Memoria è libertà
di Monica Pierulivo
Le riflessioni che proponiamo in questo numero di Nautilus, indagano il concetto di memoria in rapporto a molte discipline e aspetti: l’antropologia, la storia, la conservazione dei documenti, la società, la musica, il cinema, la democrazia, i luoghi e ai territori, la comunicazione, l’immaginazione e la creatività. Memoria individuale e memoria collettiva si intrecciano per costruire un caleidoscopio di situazioni unite dalla necessità e dal bisogno di usare la memoria come chiave interpretativa della realtà presente, attraverso uno sguardo profondo per evitare facili semplificazioni, nel tempo della complessità.
Una società priva di memoria non è immaginabile, perché ogni ruolo e accordo poggia sulla memoria, e ogni comportamento sull’imitazione. Da qui l’importanza dei documenti e degli archivi, fondamentali nella vita della società e delle persone (M. Ferraris, Documentalità. Perché è necessario lasciar tracce, 2009).
Il periodo che stiamo vivendo, scosso da accadimenti tragici come la pandemia, l’emergenza ecologica e ora la guerra, costringe a riflettere sul passato, per capire quali sono stati gli errori che hanno condotto a questi esiti, perché vivere nell’oblìo significa non essere in grado di prevedere, di creare prospettive, di immaginare qualcosa di diverso e di migliore.
Un grande storico come Eric Hosbawm nel 1995 nella sua opera Il secolo breve, parlava di distruzione del passato avvenuta negli ultimi anni del ‘900 “ o meglio di “distruzione dei meccanismi sociali che connettono l’esperienza dei contemporanei a quella delle generazioni precedenti…La maggior parte dei giovani alla fine del secolo è cresciuta in una sorta di presente permanente, nel quale manca ogni rapporto organico con il passato storico del tempo in cui essi vivono.”
Cosa comporta tutto questo? La perdita di memoria collettiva, l’ignoranza della nostra storia, delle sue tragedie, fa calare la nebbia dell’ignoranza e della falsificazione dei valori, riti e date civili.
“Nel senso comune – afferma Adriano Prosperi nel suo libro Un tempo senza storia – è la storia stessa che è apparsa come un vecchiume da abbandonare perché dannoso. È l’economia la scienza del futuro…E l’Italia appare ai più brillanti economisti un Paese troppo rivolto al passato.
Ma è proprio perché l’Italia è stata ben poco rivolta al passato in realtà, che non è stata capace di rafforzare le difese contro la pandemia, in questo modo la memoria ci avrebbe davvero resi liberi dalla minaccia di un ritorno al passato che oggi riappare trovandoci immemori e spaesati.”
Il fenomeno si aggrava se pensiamo alla poca cura dedicata a biblioteche, archivi e musei considerati troppo spesso come istituti inutili e non redditizi, colpiti da continue riduzioni di personale, mezzi e strumenti. Eppure essi sono depositi di memoria.
La memoria quindi non è un semplice e passivo apprendimento ma è la consapevolezza che il mondo ci è stato affidato per trasmetterlo alle generazioni future. Attraverso di essa, è necessario far camminare insieme libertà e giustizia rendendoci davvero liberi dalla minaccia di un ritorno al passato, come quello al quale stiamo assistendo tragicamente in questi giorni. Si può dire quindi che la memoria è futuro.
Anche i luoghi possono rivestire un significato fondamentale in questo contesto. Con la pandemia si è infranto il senso del luogo, già messo in crisi dal nostro modello di sviluppo, che deve essere assolutamente recuperato per ricreare spazi reali di aggregazione, di conoscenza, di confronto. Partire dalla memoria per offrire eque opportunità, soprattutto alle nuove generazioni, significa offrire le basi per costruire un futuro di libertà.