Gli invisibili
di Monica Pierulivo
…Quando si grida alla difesa delle “radici” solo per guadagnare voti sfruttando i problemi creati dall’immigrazione… (M. Bettini, Radici. Tradizione, indentità, memoria, 2016)
C’è un esercito di invisibili nel mondo, circa un miliardo di persone, in gran parte sans papiers, che non avendo carta d’identità, passaporto o altri documenti di riconoscimento, sono esclusi dalla società. Un’invisibilità giuridica che preclude l’accesso al lavoro e ai diritti sanciti dalla nostra Costituzione: i diritti di cittadinanza, l’istruzione, l’inserimento lavorativo, le cure mediche, l’inclusione nello spazio urbano.
La condizione dei lavoratori stranieri “invisibili”, ossia i sans papiers ma anche dei migranti che, seppur regolarmente soggiornanti, svolgono occupazioni precarie e a rischio di sfruttamento in settori quali quello domestico o in agricoltura, permette di riflettere criticamente sulla situazione dei migranti oggi in Europa e nel nostro Paese, sulla possibilità di successo dell’universalismo che fonda la rivendicazione dei loro diritti.
Oggi in Italia sono 5,3 milioni gli stranieri residenti nel nostro paese, che rappresentano il 9% della popolazione complessiva. Per oltre il 70% sono cittadini non comunitari. Persone che studiano, lavorano e contribuiscono a creare il contesto sociale ed economico del Paese.
Questa è la fotografia che emerge dall’ ultimo rapporto “Cittadini stranieri in Italia” del dicembre 2024, un’analisi statistico-demografica curata dall’”Organismo nazionale di coordinamento per le politiche di integrazione” (Onc) del CNEL.
Tra il 2001 e il 2011 gli stranieri si sono accresciuti di quasi 3 milioni, giungendo a superare largamente i 4 milioni di residenti. Se si considera che nello stesso periodo la popolazione in Italia si è accresciuta nel suo complesso di circa 3 milioni di unità, si capisce come tale aumento sia del tutto ascrivibile al contributo della componente straniera. Non è un caso infatti che quando l’apporto degli stranieri è sensibilmente diminuito, nel decennio 2012-2022 (circa 700 mila), la popolazione complessiva residente in Italia abbia iniziato a ridursi. La popolazione straniera, quindi, ha avuto un ruolo determinante negli scenari demografici.
Nonostante questo, l’inclusione per molti resta ancora una specie di miraggio, in particolare per quanto riguarda il lavoro qualificato, l’istruzione e le prospettive future per i più giovani.
I flussi migratori, che per anni sono stati legati soprattutto al lavoro, oggi sono invece prevalentemente motivati dal ricongiungimento familiare e, negli ultimi anni, dall’asilo politico e dalla protezione umanitaria. Nel 2022, infatti, oltre il 45% dei permessi di soggiorno è stato rilasciato per protezione internazionale. La maggior parte a favore di chi scappava dalla guerra in Ucraina.
I minorenni di seconda generazione, cioè nati in Italia da genitori stranieri, sono oltre un milione. A questi si devono aggiungere i ragazzi immigrati, per un totale di circa 1,3 milioni, pari al 14% della popolazione under 18 in Italia. Tra questi, quasi 600 mila frequentano le nostre scuole. Tuttavia, il loro percorso scolastico risulta spesso più difficoltoso rispetto ai coetanei italiani, con un ritardo già nella scuola primaria che interessa quasi il 12% degli studenti stranieri.
Questo rappresenta una grande criticità, che evidenzia tutte le fragilità di un’inclusione che non funziona. Forse anche per questo molti giovani non pensano di restare. Il Rapporto ci dice che il 38,4% dei ragazzi stranieri (11-19 anni) vede il proprio futuro fuori dall’Italia, contro il 34% dei giovani italiani. In particolare, oltre il 30% immagina di trasferirsi in un altro Paese, mentre l’8% desidera tornare nel proprio Paese d’origine.
Il profilo della collettività straniera fornito dal Cnel, in sostanza, ci dice che la popolazione migrante in Italia sta cambiando velocemente mentre la risposta delle istituzioni è lenta, non corrisponde alle necessità di questo cambiamento. Basti pensare alla questione della cittadinanza. Nel 2023 ci sono state solo 51mila concessioni di cittadinanza, un dato molto vicino a quello del 2005, quando però la corrispondente popolazione residente era molto inferiore. Anche questo è un importante segnale da cogliere, eppure buona parte della politica resta inerte da troppo tempo, vittima della propria rigidità ideologica.
Il mondo non può rimanere sempre uguale, e volersi “difendere” dal cambiamento a ogni costo è inutile oltre che dannoso. Servono invece nuove politiche pubbliche per gestire i flussi e favorire l’inclusione degli stranieri, che possono rappresentare una ricchezza se accompagnati da politiche adeguate, in un mondo che, anche volendo, non potrebbe rimanere chiuso e uguale a sé stesso.
La storia ci fa capire questo, cioè come i fenomeni migratori abbiano contribuito nei secoli a plasmare nuove società e a promuovere lo sviluppo della civiltà umana.