnologiche che via via, soprattutto a partire dall’età moderna, andavano trasformando e facevano progredire le civiltà, ognuna delle quali con un proprio modo di vedere e di rappresentare...
La quarta parte del mondo
La mappa perduta che ha dato il nome all’America
Intervista a Toby Lester
(a cura di Monica Pierulivo)
(Particolare della mappa di Waldseemüller dove si legge il nome America)
Per millenni gli Europei hanno creduto che il mondo fosse composto da tre parti: Europa, Africa e Asia. Disegnavano i tre continenti in innumerevoli forme e dimensioni sulle loro mappe, senza sapere che esisteva una quarta parte del mondo. Uno spazio divenuto reale solo quando Martin Waldseemüller e Matthias Ringmann, due studiosi che lavoravano sulle montagne dell’Alsazia Lorena, nel 1507 stamparono la mappa di Waldseemüller.
Toby Lester, giornalista e scrittore statunitense, nel suo libro “La mappa perduta. Storia della carta che cambiò i confini del mondo”, edito da Rizzoli nel 2010, racconta la storia di questa mappa, una delle prime rappresentazioni del mondo che indicano l’esistenza di una terra inesplorata e di un altro oceano tra Europa e Asia e sulla quale è riportato per la prima volta il nome America.
Per questi motivi, abbiamo cercato Toby Lester che vive negli Stati Uniti e abbiamo potuto parlare direttamente con lui delle sue ricerche sulla mappa e sulle rappresentazioni dello spazio attraverso la cartografia.
- Storicamente, quando si inizia a rappresentare lo spazio e in che modo?
Molto prima dei Greci e dei Romani c'erano persone che pensavano allo spazio e lo rappresentavano.
(Mappa del mondo di Tolomeo)
Esistono testimonianze di mappe locali su pietra. Non è del tutto chiaro cosa mostrassero, ma i Babilonesi lo facevano di sicuro.
Un'importante funzione iniziale della cartografia era quella di registrare le proprie proprietà. Queste mappe erano uno strumento amministrativo; una volta che si iniziano ad avere città e risorse, si vuole sapere dove sono e chi le possiede. Non ci sono molte prove di mappatura del mondo prima dei Greci e dei Romani, anche se esiste una famosa mappa del mondo di Babilonia su pietra.
Ci sono molte prove, invece, di persone che studiavano le stelle. Probabilmente è lì che è nata la scienza della mappatura e l'interesse per la mappatura: le persone guardavano sempre le stelle e per capire i movimenti delle stelle e dei pianeti dovevano capire dove si trovavano sulla terra. Quindi, a mio avviso, la prima mappatura è stata quasi certamente quella di chi cercava di capire i movimenti del cielo.
Ci sono lunghe tradizioni in molte culture antiche di persone che mappano il cielo. Le persone hanno imparato molto in questo modo e sono state poi in grado di applicare ciò che hanno imparato alla mappatura del mondo. Tolomeo ne è un buon esempio...
Siamo figli delle stelle
Intervista a Sofia Randich
(dirigente Istituto Nazionale di Astrofisica Osservatorio Astrofisico di Arcetri)
a cura di Monica Pierulivo
(La galassia NGC 1097 osservata da Eris. Questa galassia si trova a 45 milioni di anni luce dalla Terra, nella costellazione della Fornace. Crediti: Martin Kornmesser/Eso)
1. L'Inaf osservatorio astronomico di Arcetri è una struttura di grande importanza in Italia e nel mondo. Come è strutturato e quali sono le principali attività?
L’Osservatorio Astrofisico di Arcetri a Firenze (https://www.arcetri.inaf.it/) è una delle 16 strutture di ricerca che fanno parte dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), l’Ente pubblico di ricerca di riferimento per lo studio dell’Universo. L’Osservatorio ha alle sue spalle una lunga storia che inizia nel 1869, anno della fondazione, durante il periodo di Firenze capitale.
La struttura, che attualmente conta circa 130 unità di personale, ha un comparto di ricerca scientifica e tecnologica, un comparto tecnico, ed un comparto amministrativo. Le principali attività si rivolgono alla ricerca nel campo dell’astrofisica e delle tecnologie per l’astrofisica; all’alta formazione, in collaborazione con le istituzioni universitarie; alla comunicazione e promozione dei risultati della ricerca e della conoscenza astronomica nelle scuole e verso il pubblico generico, anche in modo inclusivo; alla tutela e valorizzazione del patrimonio storico; al trasferimento tecnologico.
