NavigAzioni tra locale e globale
Nautilus è una rivista mensile che non parla solo di cultura ma è cultura: nella narrazione di ciò che accade, partendo dai territori locali per spingersi e confrontarsi con altri luoghi, fisici o immateriali, si propone di raccontare le vie che la cultura intraprende attraverso le molteplici vesti con le quali si manifesta, con lo scopo di offrire una visione multidimensionale dei processi e di proporre una mappa dei problemi e delle opportunità del patrimonio e delle attività culturali.
Di volta in volta, si viaggerà nel tempo e nello spazio, cercando di costruire ponti metaforici tra passato, presente e futuro, tra locale e globale, tra centro e periferia, tra competenze diverse, tra punti di vista plurali per offrire, in ciascun numero, non una fotografia dell’esistente bensì un’immagine in movimento di ciò che sta accadendo, che sia foriera di nuove prospettive.
Sommario
Ottobre 2024 n. 40
Editoriale
Per una nuova ecologia della mente
Quale struttura connette il granchio con l’aragosta, l’orchidea con la primula e tutti e quattro con me? E me con voi? E tutti e sei con l’ameba da una parte e con lo schizofrenico dall’altra?
(G. Bateson, Verso un’ecologia della mente, 1972).
Secondo Gregory Bateson, grande pensatore, antropologo e sociologo del ‘900, è necessario favorire una comprensione ampia e globale del mondo e dei processi viventi. I comportamenti e la comunicazione non possono essere compresi attraverso un dualismo oppositivo di tipo cartesiano che separa mente e materia, cognizione ed emozione, organismo e ambiente, natura e cultura.
Nella nostra epoca questo dualismo è ancora più pericoloso, perché l’uso della potente tecnologia di cui disponiamo, può consentire di arrecare gravi danni all’ambiente circostante, come in effetti sta succedendo. Se la natura sistemica viene ignorata, si generano alterazioni incomparabili. L’uomo distrugge il proprio ambiente e non si accorge di distruggere anche se stesso. La lezione di Bateson appare pertanto ancora molto attuale; di fronte alle grandi questioni dettate dall’emergenza climatica, ormai ineludibili, urge una riflessione seria sulle relazioni tra l’uomo e il sistema in cui vive.
La grande sfida
Clima, ambiente, energia: l’urgenza di cambiare
Intervista a Roberto Buizza
(a cura di Monica Pierulivo)
1. Il cambiamento climatico ormai è una realtà, non si può più negare e anche gli avvenimenti di questi ultimi giorni, piogge intense e territori devastati dagli allagamenti, ne sono una dimostrazione incontrovertibile. Il fenomeno è sempre più evidente nel Mediterraneo e in Europa in generale dove sembra che sia più visibile rispetto ad altre regioni del mondo. Qual è la situazione reale?
Non solo il cambiamento climatico è una realtà, ma noi, specie umana, continuando ad emettere gas serra a causa del continuo utilizzo di combustibili fossili (carbone, olio combustibile, metano) stiamo causando un’accelerazione del riscaldamento. Negli ultimi 100 anni abbiamo assistito ad una variazione del clima molto veloce, ad un riscaldamento medio globale di 1.5oC in circa 100 anni, mentre nel passato variazioni naturali di questa ampiezza avvenivano su migliaia e/o decine di migliaia di anni. Sottolineo inoltre che negli ultimi anni abbiamo assistito ad un’accelerazione del riscaldamento: mentre tra il 1980 ed il 2000 la temperatura media globale è salita di circa 0,11oC ogni 10 anni, tra il 2010 ed il 2022 è cresciuta di 0,25oC ogni 10 anni: quindi più del doppio.
Mai prima di quest’ultimo secolo l’uomo era stato in grado di modificare il clima della Terra. E mai come oggi siamo certi che il continuo utilizzo dei combustibili fossili sia la causa principale del cambiamento degli ultimi 150 anni, e che il loro uso continuo causerà cambiamenti ancora più drammatici. Le variazioni naturali del sistema Terra possono al massimo spiegare il 15-20% delle variazioni del clima: il resto è tutto ad opera dell’uomo.
