Mondi di parole
di Monica Pierulivo
Le parole rappresentano il filo invisibile delle nostre relazioni. Possono essere pesanti come pietre, leggere, enigmatiche, ostili, sincere, espressive, banali, essenziali, coerenti e molto altro. In ogni caso denotano chi siamo e qual è la nostra relazione con il mondo.
“Basta una parola per aprire un mondo nuovo davanti a noi” diceva il maestro Alberto Manzi nella puntata di apertura del noto programma di alfabetizzazione “Non è mai troppo tardi”, il 15 novembre 1960. Una frase che rimandava con immediatezza al tema dei mondi che le parole dischiudono.
Per usare le parole del filosofo e giornalista Bruno Mastroianni, “Il punto infatti non è mai solo ciò che diciamo con le parole, ma ciò che quei contenuti esprimono della relazione tra noi, gli altri e il mondo attorno a noi. Le funzioni principali del linguaggio – parlare di sé e descrivere il mondo – avvengono sempre all’interno della terza dimensione: quella della discussione con gli altri. Non c’è mai un momento puramente solipsista in cui il singolo definisce la sua identità e si pone in un certo modo davanti alla realtà, è piuttosto una costante negoziazione con gli altri.
Il web e i social network hanno di fatto amplificato questa dimensione, tanto che l’incontro con la diversità (il diverso modo di vedere il mondo da parte degli altri) avviene online costantemente e intensamente, senza neanche doverlo cercare intenzionalmente.” (B. Mastroianni, Il sapere alla prova della disintermediazione, in Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2018).
Le parole non sono quindi meri strumenti, non rappresentano un semplice repertorio di simboli definiti per convenzione, ma sono strettamente legate ai cambiamenti sociali e al contesto in cui si usano, rappresentano la nostra mappa per conoscere l’universo e per essere efficaci devono essere in grado di costruire un sistema di scambi e di relazioni.
“Ma come parla?” Diceva Nanni Moretti nella celebre scena del film Palombella Rossa (1989) rivolgendosi a un’intervistatrice che usava espressioni particolarmente fastidiose e vuote, fatte di luoghi comuni. Si evidenziava in quell’occasione l’uso di un linguaggio legato alla crisi di un’identità politica e culturale.
“Chi parla male pensa male e vive male, bisogna trovare le parole giuste, le parole sono importanti” e la degenerazione del linguaggio è legata a quella della mente.
A distanza di oltre trent’anni questo è un pensiero ancora molto attuale. Siamo spettatori di un contesto politico in cui il discorso non è più sinonimo di argomentazione, ma spesso di propaganda, di parola vuota.
Per sconfiggere tutto questo e per abbattere l’ignoranza, è importante inventare un linguaggio nuovo per una reale democratizzazione della società.
Oggi, nell’epoca della “disintermediazione”, in cui sembra che non ci sia più bisogno di filtri o figure intermedie per decodificare la realtà, è probabilmente necessaria una nuova alfabetizzazione che parta proprio dall’importanza delle relazioni.
L’esperienza della pandemia ha sicuramente esteso le forme di comunicazione virtuale e digitale, a causa della limitazione dei contatti e degli incontri in presenza. Ma la comunicazione digitale non è e non può essere la stessa cosa rispetto alla possibilità di discutere dal vivo e in presenza. Ce ne siamo accorti constatando i limiti della didattica a distanza che, per quanto utile in un momento difficile e di emergenza come quello che abbiamo vissuto, non può certo essere sostitutiva di un insegnamento in presenza.
Esiste quindi e dobbiamo tenere vivo, ora più che mai, un modo reale di scambiarsi le parole.
Le parole assumono inoltre un’altra funzione fondamentale, che è quella di consentire di conservare e tramandare la memoria. La memoria come motore, come molla per lanciarsi verso il futuro e non solo rivolta ai ricordi.
Per milioni di anni gli esseri umani hanno comunicato senza parola parlata, senza un apparato fonetico che consentisse loro di esprimersi in forma codificata. La nascita del linguaggio ha rappresentato pertanto un fatto rivoluzionario per l'evoluzione dell'umanità.
In questo nuovo numero di “Nautilus”, Vera Gheno nel suo articolo su “Parole, Società, Realtà”, ci parla della necessità di collegare costantemente le parole al contesto. Le parole sono importanti nella misura in cui fanno riferimento alla realtà altrimenti rischiano di ridursi a degli slogan senza senso.
Perché “i rapporti e le relazioni della nostra vita, sia essa pubblica, privata o raccolta nello spazio più stretto dell’intimità, sono fondati essenzialmente sulle parole” afferma Maddalena Bergamin.
Lo scrittore Sasha Naspini, utilizzando l’ashtag #Chinonlegge, rivolge l'attenzione ai non lettori, lanciando un segnale anche provocatorio a proposito della “disabitudine” a questa pratica, molto diffusa nel nostro paese.
Proprio in questa dimensione di parole/mondi, abbiamo provato a pensare anche ad alcune parole che all’inizio di questo nuovo anno, possano essere significative per il 2022, iniziando da “democrazia” di cui ci parla Luciano Canfora.
Altri autori e studiosi hanno proposto le loro, come scoprirete leggendo gli articoli, aiutandoci a delineare una mappa di alcune delle sfide dei temi più sentite e dirimenti della nostra epoca: clima, città, paesi, lavoro, scuola, digitale, donne che svolgono mestieri prettamente maschili in mondi tradizionalmente patriarcali.
Infine alcune suggestioni relative a parole e musica, perché la musica è un linguaggio universale.
Per concludere invitiamo tutti a pensare a una parola significativa per questo 2022 e, se volete, a comunicarcela per aggiungere nuovi stimoli e proposte alla discussione.