Rendering artistico del radiotelescopio dell'Osservatorio SKA, diviso tra Australia e Sudafrica. Crediti: SKAO
2. Parlando di ricerca, quali sono i filoni scientifici principali sui quali Arcetri sta lavorando?
Nato come Osservatorio stellare e poi solare, l’Osservatorio oggi svolge una grande varietà di ricerche sia di astrofisica di frontiera, sia relativi alle tecnologie di punta per l’astrofisica (ottiche adattive, strumentazione di piano focale, tecnologie radio, missioni spaziali).
I filoni scientifici principali affrontati includono la formazione ed evoluzione delle galassie, dall’Universo primordiale a quello locale, alla stessa Via Lattea; i nuclei galattici attivi, buchi neri, materia oscura; l’astrofisica delle alte energie; la formazione stellare nella nostra Galassia ed in galassie vicine; i pianeti esterni al sistema solare, incluso lo studio delle loro atmosfere, e la formazione planetaria; il Sistema Solare e l’astrobiologia. Dal punto di vista tecnologico, l’Osservatorio è coinvolto con ruoli di rilievo e spesso di guida in molti dei grandi progetti futuri per strumentazione e telescopi da terra e dallo spazio, quali il Very Large Telescope, l’Extremely Large Telescope, lo Square Kilometer Array, la missione ARIEL dell’Agenzia Spaziale Europea.
Il cielo, dove finisce il mare
Intervista a Paolo Volpini
(a nome dell'Associazione Astrofili di Piombino)
(a cura di Monica Pierulivo)
(Eclissi parziale di luna del 28 ottobre 2023)
A Piombino, nel parco naturalistico di Punta Falcone, l'Associazione Astrofili gestisce un osservatorio astronomico ben equipaggiato. Ricavato dal rudere di un bunker della II guerra mondiale, si trova in mezzo al mare, distante dalle luci della città, un punto eccezionale per l'osservazione del cielo.
1. Osservare le costellazioni significa riflettere sui concetti di spazio e tempo. Qual è il significato di questa esperienza?
Ci sono diversi modi per vivere l’approccio con l’osservazione della volta celeste. Ad occhio nudo, con le riprese fotografiche, con il telescopio. In tutti i casi lo sguardo ci porta lontano dalla superficie terrestre e si parte per un viaggio nelle profondità del cosmo ma anche a ritroso nel tempo.
Gli oggetti del cielo sono così lontani che la loro luce impiega molti anni a raggiungere i nostri occhi. Ad occhio nudo possiamo percepire stelle lontane fino a centinaia di anni luce. Le vediamo quindi come erano alcuni secoli fa.
Con i telescopi riprendiamo galassie a decine di milioni di anni luce da noi, e le osserviamo come erano in epoche remote. E’ un po’ come se facendo una passeggiata potessimo incontrare Einstein, Galileo e … i dinosauri! Una sensazione straordinaria!
(Suggestiva immagine a colori della nebulosa M 27 ripresa dall’Osservatorio di Punta Falcone)
2. Quando nasce l'Osservatorio di Punta Falcone a Piombino e quali sono gli strumenti che si trovano al suo interno?
La nascita dell’Osservatorio di Piombino è stata un’esperienza pionieristica.
L’Associazione astrofili è stata tra le prime in Toscana a dotarsi di un punto osservativo permanente. Fu davvero un’impresa, a partire dal recupero dei ruderi della II Guerra Mondiale alla realizzazione della specola, con un telescopio di buone prestazioni per l’epoca e un tetto in grado di ruotare. Era la metà degli anni ’70. Non solo, ovviamente, non esistevano personal computer e tanto meno internet: a Punta Falcone non c’era nemmeno la corrente elettrica e le attività iniziarono grazie a delle batterie di camion acquisite grazie a una donazione.
Negli anni l’Osservatorio ha più che triplicato la propria dotazione strumentale.
Abbiamo un telescopio riflettore nella cupola al piano superiore, destinato al pubblico in visita. Lo strumento ha un diametro 14″ (356 mm.) e lunghezza focale 2.845 mm.
Il dilemma di Hugh Grant, ovvero la dialettica tra spazio e luogo in Geografia
Lo spazio esiste come categoria materiale oggettiva, oppure può assumere significati e percezioni diversi a seconda della prospettiva? La domanda, particolarmente viva nel dibattito post-moderno, tocca direttamente la geografia, scienza “che ha per oggetto lo studio, la descrizione e la rappresentazione della Terra nella configurazione della sua superficie e nella estensione e distribuzione dei fenomeni” e una delle discipline neglette dell’attuale ordinamento scolastico.
