Il valore del cibo
di Monica Pierulivo
Cibo, benessere e salute, cibo spazzatura e cibo sano, biologico e naturale, cibo come emozione e come esperienza, come sostenibilità, cibo e pandemia, cibo e moda, cibo come relazione e convivialità, cibo e società.
Sono solo alcune delle declinazioni di questa parola, sicuramente tra le più universalmente utilizzate anche in senso metaforico, capace di evocare molte situazioni e di immergerci di volta in volta in numerosi mondi e campi della vita.
Il cibo soprattutto “ci mette in relazione” con l’ambiente, la società, il territorio, lascia dei segni tangibili e chiari nel paesaggio. E ancora, viaggia, si conforma, mescola vecchie e nuove abitudini alimentari, rappresenta benissimo i cambiamenti culturali, sociali, economici.
Può essere un elemento di “liberazione”, una prospettiva di futuro diverso per i Paesi più in difficoltà, come sostiene Carlo Petrini, gastronomo e fondatore di Slow Food nel suo libro “Cibo e Libertà”, per tutti quei popoli che rivendicano la propria sovranità alimentare a partire dalla cultura e da ciò che hanno da offrire.
Se da una parte, con l’esaltazione delle tipicità locali, può marcare le differenze tra culture, rafforzando l'identità delle comunità, dall’altra ogni attività legata al cibo, anche la più semplice e quotidiana come cuocere il pane, porta con sé una storia ed esprime una cultura complessa, ricca di scambi e contaminazioni culturali e materiali.
Come ci ricorda lo storico dell’alimentazione Massimo Montanari, preparando un piatto di spaghetti al pomodoro sintetizziamo, con un gesto che oggi è segno dell'identità italiana il favorevole incontro tra una produzione messa a punto nella Sicilia araba del Medioevo e un prodotto americano importato in Europa dai conquistatori spagnoli. Attraverso i tanti modi di produrre, preparare, consumare e interpretare il cibo in epoche e luoghi diversi si scoprono aspetti essenziali della civiltà umana.
Il cibo è quindi più di un alimento. Oltre che per necessità si mangia per gustare, per tramandare tradizioni e inventarne di nuove, per dire chi siamo e da dove veniamo, per comunicare.
In tal senso, il cibo parla svariati linguaggi, esso è un fatto culturale, che rimanda a un universo di significati e valori più profondo di ciò che vediamo in superficie. Ė un patrimonio di saperi, legato fortemente alle storie legate agli alimenti e alle ricette tradizionali, di cui parliamo anche in questo numero, un racconto delle civiltà e delle comunità a cui appartengono.
L'esperienza del cibo non può inoltre essere disgiunta anche dal significato del tempo necessario per produrlo, prepararlo e non solo consumarlo.
Acquisire consapevolezza di tutto questo significa avere cognizione di come l’alimentazione quotidiana incida sul nostro presente e sul futuro e di quanto siano importanti le nostre singole azioni, di quanto sia necessario conoscere le filiere che vanno dalla terra alla tavola.
Così è sempre stato, anche nel passato. Carlo Maria Cipolla, nel suo esilarante “Allegro ma non troppo”, dedica un paragrafo divertente, in chiave ironica, al ruolo delle spezie (e del pepe in particolare) nello sviluppo economico del Medioevo.
«Il pepe, si sa è un potente afrodisiaco – scrive Cipolla - Privati del pepe, gli Europei riuscirono a stento a controbilanciare le perdite di vite umane causate da baroni locali, guerrieri scandinavi, invasori ungheresi e pirati arabi. La popolazione diminuì, le città si spopolarono mentre foreste e paludi si estesero sempre di più. Persa ogni speranza in una vita migliore in questo mondo, la gente pose sempre più le proprie speranze nella vita dell’aldilà e l’idea di ricompense in Cielo l’aiutò a sopportare la mancanza di pepe su questa terra».
Per non parlare della cosiddetta “acculturazione alimentare” introdotta nel XVI secolo nel Vecchio Continente a seguito della scoperta delle Americhe. Gli alimenti introdotti modificarono profondamente le abitudini alimentari dei paesi europei per i secoli a venire. L’introduzione dei pomodori, del mais, della patata, del cacao, del girasole, della vaniglia, delle arachidi, del peperoncino, provocarono una vera e propria rivoluzione alimentare e culturale, con riflessi importanti dal punto di vista sociale ed economico.
La rilevanza che il cibo ha avuto e continua ad avere nella storia dell’uomo è quindi inequivocabile e l’importanza che esso ha assunto è sottolineata anche dalle politiche alimentari e dalle strategie che istituzioni locali, nazionali e sovranazionali mettono in atto per migliorare la qualità della vita dei cittadini.
Al cibo quindi abbiamo voluto dedicare questo numero doppio di “Nautilus”, che esce a gennaio dopo le festività natalizie e di fine anno.
Non è un caso ma una scelta, perché in tutte le culture le feste evidenziano la grande centralità del “mangiare insieme” anche dal punto di vista simbolico e della tradizione, rappresentando la convivialità per eccellenza e il valore affettivo del cibo.
Presentiamo quindi un numero più corposo, con articoli che raccontano esperienze e ricerche, parlano dei cambiamenti in atto, di tradizioni e di culture, di sostenibilità, approfondiscono e analizzano criticamente i molteplici aspetti legati al tema.
Un numero da gustare, in tutto e per tutto, un viaggio nella cultura materiale e immateriale, perché la consapevolezza del nostro modo di nutrirci ci rende responsabili delle scelte, ci mette di fronte all'universo di valori che l'umanità non dovrebbe dimenticare, legato alla conservazione del pianeta, al grande patrimonio collettivo rappresentato dalla risorse naturali e ambientali da non disperdere ma da qualificare, nel rispetto soprattutto delle nuove generazioni.