Parlando di variazioni regionali del clima, il primo punto da sottolineare è che anche se il riscaldamento è globale e diffuso, certe aree del globo si scaldano di più di altre: l’area mediterranea è una di queste aree, assieme ai Poli. In quest’area il riscaldamento dall’era pre-industriale è di circa 3,5 gradi, quindi più intenso di un fattore di circa 2,5 del riscaldamento medio globale. Il motivo è la configurazione geografica della nostra regione, con un mare che ha uno scambio limitato di acqua e di calore con l’oceano Atlantico, e che quindi in generale è più caldo che l’Atlantico. Un mare circondato da terre emerse che nei periodi estivi si scaldano sempre di più anche perché la vegetazione è sempre più sotto stress (sia a causa del riscaldamento che della riduzione delle piogge), e quindi contribuisce sempre meno a limitare il riscaldamento superficiale.
La giustizia climatica fatta come si deve: le lavoratrici e i lavoratori
di Paola Imperatore ed Emanuele Leonardi
Giovedì 17 ottobre il Collettivo di Fabbrica ex-GKN ha diffuso un breve video – 77 secondi – destinato a passare alla storia. Si apre con Greta Thunberg, in piedi davanti ai cancelli della fabbrica di Campi Bisenzio, che – con lo sguardo determinato e l’eloquio incisivo che abbiamo imparato a conoscere – scandisce: “Lavoratori e lavoratrici di ogni settore e da ogni luogo si incontrano qui per mostrarci a cosa può assomigliare la transizione giusta e sostenibile”. La parola e le immagini passano poi a un giovane operaio, che racconta della chiusura improvvisa del 9 luglio 2021, della pronta reazione al sopruso e dell’intuizione inattesa: per avere una possibilità di vittoria, l’alleanza con i movimenti per il clima è condizione necessaria.
La palla torna all’attivista svedese: “Se vogliamo la giustizia climatica dobbiamo fermare la speculazione verso fabbriche come questa, perché questo minaccia direttamente la vita dei territori – di chi ci abita e di chi ci lavora”. Stacco: l’inquadratura si ferma su un gruppo di operai che denuncia l’arbitrio padronale nella filiera internazionale dell’auto: grandi profitti col nostro sudore – questo il succo – e ora i licenziamenti con la scusa trita e ritrita dei limiti ambientali.
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Storia della climatologia e riscaldamento globale
“Il clima è sempre cambiato” si sente talvolta affermare nel tentativo di sminuire la portata del riscaldamento globale degli ultimi secoli. Eppure, la scienza non ha mai avuto le idee così chiare: a essere “inequivocabile” non è solo il cambiamento climatico, ma anche l’influenza umana su di esso.
Ce lo dicono i dati, ce lo dicono le leggi della fisica e della chimica, e ce lo dicono anche i modelli climatici. Ma da quanto tempo siamo in grado di parlare del cambiamento climatico? Come si è evoluta la nostra conoscenza delle leggi che regolano il clima e il suo cambiamento?
L’umanità è da sempre stata affascinata dai fenomeni nel cielo e dal cielo, e i primi a provvedere a una istituzionalizzazione del ruolo dell’osservatore di fenomeni meteorologici sono stati i Babilonesi, per i quali l’osservazione di fenomeni quali i venti e le piogge, sistematica e con procedure precise, serviva per trarre presagi circa le sorti di un regno o di un sovrano.
No Planet B.
Uno sguardo a nascita e cambiamenti del movimento Fridays for Future
di Patrizia Lessi
Scrivevo in un articolo di alcuni anni fa che buona parte della letteratura e del cinema catastrofici del secolo scorso ci ha descritto un futuro in cui con noi sarebbe scomparso anche il mondo conosciuto. Vuoi per un incidente nucleare, la terza guerra mondiale, un meteorite, un virus o gli alieni la sciagura globale non avrebbe riguardato solo il genere umano ma l’intero habitat condiviso con flora e fauna in ogni angolo della Terra. Finiti noi, finito tutto. A volte la Terra è stata immaginata come triste santuario adorato da lontano, nelle leggende trasmesse a generazioni che ormai vivono su stazioni spaziali o esplorano l’universo in cerca di una nuova casa fino ad arrivare laddove nessun uomo è mai giunto prima. A volte il pianeta è stato descritto moribondo, avvelenato dalle radiazioni o reso inospitale da una mesta cupola di inquinamento che ormai impedisce ai pochi superstiti di vedere o ricordare la luce del sole.