Tradizionalmente, nella nomenclatura geografica il termine “spazio” qualifica una porzione della superficie terrestre mantenendo una declinazione neutra, oggettiva, geometrica e misurabile. A partire dal Rinascimento si fondano su questa logica cartesiana numerose applicazioni dell’attività umana, da quelle artistiche (la prospettiva) a quelle cartografiche (le misurazioni trigonometriche) o politiche (giurisdizioni e confini). In questo senso, la nozione di spazio cartesiano si differenzia da altri concetti geografici quali “territorio”, che definisce lo spazio antropizzato, gestito e organizzato secondo strutture politiche, economiche e culturali, o “luogo” (che in inglese viene restituito come “place”), cioè spazio investito da rapporti soggettivi percettivi ed emotivi (Tuan, 1974; Maggioli, 2015).
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Verso l'infinito e oltre
di Francesco Viegi
"Perche' scali le montagne?" chiesi.
"Perche' sono li'" mi disse Stefano.
In questa risposta c'e' un' intima descrizione di cosa sia il genere umano e della sua continua tensione verso l'oltre.
"Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza" scrive Dante nella Divina Commedia, parlando di Ulisse che aveva attraversato le colonne d'ercole.
Colombo con le sue caravelle, Marco Polo ed il suo incredibile viaggio raccontato nel Milione, David Livingstone che attraversando l'Africa nera diceva: "I will go anywhere, provided it be forward".
Persino Buzz Lightyear proclama con orgoglio: "Verso l'infinito ed oltre".
Questa tensione verso l'ignoto, questa voglia di oltrepassare il confine per scoprirne un altro, e' una delle caratteristiche che più propriamente ci rendono umani.
Avremmo potuto rimanere semplicemente sui rami e vivere in armonia con la natura ... ma siamo scesi, abbiamo acceso il fuoco, scheggiato la selce, creato la ruota, scalato montagne (appunto), dipinto caverne, solcato i mari ed imparato a volare.
E' perfettamente ovvio che conquisteremo anche lo spazio.
Abbiamo già iniziato a farlo. E' solo molto complicato.
Le difficolta' sono enormi, basti pensare al fatto che si tratta di un ambiente in cui non potremmo sopravvivere: niente ossigeno, niente calore, niente di niente ... lo Spazio, appunto.
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Spazi e luoghi
“Se un luogo può definirsi come identitario, relazionale, storico, uno spazio che non può definirsi né identitario né relazionale né storico, definirà un nonluogo”.
In uno dei libri più influenti della seconda metà del secolo scorso Marc Augé definiva, dopo una accurata riflessione sulla natura del luoghi, il rapido diffondersi di contesti spaziali rappresentativi di un’epoca, da lui chiamata surmodernità. Mai forme pure – né il logo né il nonluogo sono degli assoluti – e tuttavia la distinzione tra luoghi e nonluoghi “passa attraverso l’opposizione del luogo con lo spazio”.
L’elenco puramente indicativo ed esemplare di nonluoghi che fa Augé nel testo – dagli autogrill ai campi profughi, dagli aeroporti ai centri commerciali alle autostrade – ha ingenerato, soprattutto (crediamo) in chi non ha letto il libro, una estensione ed una sovrapposizione dell’idea di nonluogo al brutto, al degrado, all’abbrutimento delle relazioni sociali. In questa chiave, il paesaggio toscano, quello stereotipicamente fissato nell’immaginario turistico mondiale, sarebbe un luogo (ha identità e storia, contiene relazioni) mentre la periferia di una metropoli fatta di cemento e disordine urbanistico diventa per opposizione un nonluogo, spazio desertificato del suo passato, anonimo e terreno della lotta di tutti contro tutti per la sopravvivenza. Ma le cose stanno davvero così?
Lo “spazio”, la “storia” e la “conoscenza” nel lavoro del geologo
Lo “spazio” è un termine dai tanti significati. Può essere un posto in cui collocare gli oggetti, a prescindere dalla loro dimensione, che diventa infinita quando ci si riferisce a ciò che è esterno alla Terra. Qui per spazio si intende un territorio più o meno ampio. Quanto sia ampio e cosa racconta a un geologo è il tema di questa nota, che non può che essere incompleta e soggettiva, ma che si basa su un quarto di secolo di attività professionale.
I larghi spazi sono quelli del rilievo geologico e, per suggerire un ordine di grandezza, l’esempio di Bernardino Lotti (1847-1933) appare straordinario.
