Per una nuova ecologia della mente

di Monica Pierulivo

Quale struttura connette il granchio con l’aragosta, l’orchidea con la primula e tutti e quattro con me? E me con voi? E tutti e sei con l’ameba da una parte e con lo schizofrenico dall’altra?

(G. Bateson, Verso un’ecologia della mente, 1972).

Secondo Gregory Bateson, grande pensatore, antropologo e sociologo del ‘900, è necessario favorire una comprensione ampia e globale del mondo e dei processi viventi. I comportamenti e la comunicazione non possono essere compresi attraverso un dualismo oppositivo di tipo cartesiano che separa mente e materia, cognizione ed emozione, organismo e ambiente, natura e cultura.

Nella nostra epoca questo dualismo è ancora più pericoloso, perché l’uso della potente tecnologia di cui disponiamo, può consentire di arrecare gravi danni all’ambiente circostante, come in effetti sta succedendo. Se la natura sistemica viene ignorata, si generano alterazioni incomparabili. L’uomo distrugge il proprio ambiente e non si accorge di distruggere anche se stesso. La lezione di Bateson appare pertanto ancora molto attuale; di fronte alle grandi questioni dettate dall’emergenza climatica, ormai ineludibili, urge una riflessione seria sulle relazioni tra l’uomo e il sistema in cui vive.

Nell’ottobre del 2019 il quotidiano britannico Guardian pubblicava un articolo dal titolo “È crisi, non è cambiamento: sei parole che il Guardian cambia sul clima”. Da quel momento in poi le parole “emergenza climatica” e “crisi climatica” sostituivano il termine “cambiamento”, sottolineando l’urgenza di affrontare con una diversa attenzione il tema del “global heating” (non più “global warming”) di origine antropica. Perché le parole che si usano, così come le immagini, e il modo in cui vengono utilizzate determinano anche il modo in cui le cose sono capite e contrastate.

Da sempre la Terra attraversa ere climatiche differenti, per ragioni naturali. Tuttavia i cambiamenti climatici a cui assistiamo oggi sono dovuti in gran parte all’attività dell’uomo e in particolare all'utilizzo dei combustibili fossili. La loro combustione produce gas, come l’anidride carbonica, che accrescono l’effetto serra del pianeta, causando il surriscaldamento globale.
Gli scienziati stimano che dall’inizio della rivoluzione industriale le attività umane abbiano prodotto un aumento della temperatura media globale di circa un grado Celsius. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: trasformazione del clima, siccità, scioglimento dei ghiacciai, innalzamento del livello dei mari, aumento delle precipitazioni, perdita di biodiversità.
A questo si aggiungono altre conseguenze molto gravi: l’emergenza climatica influisce anche sulle disuguaglianze economiche e sociali, provocandone l’aumento e colpendo soprattutto quelle fasce di popolazione che dipendono, per la loro sussistenza, da risorse e cicli naturali legati a loro volta proprio al clima. Le donne ad esempio, specialmente nelle aree più povere del mondo, hanno più possibilità di morire degli uomini a causa dei disastri ambientali provocati dal clima. Secondo quanto riportato nella Risoluzione del Parlamento europeo sulle donne, le pari opportunità e la giustizia climatica approvata nel 2018, i cui contenuti sono ancora validi, l’80% delle persone sfollate a causa degli effetti del cambiamento climatico sono donne, nelle calamità naturali le donne e i bambini hanno una probabilità di morire 14 volte superiore a quella degli uomini; le donne costituiscono il 70% degli 1,3 miliardi circa di persone che vivono in povertà nel mondo, e i poveri vivono più frequentemente in aree marginali vulnerabili alle inondazioni, agli innalzamenti del livello del mare e alle altre calamità.
La verità è anche che gli stati nazionali più ricchi del mondo sono responsabili dell'86% delle emissioni globali di CO2(rispetto al 14% della metà più povera) e il britannico medio emette più carbonio in due settimane di quanto un cittadino dell'Uganda, il Malawi, o la Somalia faccia in un anno.

Gli scienziati denunciano la situazione da anni ormai e propongono soluzioni per contrastare gli effetti del riscaldamento globale. Sono comparsi movimenti ecologisti e nuovi attivisti, ma i governi faticano a intervenire.
È quindi importante affrontare questo argomento con tutti i mezzi a disposizione, per imparare a parlarne nella maniera più competente possibile, cercando di dare gli strumenti ai cittadini per entrare nel merito delle questioni e aiutarli a essere attori/cittadini/consumatori informati. Fare entrare il tema del cambiamento climatico nel dibattito pubblico, a partire dalla conoscenza scientifica, con chiarezza e rigore, aiuterebbe enormemente a focalizzare gli sforzi su quello che è necessario fare, eviteremmo così rappresentazioni improprie del problema: da una parte, ancora, gli scettici/ottimisti e dall’altra i catastrofisti, considerando che dal punto di vista scientifico non c’è nessuna polarizzazione. Il consenso intorno agli effetti del cambiamento climatico di natura antropica è praticamente al 100%.
Fare cultura su questo tema è inoltre importante per rendere ancora più condivisibile l’idea che non c’è giustizia climatica senza giustizia sociale, perché le emissioni del passato e del presente sono alla base del modello economico di una sola parte di mondo.