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Il cambiamento climatico globale attuale
di Carlo Bisci
Non c’è giorno che, più o meno correttamente, non si senta parlare del cambiamento climatico, dei suoi effetti, delle sue cause e delle possibili contromisure da dottare, per cui provo a sintetizzare in modo semplice alcuni punti chiave.
Che a livello globale da alcuni decenni il clima si stia modificando molto più rapidamente di quanto sia mai avvenuto nelle ultime centinaia di migliaia di anni è ormai confermato da innumerevoli osservazioni strumentali e completamente accettato da tutta la comunità scientifica, così come è unanimemente riconosciuta la pericolosità dei suoi effetti. Le uniche incertezze riguardano solo le previsioni sull’entità delle modificazioni che dobbiamo aspettarci nel prossimo futuro, data da un lato l’enorme complessità dei modelli e dall’altro la variabilità delle misure che potrebbero essere prese.
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Gli irriducibili nel tempo della catastrofe climatica
La sesta edizione dell’Indagine BEI (Banque européenne d’investissement) sul clima, uscita qualche mese fa, e che ha coinvolto i 27 stati membri della UE, ci fornisce una fotografia aggiornata sulla consapevolezza della catastrofe climatica dei cittadini europei. Con un punteggio di 6,41/10 gli italiani si collocano al 16° posto tra i 27 Stati membri dell'Unione europea. Ma già un sondaggio Ipsos per Amref Italia, fatto lo scorso anno nel periodo della COP 28 a Dubai, certificava che il 90% degli Italiani considera il cambiamento climatico una grave minaccia per il mondo intero, soprattutto per la salute dei cittadini. Da questo si può dedurre che la stragrande maggioranza degli Italiani non abbia niente a che spartire con il tema del negazionismo climatico. Dopotutto, nel nostro Paese, a convincerli, più che la scienza sono le drammatiche conseguenze dei fenomeni estremi negli ultimi anni. Le alluvioni di Marche nel 2022, Emilia Romagna e Toscana nel 2023, di nuovo Marche e Romagna nel 2024, seguite da Campania e Liguria, con vittime e danni, rappresentano fatti convincenti.
La fragilità delle dune, tra terra e mare
di Luca Sbrilli
L’ Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) è il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici istituito nel 1988. L’IPCC è un organo intergovernativo aperto a tutti i Paesi membri delle Nazioni Unite e della WMO (World Meteorological Organization), e attualmente ne fanno parte 195 Paesi. Sin dalle prime pubblicazioni del Report Annuale di questa organizzazione mondiale, redatte attraverso l’uso dei primi modelli previsionali basati sulla produzione eccessiva di CO2 e il conseguente riscaldamento globale, si capisce bene come gli allarmi del mondo scientifico siano stati pressoché ignorati dalle classi politiche di tutti gli Stati del mondo. Anche il tentativo di porre rimedio a questo stato di cose attraverso i vari COP (conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) sebbene un importante momento di confronto, sino ad oggi ha portato pochi benefici, limitandosi alle buone intenzioni. Anche la prossima COP29, a Baku capitale dell’Azerbaigian dopo la COP28 di Dubai (entrambi Paesi produttori di petrolio) si appresta a mantenere lo standard oramai consolidato di basso profilo nelle decisioni da intraprendere a livello globale.
Cambiamento climatico e terre alte
di Silvia Morato
Riabitare la montagna, non più solo come risposta a un’idea nostalgica o di montagna-rifugio, ma piuttosto come scelta verso una montagna-scrigno, fonte di valori, modello di sostenibilità e resilienza. È possibile anche grazie al cambiamento del clima?
Chiunque oggi parla di cambiamento climatico, ma trattarlo in modo scientifico è ben altra cosa, poiché la scienza non procede per meccanismo d’opinione, ma per verifiche sperimentali. Studi sulla storia del clima e sulla temperatura globale media negli ultimi 400.000 anni, affermano che l'attuale riscaldamento è parte di cicli naturali legati a eventi solari, correnti marine e attività vulcanica. C’è sempre stata una crescita della CO2 per cause naturali e con l’industrializzazione sono aumentate. Anche il rinverdimento globale, potenzialmente dovuto alla CO2, ha favorito, insieme alla tecnologia, un incremento della produzione agricola. Tranne la calotta antartica, i ghiacciai stanno diminuendo, innalzando lievemente il livello del mare.