Nato a Massa Marittima, prese servizio nel Regio Comitato Geologico a trentadue anni e, nei quaranta successivi, «percorse a piedi, talvolta con il mulo», ma sempre con il «fedele» Pietro Fossen, il territorio di «252 tavolette al 25.000», ognuna delle quali «copre una superficie di 100 chilometri quadrati». L’intera Toscana, Elba compresa e parte dell’Umbria furono attraversati da Bernardino Lotti, che ci ha trasmesso un patrimonio immenso di conoscenza geologica.
Più comunemente il geologo è chiamato a confrontarsi con altre realtà professionali per il progetto di opere, anche importanti, ma pur sempre puntuali rispetto ad uno spazio misurabile in chilometri quadrati e la diversa formazione si manifesta nei comportamenti...
La giustizia spaziale come metodo (per il diritto)
Da almeno un decennio a questa parte, è andata strutturandosi nel dibattito scientifico europeo una riflessione sulla c.d. giustizia spaziale. A partire da alcuni apporti di importanti esperti degli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, dal 2010 circa, soprattutto dopo il lavoro di Edward W. Soja (Seeking Spatial Justice), è approdato anche nel vecchio continente, e, in particolare, a Parigi, un modello teorico che punta essenzialmente a valorizzare la condizione umana nella sua dimensione abitativa, all’interno così come all’esterno delle città.
Si tratta di una interessante riflessione teorica che, in estrema sintesi, cerca di comprendere quali siano le situazioni di ingiustizia che si possono produrre su scala territoriale nei processi sociali, culturali, economici e, dunque, istituzionali, e, si prefigge, per tale via, di fornire alcune indicazioni sull’obiettivo ultimo cui essa ambisce: la costruzione di uno “spazio giusto” in cui possa svolgersi un’esistenza umana qualitativamente accettabile e svilupparsi, quindi, la stessa personalità umana (art. 2 Cost.)...
Spazio e paesaggi interiori
Premessa
Mi ci sono voluti molti anni e diverse frequentazioni per capire la straordinaria differenza tra panorama e paesaggio. Uno, si osserva da lontano, fermi e immobili; l’altro si attraversa passandoci dentro, ascoltando e sentendo umori, suoni, profumi, odori e strati di ciottoli o terriccio sotto i piedi.
Come dire: il paesaggio è una cosa tridimensionale, o meglio uno spazio multidimensionale. Un panorama lo puoi vedere anche al cinema, in un documentario, in una foto o anche bello e pronto per il desktop del computer.
Anche la modalità in cui si frequentano è diversa: una, impone un percorso disposto ad accoglierti e offrirti sorprese e imprevisti; l’altro potrebbe essere anche realizzato da uno screenshot per immagini virtuali. La misura è quindi determinata dallo spazio, dalla maniera in cui sappiamo penetrare dentro quelle figure e quelle cose intraviste che continuando nel percorso, a terra, in volo come in acqua, ci mettono difronte a una soglia precisa: stare in mezzo.
Anni fa percorsi, sul dorso di un dromedario, un famoso deserto, all’epoca giravano molte foto di dune e ammassi di sabbia stagliati su un cielo azzurro fitto fitto; eppure, una volta incamminatomi dentro, ho percepito chiaramente il tipo di calore, l’aria e il vento, il giorno e la notte, la sete e il sole per nulla afoso e la dilatazione infinita di una linea dell’orizzonte sempre provvisoria e imprecisa.
Oltre lo spazio della mercificazione dei beni
Rilocalizzare l’insediamento umano nel territorio per una reale transizione ecologica
L’insediamento umano mostra ormai nella cifra urbana la sua più impressionante e purtroppo anche catastrofica espressione spaziale ed ambientale[1]. Ciò significa che affrontare il tema di una reale ed equa riconduzione e transizione ecologica della società umana entro il “limiti planetari” (Rockström et al. 2009), anche per chi è impegnato in costruzione di politiche e di piani, implica affrontare il tema della città, ed in particolare di quelli che sono le grandi ragioni che fanno da sfondo a questo possente “motore estrattivo” di risorse, naturali ed umane. Ragioni che non permettono più di affrontare la questione ecologica in termini meramente mitigativi o adattivi richiamando soluzioni più o meno “smart” e genericamente per “ambienti urbani più sostenibili”.
L’insediamento urbano, in particolare nella sua espressione metropolitana non solo del “nord globale” ma ormai in numerosissime altre metropoli del prossimo e lontano oriente, è in realtà un costrutto socio-spaziale che è al tempo stesso prodotto e motore dell’organizzazione e strutturazione dei processi che permettono la riproduzione dell’attuale modello economico capitalistico sempre più polarizzato ed eterodiretto (Tornaghi, Dehaene 2021).
