Tempi moderni
I nuovi lavori tra tecnologia e precariato
Anche se è sempre difficile prevedere il futuro con certezza, è chiaro che il mondo del lavoro è cambiato e sta cambiando, come il mondo stesso. La pandemia sicuramente ha contribuito a molti dei mutamenti in atto, spingendo con maggiore forza verso l’uso delle nuove tecnologie e verso il lavoro a distanza.
In realtà, il futuro del lavoro stava cambiando anche prima che il Covid-19 sconvolgesse vite e mezzi di sussistenza. Ma la pandemia ha accelerato alcuni grandi processi che continuano a caratterizzare le dinamiche del lavoro anche adesso che gli effetti della crisi sanitaria si sono attenuati.
Basti pensare al permanere dello smart working o delle riunioni virtuali che, anche se con minore intensità rispetto al picco sanitario, continuano a integrarsi comunque con le attività lavorative; oppure alla crescente importanza del commercio elettronico che ha fatto decollare diversi tipi di transazioni virtuali come la telemedicina, l'online banking, l'intrattenimento in streaming; l'automazione e l'Intelligenza Artificiale ormai utilizzati in molti settori, o l’impatto sempre maggiore dei big-data sulla gestione delle risorse umane, il cui ruolo è ormai destinato a crescere come mai prima.
Le previsioni dicono che in un prossimo futuro cresceranno maggiormente i lavori ad alta qualificazione (ad esempio, nei settori sanitari o scientifici, tecnologici, ingegneristici e matematici), mentre i lavori a media e bassa qualificazione potranno subire un calo.
Ma il nuovo mondo non è così roseo. Mentre progredisce la tecnologia, regrediscono i salari e i diritti e nessun settore sembra sfuggire a questa tendenza.
L’ultima indagine della Fondazione Di Vittorio sulla qualità del lavoro e sulle sue dinamiche in Italia, certifica che l'occupazione è sempre più legata a part-time involontari e contratti a termine. Il tasso di occupati in Italia a ottobre 2022 era il 60,5 per cento. Un dato alto, certo, il più alto mai registrato nel nostro Paese ma comunque il più basso dei 27 Stati dell’Unione europea. La media Ue, infatti, è del 70%, il tasso della Germania supera il 77%.
Inoltre, a fronte di un aumento dell’occupazione, diminuisce il numero di persone in età da lavoro e tra gli occupati ci sono sempre più precari, lavoratori part-time involontari, lavoratori poveri. Sempre penalizzati giovani e donne mentre è in aumento l’occupazione per gli over 64. Sul lungo periodo il problema demografico rischia inoltre di peggiorare: le previsioni al 2042 prevedono un calo di quasi 7 milioni di persone nella fascia di età 15-64 anni, «un dato che farebbe saltare, se non corretto attraverso un mix di interventi su lavoro, formazione, natalità e migrazioni, una parte importante della produzione italiana» si legge nell’indagine.
Da non dimenticare inoltre il grave problema del caporalato e del lavoro nero nelle campagne, con situazioni preoccupanti non solo al Sud ma anche nelle campagne toscane, nella cui spirale finiscono immigrati, clandestini ma anche comunitari e italiani.
Insomma il lavoro è una realtà multiforme, e le politiche sociali dovrebbero essere orientate sia a garantire la crescita economica del paese, ma anche un adeguato livello di libertà per i lavoratori, prevenendo forme di sfruttamento che consentano una vita equa e giusta.
La dignità del lavoro si può perdere in appena sette minuti, ci racconta Ottavia Piccolo nella sua piéce teatrale in cui un gruppo di undici operaie, a rappresentanza dell'intera fabbrica, discute la proposta dei nuovi proprietari di rinunciare a sette minuti della propria pausa giornaliera. Tutte intravedono la possibilità di tenersi stretto il proprio posto di lavoro, solo Bianca, la protagonista, teme invece che questo sia solo il primo passo per ulteriori richieste.
Di tutto questo parla chiaramente un libro inchiesta del 2018, Italian Job. Viaggio nel cuore nero del mercato del lavoro italiano di Maurizio Di Fazio, che racconta questa babele del lavoro contemporaneo sempre più intriso di sfruttamento, cercando di capire da dove si può ripartire. Ed è l'autore a spiegare che questo suo libro è «un racconto corale dalle viscere dell’Italia contemporanea, di un Paese che lavora anche il doppio o il triplo di prima per non perdere un posto non più fisso, e pazienza se gli stipendi si sono assottigliati».
In questo contesto, che riflette la complessità della nostra società, abbiamo voluto raccontare il lavoro partendo dal concetto di working class per come è oggi, in un’ottica ampia che comprende l’attuale diversificazione e frammentazione delle attività lavorative. Come afferma Alberto Prunetti nell’intervista di apertura: «senza di lei [working class] le nostre città sarebbero ricoperte di discariche a cielo aperto. Però, tanto più è pervasiva, tanto più è resa invisibile. E devono negarle il diritto a esistere per sfruttarla meglio».
Il lavoro è fondamentale e riveste un ruolo di liberazione e di emancipazione nella società, purtroppo spesso estromesso in questi termini dal dibattito pubblico e troppo subordinato alle logiche del mercato e dell’economia. Per questo vogliamo raccontare in questo numero l’identità perduta, la perdita del valore identitario del lavoro rispetto alla formazione delle personalità, ci interroghiamo sulla crisi della classe operaia dell’Occidente, sul paradosso dei nuovi “lavori senza senso” o bullshit jobs, che danno il nome al libro dell’antropologo sociale David Graeber. Cerchiamo di porre l’accento sulle problematiche legate alla precarietà, alla mancanza di prevenzione e sicurezza sul lavoro, di legalità, alla necessità di offrire opportunità reali di crescita ai giovani, alle donne e proviamo a dare spunti sulle possibilità di lavoro che possono scaturire anche da un rapporto diverso e sostenibile con l’ambiente e la natura.