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L’inafferrabile cambiamento climatico
La prima volta che il cambiamento climatico è entrato nel mio cono d’interesse era la primavera del 2015 quando ho letto distrattamente del materiale informativo su questo tema. Ricordo pochissimo. So che l’argomento non mi aveva interessato prima e ha continuato a non interessarmi per molti anni dopo questa lettura. Ricordo, soprattutto, che nel leggere quelle pagine avevo la sensazione che almeno una delle posizioni in gioco si avvicinasse all’area del complottismo.
La questione è restata fuori dai miei interessi ancora per vari anni, fino a quando Greta e i giovani non hanno portato il clima nelle nostre piazze. Tra il 2018 e il 2020 abbiamo sostenuto i nostri figli, ancora bambini o ragazzini, che manifestavano nelle piazze della città con bellissimi cartelli colorati. Abbiamo detto: “guarda come sono bravi questi ragazzi, guarda che brava Greta”; ma la nostra vita è andata avanti più o meno secondo i soliti binari.
Basta sorvegliare?
di Simone Ficicchia (Ultima Generazione)
L’11 gennaio 2023 la prima pagina del quotidiano Il Manifesto titolava “Sorvegliato speciale”[1], con dietro un’apocalittica foto della centrale a carbone di Mehrum (Bassa Sassonia), tornata in attività nel 2022, come tante altre, con la scusa della crisi energetica dovuta al conflitto Russia-Ucraina. Quel sorvegliato speciale ero io, che il giorno prima mi ero presentato davanti alla sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Milano per essere giudicato sulla mia pericolosità sociale. Ma quel sorvegliato speciale era anche il surriscaldamento globale: si dava, in parallelo, la notizia del report dell’Osservatorio sul clima della Commissione dell’Unione Europea, nel 2022 si erano raggiunte per la prima volta stabilmente 417 parti per milione di anidride carbonica nella nostra atmosfera. Il titolo era impostato per chiedersi “cosa dovrebbe veramente essere sorvegliato? La crisi climatica o chi, con tutti i mezzi a propria disposizione, cerca quantomeno di limitarne sia le cause che le conseguenze?”.
Scienza Aperta e archivi digitali
Tutela e valorizzazione del Cultural Heritage di fronte alla sfida del cambiamento climatico
di Maddalena Chimisso
La Berlin Declaration on Open Access to knowledge in the Science and Humanities (2003) e la UNESCO Recommendation on Open Science (2021), entrambe recepite dal Programma Nazionale per la Ricerca 2021-2027 attraverso il Piano Nazionale per la Scienza Aperta (2021), pongono l’accento sull’importanza delle procedure Open Access (OA) a supporto della scienza aperta, che rafforza la collaborazione scientifica e la diffusione delle informazioni, alimenta processi di creazione e di diffusione della conoscenza scientifica «aux acteurs de la societé au-delà de la communauté scientifique traditionelle» [UNESCO Recommendation on Open Science, 2021, p. 8], rende le conoscenze scientifiche multilingue e liberamente accessibili a tutti.
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Che spettacolo di catastrofe!
La catastrofe naturale sprigiona tutto il terrore e il fascino sui quali si fondano la letteratura, la pittura e il cinema. Si parte dall’eruzione del Vesuvio che ha ucciso Plinio il Vecchio e attrae, da trecento anni, folle di turisti a Pompei, si continua con “La ginestra” di Leopardi e le epifanie mozzafiato dei dipinti romantici di Caspar David Friedrich per arrivare alla spettacolarizzazione della sciagura che il cinema ha trasformato in clamorosi successi popolari. “Io e il ciclone” è un capolavoro di Buster Keaton girato nel 1928, ma il genere catastrofico esploderà negli anni Settanta, quando gli spettatori godevano del piacere di farsi spaventare da un film come “Terremoto”, per il quale le sale si attrezzarono con il sistema Sensurround, che prevedeva effetti sonori amplificati e la poltrona che tremava, per moltiplicare la paura.