Per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti
di Leonardo Animali
“SPAZIO ai giovani!”: si tratta dell’espressione più usata delle generazioni adulte, specie quelle ricche e benestanti, nel loro ingannevole lasciar intendere il poter retrocedere di qualche passo dalle proprie posizioni, per dare qualche piccolo e sorvegliato ruolo alla generazione più giovane.
Basta scrivere l’espressione “spazio ai giovani” su qualche motore di ricerca, per registrare la sua esponenziale potenzialità di indicizzazione sulla rete, in campi più diversi. Ma qual è nella realtà lo spazio che le generazioni adulte riservano ai giovani?
Nell’ambito politico lasciamo perdere. Lì ci sono ruoli solo per quelli che accettano di farsi addomesticare. In un’Italia che sta attraversando la fine della democrazia, il criterio fondante delle oligarchie dei partiti è esclusivamente, e non da ora, quello della fedeltà.
Nel mondo del lavoro e dell’università, non sembra che la situazione sia migliore. Se volessimo guardare alla regione dove abito, le Marche, tra il 2020 e il 2021 oltre sedicimila under 35 se ne sono andati a vivere stabilmente all’estero o in altre realtà italiane. In una terra di poco meno di un milione a mezzo di abitanti, più dell’1% della popolazione è migrato altrove; è come se fosse sparita d’improvviso una città grande come Porto San Giorgio, senza che se ne accorgesse o curasse qualcuno. Quando, al contrario, questo è un dato per cui le cosiddette classi dirigenti regionali non dovrebbero prender sonno la notte.
Campo XXV Aprile
Un luogo civico di comunità
“Luoghi straordinari. Che raccontano storie e ispirano azioni.” è una parte di quanto si legge nella home del progetto “beCivic” di Fondazione Italia Sociale (https://becivic.it/civic-places/), un progetto che ha voluto sottolineare non solo l’importanza dei luoghi riconosciuti come riferimenti dalla comunità locale, ma il valore che acquisiscono partendo proprio dalla centralità della persona, superando il mero concetto di spazio e adottando quello di luogo che contiene in sé il valore personale e intimo dell’appartenenza.
Un esempio di civic place (spazio civico) si trova a Roma, nel quartiere popolare di Pietralata, all’interno del IV Municipio, una zona urbanisticamente priva di luoghi di ritrovo spontanei, come piazze, e con pochi parchi lasciati nel tempo in condizione di abbandono e solo recentemente presi in carico da comitati locali che li difendono anche dalla cementificazione e da un’urbanistica aggressiva, come la volontà di costruire uno stadio nella zona che ha aperto un dibattito pubblico rilevante viste le problematiche di tipo logistico che possono derivarne per gli abitanti (https://www.dpstadioroma.it/) ...
La biblioteca. Uno spazio di apprendimento e di democrazia
Tra le tante declinazioni del concetto di spazio, mi sta a cuore focalizzare l’attenzione su quello che reputo un luogo di fermento culturale, miglioramento sociale, presidio di educazione e comunicazione democratica: la biblioteca, più specificamente la biblioteca scolastica[1]. La ritengo necessaria per fronteggiare l’emergenza educativa sempre più allarmante, specialmente in aree considerate più a rischio.
Dentro la scuola, una biblioteca innovativa è uno spazio di apprendimento in cui, grazie allo sviluppo integrato di tecnologia e tradizionale attività di letto-scrittura, è possibile valorizzare e approfondire gli interessi individuali in una dimensione socializzante, superare la rigidità dell’articolazione disciplinare con l’integrazione tra i saperi e le arti, potenziare lo sviluppo di immaginazione e creatività e uscire fuori dalla centralità del gruppo classe, favorendo potentemente l’inclusione, il multilinguismo e la multimedialità.
[1] “La biblioteca scolastica è uno spazio fisico e digitale di apprendimento della scuola, nel quale la lettura, l’indagine, la ricerca, il pensiero, l’immaginazione e la creatività sono fondamentali per il viaggio dell’informazione verso la conoscenza da parte degli studenti e per la loro crescita personale, sociale e culturale” (Linee guida dell’IFLA, 2015).
Medea chi sei tu veramente?
di Franco Novelli
Il sintagma “spazio” ha molti significati: è un luogo indefinito dove possiamo trovare degli oggetti; è l’ambiente in cui si muovono i corpi celesti – spazio astronomico -; c’è, poi, lo spazio interstellare; lo spazio aereo; lo spazio pubblico; c’è lo spazio verde – le abitazioni, per esempio, circondate da giardini e, quindi, ricche di vegetazione; c’è lo spazio architettonico.
Ma per spazio intendiamo anche una estensione di terreni dove si possono svolgere attività sportive, culturali, musicali, teatrali. Ebbene, è questo lo spazio che intendo in questa sede nel proporvi la lettura del mio intervento.
In uno scenario eccezionalmente piacevole, se non incantevole, sulle alture collinari di Castelbottaccio (Cb), paese ospitale, delizioso, in un’ampia campagna soleggiata e tra i covoni di paglia con cui si è soliti modellare, come da alcuni anni fanno con grintosa continuità Pina e le sue amiche, una specie di antico teatro greco, il pomeriggio/sera del 17 agosto scorso si è svolto il “Teatro di paglia”, caratterizzato dai contributi, in libertà, di letture, di recitazione e di semplici pensieri di quanti amano da anni frequentare questo tradizionale, vagheggiato, appuntamento.
Il mio contributo ha tratteggiato la figura tragica ed infelice di Medea, di cui qui di seguito ne propongo una sintesi, donna alla quale oggi si raffigurano emblematicamente le donne migranti, povere, infelici, sfruttate, violentate nel fisico e nell’animo..
Lo spazio sul parquet: armonia e cambiamento
La spaziatura, e più precisamente una buona spaziatura, è un aspetto fondamentale del gioco della pallacanestro e il suo concetto generale è che i giocatori in campo, soprattutto durante l'esecuzione offensiva, dovrebbero sempre cercare di stare ad almeno 12-15 piedi (3.5 -4.5 metri) di distanza l'uno dall'altro. Si tratta di una necessità di questo gioco per il raggiungimento di un fine, fare canestro. La spaziatura deriva dal termine inglese spacing perché il basketball nasce negli USA:
James Naismith, insegnante di educazione fisica canadese naturalizzato americano, inventò il gioco del basket a Springfield, in Massachusetts, nel 1891 per mantenere i suoi studenti in attività durante l’inverno. Il gioco ebbe un successo immediato e l’originale sport americano si diffuse immediatamente ad altri college e associazioni… (National Geographic - La Nascita del basket).
Dagli Stati Uniti questo sport si diffonderà in tutto il mondo, Italia compresa, aggiungendo e cambiando regole, adattandosi ai vari contesti nazionali e locali, dando vita a culture cestistiche simili tra loro ma diverse in alcuni particolari, tra l’altro molto importanti, come la dimensione del campo che determina diversi approcci al gioco, filosofie offensive e difensive differenti, caratterizzate per l’appunto da specifiche spaziature le quali hanno determinato storicamente (e stanno determinando) evoluzioni peculiari del gioco stesso...
Spazi rock e oltre
di Paolo Mazzucchelli
Spazio, un termine che al solo pensiero riesce a dare un senso di piena libertà tanto quanto di sgomento di fronte ad un qualcosa di immenso. Negli anni ’60 lo spazio sopra le nostre teste si trasformò in un nuovo terreno di competizione e confronto fra le due superpotenze, USA e URSS senza peraltro perdere la fascinazione esercitata da quei mondi ora meno lontani, anzi forse addirittura raggiungibili. Emozioni, suggestioni che presto cominciarono una costante frequentazione con la grafica applicata alle copertine dei dischi a partire, nel 1968, dalla colonna sonora del capolavoro di Stanley Kubrik.
Cronache spaziali, suggestioni musicali o colonne sonore sono rappresentate in egual modo con navicelle spaziali di varie fogge...
NELLA STIVA
NOTIZIE E SEGNALAZIONI
Letture
Spazi del possibile. I nuovi luoghi della cultura e le opportunità della rigenerazione, a cura di Roberta Franceschinelli, Franco Angeli 2021
Nel corso degli ultimi dieci anni si è assistito in tutta Italia alla diffusione di nuovi centri culturali multidisciplinari e ibridi in cui si sperimentano linguaggi e si indaga il contemporaneo fuori dai contesti tradizionali. Questo libro ne racconta il fenomeno. Una pubblicazione che si rivolge a professionisti del settore, a coloro che gestiscono spazi culturali o pianificano interventi sul territorio, a policy maker e amministratori locali, a chi è interessato alle nuove forme della cultura contemporanea e ai processi di innovazione sociale e urbana.
I luoghi che curano, di Paolo Inghilleri, Paolo Cortina editore, 2021
Le nostre vite sono attraversate da un senso di malessere diffuso e persistente: insoddisfazione, insicurezza, timore per il futuro possono trasformarsi in ansia, depressione, apatia.