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Agricoltura e mitigazione dei cambiamenti climatici: una nuova sfida per la sostenibilità
di Angelo Marucci e Luigi Mastronardi
Il cambiamento climatico è un tema di grande interesse e rappresenta un fenomeno di forte preoccupazione a livello globale per gli effetti prodotti sull’ambiente, sui sistemi sociali ed economici e sulla salute umana. Le emissioni di Anidride Carbonica (CO2) e di altri gas ad effetto serra quali Metano (CH₄) ed il Protossido di Azoto (N₂O), associate all’aumento dei picchi di temperatura, alle precipitazioni irregolari ed agli eventi climatici estremi (eccessiva siccità e piovosità), hanno degli effetti negativi sulle produzioni agro-zootecniche e mettono a rischio la sicurezza alimentare. In ogni caso, l’agricoltura in particolare quella intensiva è contestualmente causa e vittima del cambiamento climatico e di altre emergenze ambientali, ad esempio della perdita di biodiversità.
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Musica ed ecologia
Il tema del cambiamento climatico (così come il termine stesso) appartiene più al secolo che stiamo vivendo che non al precedente, così come la scelta da parte di artisti e gruppi di comunicare punti di vista o prese di posizione al pubblico tramite le copertine dei loro prodotti discografici. In quest’ epoca di musica liquida è difficile se non impossibile trovare tracce grafiche significative che accompagnino le uscite discografiche.
Maggior fortuna possiamo averla invece se ci riferiamo agli ultimi decenni del secolo scorso, anni in cui la copertina di un disco veicolava messaggi di vario tipo, compresi quelli che ruotavano intorno ai temi dell’ambiente e dell’ecologia. Inquinamento dell’aria e dell’acqua, timori legati all’energia nucleare, attenzione alle specie in via di estinzione, sono alcuni dei temi che possiamo rintracciare nei dischi di alcuni artisti ben intenzionati a dire la loro sulla salute del nostro pianeta.
Produzione di cibo e cambiamento climatico
di Francesco Sottile
Dopo molti anni in cui ci si è sforzati di scrivere e parlare affinché anche i più scettici potessero essere consapevoli della crisi climatica in atto, adesso l’obiettivo è sostanzialmente mutato. Non è più importante che credano nel collasso del clima ma che lo comprendano realmente imparando a leggere la documentazione scientifica prodotta con sempre più provata consapevolezza. Quegli scienziati che riconoscono che il sistema sta raggiungendo il punto di non ritorno validando modelli che già dalla seconda metà del secolo scorso lanciavano segnali allarmanti. L’inquinamento, visto come l’effetto dell’emissione di gas serra (o climalteranti) in atmosfera, ha risposto in modo proporzionale alla sempre più spinta industrializzazione che ha garantito uno stile di vita sempre più agevole nascondendo il prezzo pagato dall’ecosistema.
NELLA STIVA
LETTURE, NOTIZIE E SEGNALAZIONI
Migrazioni verticali
La montagna ci salverà?
(A cura di Andrea Membretti, Filippo Barbera, Gianni Tartari), Donzelli editore, 2024
La montagna è vista sempre più come un’opportunità di vita, un’alternativa tutto sommato vicina, da quanti desiderano abbandonare le metropoli, soffocate dagli effetti dell’iper agglomerazione sociale e produttiva. Il movimento dei «montanari per scelta» ha tracciato la pista, seguito dalla crisi pandemica e dalla diffusione dello smart working: oggi la pressione posta dal cambiamento climatico sulle città bollenti e inquinate fa emergere con più evidenza una diffusa aspirazione a trasferirsi nelle terre alte, che sia in modo permanente o per lunghi periodi all’anno. La verticalità entra così in queste forme di nuova mobilità umana, che possiamo ricondurre alla categoria più ampia delle migrazioni: chi sono dunque, e chi saranno nel prossimo futuro, i «migranti verticali»? Con un approccio transdisciplinare – dalla sociologia alla climatologia, alla geografia economica e alle scienze ambientali – e sulla base di dati scientifici originali, questo volume collettivo prova a tracciare un profilo delle diverse categorie di persone spinte verso la montagna da un insieme di fattori, tra i quali gli effetti dei mutamenti climatici nelle grandi città iniziano a rivestire un ruolo importante, a livello di immaginari come di progettualità concrete.
Christophe Blain e Jean-Marc Jancovici, Il mondo senza fine, graphic novel, Oblomov edizioni, 2023
Dall’incontro tra un importante creatore di fumetti e un esperto riconosciuto di energia e clima nasce Il mondo senza fine, progetto straordinario
che capitolo dopo capitolo discute e spiega i profondi cambiamenti che sta subendo il nostro pianeta, la nostra dipendenza dai combustibili fossili e dalle altre fonti di energia non rinnovabili, le conseguenze di queste scelte, già evidenti per la vita dell’uomo sul pianeta. Un libro fondamentale per comprendere l’emergenza del cambiamento climatico e scuotere le convinzioni più consolidate. Sebbene Jean-Marc Jancovici, uno dei più importanti esperti nell’ambito dei cambiamenti climatici, si concentri sulle questioni energetiche e sui cambiamenti climatici, non ne ignora le implicazioni sociali, ecologiche ed economiche. Christophe Blain, maestro del nuovo fumetto francese, mette la sua arte sontuosa e sorprendente al servizio di una delle più grandi emergenze del nostro tempo.
Gabriella Corona,
L’Italia dell’Antropocene
Percorsi di storia ambientale tra XX e XXI secolo, Carocci edit., 2024
Obiettivo del volume è guardare alla storia d’Italia dell’ultimo secolo e mezzo attraverso la categoria di “Antropocene”. Il nostro pianeta è entrato in una fase storica in cui le attività umane condizionano in maniera crescente gli assetti naturali. Riconoscere che gli esseri umani sono una forza geologica ed ecologica, in grado di trasformare le leggi della natura e di farne parte, suggerisce un mutamento profondo nel modo di rappresentare il rapporto tra ambiente e società, comporta l’impiego di modelli di conoscenza fondati sulla cooperazione fra saperi e linguaggi disciplinari differenti, ribalta i punti di osservazione dai quali indagare il passato. L’Antropocene impone di riportare la natura dentro la storia. Il libro propone una serie di percorsi volti a individuare e interpretare le modalità con cui il nostro paese ha partecipato a questi cambiamenti, valutandone cause, ricadute, implicazioni, responsabilità. L’autrice, delineando fasi storiche e punti di svolta, ne individua altresì specificità e peculiarità. Gli effetti della crisi climatica si intrecciano e si sovrappongono a problemi ambientali di più lungo periodo legati sia ai tratti strutturali della penisola sia alle scelte politiche, ai modelli di sviluppo, ai processi sociali, ai caratteri del dibattito culturale.
Roberto Buizza,
Weather Prediction. What everyone needs to know, Oxford University Press, 2023
Il tempo ha sempre influenzato la vita umana. Capire come si formano gli eventi meteorologici e prevedere che tipo di tempo sta per arrivare può aiutare enormemente a gestire il rischio meteorologico e diventerà ancora più importante con il passaggio a fonti energetiche fortemente dipendenti dall.e condizione metereologiche
Negli ultimi 40 anni sono stati fatti grandi passi avanti nella previsione numerica del tempo, grazie ai progressi in quattro aree chiave: il modo in cui osserviamo la Terra, la comprensione scientifica dei fenomeni, i progressi nel calcolo ad alte prestazioni (che hanno permesso l'uso di modelli sempre più complessi) e il miglioramento delle tecniche di modellazione. Oggi siamo in grado di prevedere con grande precisione eventi estremi come uragani e tempeste di vento extra-tropicali fino a 7-10 giorni prima. Siamo in grado di prevedere il percorso e l'intensità più probabile delle tempeste prima che colpiscano una comunità, di stimare il livello di confidenza della previsione e di fornire indicazioni molto preziose sul loro probabile impatto. I fenomeni su larga scala che interessano interi Paesi, come le ondate di calore o di freddo, i periodi con temperature estremamente alte o basse che durano giorni, possono essere previsti fino a 2-3 settimane prima che si verifichino. I
Territori vulnerabili
(a cura di Alfredo Mela, Silvia Mugnano, Davide Olori).