"I Luoghi che Curano" indaga le cause psicologiche e sociali di questo star male: dalle eccessive possibilità di scelta all’ineludibile confronto con altre culture, dalla crisi economica al destino incerto del pianeta. Ma ognuno di noi, in quanto appartenente a una specie biologica, possiede diversi fattori protettivi: la capacità, attraverso l’empatia, di comprendere l’altro e di collaborare, la predisposizione alla resilienza, la tendenza innata a raggiungere stati esperienziali positivi.
A partire da queste premesse, Paolo Inghilleri affronta il tema della cura, non in termini generali ma rispetto agli effetti terapeutici dei luoghi, degli oggetti e della natura, e illustra come dovrebbero essere i paesaggi, le città o le costruzioni architettoniche idonei a “curare” e a farci star bene.
Lo fa con esempi di casi reali, dagli slum di Mumbai alle opere di grandi architetti come Alejandro Aravena, Stefano Boeri e Renzo Piano, dai criteri di utilizzo dei beni comuni a quelli di gestione della propria dimora.
Una parte importante è dedicata agli effetti benefici della natura sulla mente e sul comportamento, e al modo in cui tutto questo s’interseca con il futuro ambientale del pianeta e con ciò che ci ha insegnato la pandemia da Covid-19.
L'invenzione della terra, di Franco Farinelli, Sellerio editore, 2016
Che idea avevano della forma della Terra gli antichi, gli uomini del Medioevo e poi i moderni? Come se la immaginavano? E perché se la immaginavano proprio in quella maniera? La questione non è affatto semplice, appunto perché decidere tra le due forme, la piatta e la sferica, è l'atto originario dell'intera riflessione occidentale, nel senso che è proprio intorno a questo problema che la riflessione dell'Occidente sul mondo si struttura, si organizza". La Terra è spazio, immensa estensione, un quadro generale. E la carta geografica che fornisce l'orientamento per muoversi nelle località più concrete della vita vissuta. Non è stato sempre così. Quando il mondo era molto più piccolo, quando era in gran parte sconosciuto e dunque i territori noti erano solo un parziale anticipo di un altrove terreno misterioso, le rappresentazioni della Terra svolgevano probabilmente un'altra funzione, o la stessa in modi diversi. Erano mappe, ma di cosa? Questo libro racconta l'evoluzione della geografia - dalla Genesi e l'Enuma Elis babilonese alla moderna cartografia - in quanto storia di un progressivo disincanto. Dal Mondo alla carta geografica. Come, attraverso cosmogonie, cosmologie, e cosmografie, il vago e mitico universo-tutto, lentamente e laboriosamente, ha partorito la Terra.
La mappa perduta. Storia della carta che cambiò i confini del mondo. di Toby Lester (Autore) M. Gardella (Traduttore)
Rizzoli, 2010
Stampata in mille copie nel 1507, scomparsa per secoli, ritrovata nel 1901 da un gesuita tedesco, e infine acquistata nel 2003 dalla Biblioteca del congresso per dieci milioni di dollari. Sembra la trama di un thriller ma è cronaca: la storia vera della mappa di Waldseemuller, la prima testimonianza a noi nota della parola "America" e una tra le prime rappresentazioni del mondo che indichino l'esistenza di una terra inesplorata e di un altro oceano fra Europa e Asia. Un'intuizione incredibile, dato che il nuovo continente sarebbe stato riconosciuto come tale solo nel 1513. Fu solo un caso? O Martin Waldseemuller e il suo collega Matthias Ringmann avevano accesso a documenti di esplorazioni precedenti, di cui oggi si è persa la memoria? Da questa domanda si dipana una saga affascinante che dai monasteri benedettini del Medioevo ci porta nel cuore dell'età delle scoperte, nel fermento intellettuale e politico di un tempo che cambiò letteralmente la faccia della Terra. Dalle pagine di Lester riemergono le voci di Cicerone, che descrisse un mondo circolare diviso in cinque zone, di Matthew Paris che poneva l'est in cima alla mappa, di Amerigo Vespucci i cui piccanti resoconti delle abitudini degli indigeni convinsero Waldseemuller a dare il suo nome al nuovo continente, e di moltissimi altri.