Franco Angeli 2024
Erroneamente si pensa che i disastri naturali siano un tema poco legato alle scienze sociali. Al contrario la sociologia dei disastri in Italia ha radici profonde e un percorso storico consolidato. Sebbene ogni evento abbia una data e un'ora precisa, il ciclo del disastro è costituito da un pre-evento (prevenzione e mitigazione) e un post-evento (risposta e recupero) e l'impatto che un disastro ha su un territorio non dipende solo da fattori fisici ma anche dalla capacità delle comunità colpite di sapersi preparare, affrontare e rispondere all'evento catastrofico. Questa capacità non si crea nel momento dell'evento ma è legata alle dinamiche sociali, economiche e politiche del territorio. I disastri naturali amplificano le vulnerabilità sociali del territorio, evidenziano i meccanismi virtuosi e i malfunzionamenti dei sistemi di governance locale e valorizzano il capitale sociale.
Il volume presenta una ricca e approfondita analisi di casi mettendo a confronto diversi disastri socio-naturali in un arco di tempo di più di mezzo secolo.
Lo studio delle dinamiche sociali dei terremoti dell'Irpinia (1980), de L'Aquila (2009) e di Mirandola (2012), le alluvioni di Firenze (1966), di Giampilieri-Messina (2009) e del Sannio-Benevento (2015) e i rischi eruzione dei vulcani Etna e Vesuvio aiutano ad avviare nuove riflessioni per la sociologia dei disastri ed evidenziano che è ancora aperta una questione sociale dei disastri.
Collaborano con noi:
Velio Abati
David Abulafia
Diego Accardo
Leonardo Animali
Flaminia Aperio Bella
Pupi Avati
Antonella Balante
Simone Baleani
Tina Balì
Katia Ballacchino
Alberto Barausse
Giuseppe Barbera
Alessandra Bazzurro
Patrizia Becherini
Marinangela Bellomo
Stefano Benvenuti Casini
Maddalena Bergamin
Cristina Berlini
Annunziata Berrino
Jacopo Bertocchi
Giuliana Biagioli
Anna Bigi
Francesco C. Billari
Carlo Bisci
Antonio Bonatesta
Gabriella Bonini
Lorenza Boninu
Ermanno Bonomi
Barbara Borgi
Arianna Brazzale
Sonia Bregoli
Dario Bressanini
Filippo Bruni
Daniela Bruno
Adriano Bruschi
Roberto Buizza
Marco Cadinu
Mario Calidoni
Federico Campagna
Fabio Canessa
Luciano Canfora
Maurizio Canovaro
Luca Caprara
Enrico Caracciolo
Mauro Carrara
Adolfo Carrari
Massimo Catarini
Francesco Catastini
Alessandra Casini
Piero Ceccarini
Carlo Cecchi
Carlo Cellamare
Giovanni Cerchia
Roberto Cerri
Fred Charap
Lucia Checchia
Maddalena Chimisso
Maria Chimisso
Federica Cicu
Diana Ciliberti
Augusto Ciuffetti
Graziella Civenti
Pietro Clemente
Giovanni Contini
Ilic Copja
Paolo Coppari
Paolo Corbini
Lauretta Corridoni
Luigi Costanzo
Marta Cristianini
Antonella Cucinotta
Francesca Curcio
Giancarlo Dall’Ara
Simone D'Ascola
Stefano D'Atri
Marzia De Donno
Roberta De Iulio
Antonio De Lellis
Maria Carla De Francesco
Antonella De Marco
Gianluca De Vito Franceschi
Maurizio Dell'Agnello
Claudia Della Valle
Vezio De Lucia
Antonella De Nisco
Andreina Di Girolamo
Mirco Di Sandro
Federica Di Sarcina
Giusi D'Urso
Silvia Duranti
Michele Ercolini
Alessandro Fabbrizzi
Elena Falaschi
Francesco Falaschi
David Fanfani
Paolo Favilli
Luigi Ferrajoli
Alessandra Ferrara
Maurizio Ferrari
Francesco Ferrini
Giulio Ferroni
Maria Fiano
Simone Ficicchia
Gianluca Fiorentini
Antonio Floridia
Giovanni Luigi Fontana
Sergio Fortini
Marina Foschi
Sara Franceschelli
Tiziano Fratus
Francesca Gabbriellini
Nicola Gabellieri
Sarah Gainsforth
Domenico Gallo
Beatrice Galluzzi
Roberta Garibaldi
Danilo Gasparini
Maria Pia Gasperini
Manuela Geri
Vera Gheno
Stefano Giommoni
Andrea Giotti
Marco Giovagnoli
Paolo Giovannini
Antonella Golino
Vittorio Graziosi
Jennifer Guerra
Luciano Guerrieri
Sara Guiati
Alfonso Maurizio Iacono
Barbara Imbergamo
Paola Imperatore
Fabio Indeo
Matteo Innocenti
M. Cristina Janssen
Anna Kauber
Sabrina Lallitto
Ingrid Lamminpää
Mario Lancisi
Patrizia Lattarulo
Gianluca Lentini
Emanuele Leonardi
Toby Lester
Marta Letizia
Donatella Loprieno
Leonardo Lovati
Stefano Lucarelli
Michele Lungonelli
Giuseppe Lupo
Stefano Maggi
Simone Mangani
Enrico Mannari
Marco Marchetti
Enrico Mariani
Nunzio Marotti
Alessandra Martinelli
Luca Martinelli
Angelo Marucci
Luigi Mastronardi
Michele Mazzi
Paolo Mazzucchelli
Giuseppe Melucci
Emanuele Menietti
Serena Milano
Manuela Militi
Chiara Missikoff
Antonio Monte
Guido Morandini
Silvia Morato
Massimo Morisi
Marco Moroni
Rossella Moscarelli
Alessandro Moscatelli
Museolab6
Tiziana Nadalutti
Alessandra Narciso
Sasha Naspini
Fausto Carmelo Nigrelli
Simonetta Noè
Franco Novelli
Francesco Orazi
Sergio Paglialunga
Maurizio Pallante
Luca Pallini
Gianni Palumbo
Vito Palumbo
Stefano Pancari
Anna Paolella
Caterina Paparello
Letizia Papi
Vincenza Papini
Roberto Parisi
Valeria Parrini
Giorgio Pasquinucci
Antonello Pasini
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Camilla Perrone
Matteo Petracci
Marco Petrella
Gloria Peria
Paolo Piacentini
Leonardo Piccini
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Carlo Pistolesi
Daniela Poli
Elena Pontil
Anna Pramstrhaler
Federico Prestileo
Gabriele Proglio
Chiara Daniela Pronzato
Alberto Prunetti
Fernanda Pugliese
Lorenzo Ramacciato
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Silvia Ranfagni
Letizia Ravagli
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Fabrizio Ricciardelli
Marina Riccucci
Andrea Rolando
Rudy Rossetto
Florindo Rubbettino
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Rita Salvatore
Giampiero Sammuri
Giacomo Sanavio
Giuseppe Santarelli
Antonio Santoro
Claudio Saragosa
Stefano Sarzi Sartori
Luca Sbrilli
Cinzia Scaffidi
Enzo Scandurra
Vincenzo Scaringi
Matteo Scatena
Nicola Sciclone
Anna Segre
Francesco Serino
Alessandro Simonicca
Federico Siotto
Lorenza Soldani
Albertina Soliani
Alessandra Somaschini
Catia Sonetti
Francesco Sottile
Gianna Stefan
Marco Tagliaferri
Alberto Tarozzi
Cecilia Tomassini
Emidio Ranieri Tomeo
Nicholas Tomeo
Cristiana Torti
Aurora A. Totaro
Luca Trapanese
Laura Trappetti
Agata Turchetti
Giulia Ubaldi
Elisa Uccellatori
Olimpia Vaccari
Gianpiero Vaccaro
Giorgio Vacchiano
Federico Valacchi
Maurizio Vanni
Giorgio Vecchio
Francesco Vincenzi
Daniele Vignoli
Daniele Vergari
Elio Vernucci
Marco Vichi
Francesco Viegi
Angela Vitullo
Marta Vitullo
Alessandro Volpi
Paolo Volpini
Andrea Zanetti
Enrico Zanini
Donato Zoppo
Massimo Zucconi