Collaborano con noi:
Velio Abati
David Abulafia
Leonardo Animali
Pupi Avati
Katia Ballacchino
Alberto Barausse
Giuseppe Barbera
Alessandra Bazzurro
Patrizia Becherini
Stefano Benvenuti Casini
Maddalena Bergamin
Cristina Berlini
Annunziata Berrino
Giuliana Biagioli
Francesco C. Billari
Antonio Bonatesta
Gabriella Bonini
Ermanno Bonomi
Barbara Borgi
Sonia Bregoli
Filippo Bruni
Daniela Bruno
Adriano Bruschi
Marco Cadinu
Mario Calidoni
Fabio Canessa
Luciano Canfora
Maurizio Canovaro
Luca Caprara
Enrico Caracciolo
Mauro Carrara
Alessandra Casini
Piero Ceccarini
Giovanni Cerchia
Roberto Cerri
Fred Charap
Lucia Checchia
Maddalena Chimisso
Maria Chimisso
Federica Cicu
Augusto Ciuffetti
Graziella Civenti
Pietro Clemente
Giovanni Contini
Ilic Copja
Paolo Coppari
Paolo Corbini
Lauretta Corridoni
Marta Cristianini
Francesca Curcio
Giancarlo Dall’Ara
Simone D'Ascola
Stefano D'Atri
Marzia De Donno
Roberta De Iulio
Antonio De Lellis
Maria Carla De Francesco
Antonella De Marco
Maurizio Dell'Agnello
Vezio De Lucia
Mirco Di Sandro
Michele Ercolini
Alessandro Fabbrizzi
Francesco Falaschi
David Fanfani
Paolo Favilli
Francesco Ferrini
Maria Fiano
Antonio Floridia
Giovanni Luigi Fontana
Sergio Fortini
Marina Foschi
Tiziano Fratus
Francesca Gabbriellini
Nicola Gabellieri
Beatrice Galluzzi
Roberta Garibaldi
Danilo Gasparini
Maria Pia Gasperini
Vera Gheno
Stefano Giommoni
Marco Giovagnoli
Antonella Golino
Luciano Guerrieri
Sara Guiati
Alfonso Maurizio Iacono
Fabio Indeo
Matteo Innocenti
M. Cristina Janssen
Anna Kauber
Mario Lancisi
Patrizia Lattarulo
Toby Lester
Marta Letizia
Donatella Loprieno
Stefano Lucarelli
Michele Lungonelli
Giuseppe Lupo
Stefano Maggi
Enrico Mannari
Marco Marchetti
Nunzio Marotti
Alessandra Martinelli
Luca Martinelli
Michele Mazzi
Paolo Mazzucchelli
Manuela Militi
Chiara Missikoff
Guido Morandini
Massimo Morisi
Marco Moroni
Rossella Moscarelli
Tiziana Nadalutti
Alessandra Narciso
Sasha Naspini
Franco Novelli
Francesco Orazi
Sergio Paglialunga
Maurizio Pallante
Luca Pallini
Gianni Palumbo
Vito Palumbo
Anna Paolella
Caterina Paparello
Letizia Papi
Vincenza Papini
Roberto Parisi
Valeria Parrini
Giorgio Pasquinucci
Antonello Pasini
Camilla Perrone
Marco Petrella
Gloria Peria
Paolo Piacentini
Leonardo Piccini
Manuel Vaquero Piñeiro
Carlo Pistolesi
Elena Pontil
Federico Prestileo
Gabriele Proglio
Chiara Daniela Pronzato
Alberto Prunetti
Fernanda Pugliese
Lorenzo Ramacciato
Sofia Randich
Silvia Ranfagni
Giuseppe Restifo
Marina Riccucci
Andrea Rolando
Rudy Rossetto
Enrico Russo
Rita Salvatore
Giampiero Sammuri
Giacomo Sanavio
Giuseppe Santarelli
Antonio Santoro
Claudio Saragosa
Stefano Sarzi Sartori
Cinzia Scaffidi
Vincenzo Scaringi
Matteo Scatena
Nicola Sciclone
Alessandro Simonicca
Federico Siotto
Lorenza Soldani
Albertina Soliani
Alessandra Somaschini
Gianna Stefan
Alberto Tarozzi
Cecilia Tomassini
Cristiana Torti
Aurora A. Totaro
Agata Turchetti
Giulia Ubaldi
Elisa Uccellatori
Olimpia Vaccari
Gianpiero Vaccaro
Giorgio Vacchiano
Federico Valacchi
Maurizio Vanni
Giorgio Vecchio
Francesco Vincenzi
Daniele Vergari
Elio Vernucci
Marco Vichi
Francesco Viegi
Angela Vitullo
Marta Vitullo
Alessandro Volpi
Paolo Volpini
Andrea Zanetti
Enrico Zanini
Donato Zoppo
Massimo Zucconi