Saper fare 

il ponte tra mente, mano e anima 

di Monica Pierulivo

Il “saper fare” rappresenta un patrimonio culturale e umano necessario, soprattutto oggi, in un’epoca in cui la manualità e i mestieri tradizionali sembrano progressivamente perdere terreno.
Prendendo spunto da L’uomo artigiano di Richard Sennett, possiamo riflettere sul valore profondo del lavoro artigianale, inteso non solo come abilità tecnica, ma come una sintesi di pensiero, sentimento e gesto manuale che costituisce un ponte tra cultura e natura, tra mente e mano.

Sennett, come racconta Marco Giovagnoli nel suo articolo in questo numero, sottolinea come l’artigiano incarni una figura che supera la dicotomia tra “homo faber” e “animal laborans” teorizzata da Hannah Arendt, proponendo invece un modello in cui il lavoro manuale è un atto di conoscenza e di creatività, un esercizio di empatia con il materiale e con il processo produttivo. Questo “fare” artigianale è un’attività che educa, che forma non solo competenze tecniche, ma anche valori e senso civico, in un’ottica illuministica che unisce cultura e istruzione tecnica.
In luoghi simbolo come il teatro alla Scala ad esempio, i maestri che stanno dietro le quinte tramandano ai giovani operatori gli antichi saperi dello spettacolo. Spettacolo che è una realtà fatta di cantanti, attori e musicisti, ma dietro il quale operano scenografi, falegnami, sarti, truccatori, tecnici delle luci e del suono, maestri collaboratori e così via. Insomma équipes artigianali che sono le prime ad essere innamorate del loro lavoro e sanno trasmettere questa passione a tutti i loro allievi. 

Si tratta quindi di un patrimonio da tutelare e valorizzare, così come lo sono le maestranze in ambito industriale, i mestieri legati al cibo e in molti altri campi dell'attività umana.  Non sono  solo tecniche da preservare, ma veri e propri saperi legati al territorio, alla storia e all’identità culturale.
 
Ma il saper fare è anche il saper aiutare, il sapere agire nei momenti di difficoltà, di emergenza.: “...il popolo di soccorritori non subisce passivamente l’eco mediatica che si crea intorno a un evento tragico ma si adopera nei primissimi momenti del dramma per fornire un aiuto concreto nelle operazioni necessarie – ancorché vitali – per proteggere persone, animali, cose quando è possibile, più che è possibile” (Scavello). 
 
La perdita di manualità oggi è pertanto una minaccia che rischia di impoverire non solo le capacità e la diversificazione produttiva, ma anche il tessuto sociale e culturale, privandoci di quella “ragionevolezza carica di risvolti educativi” che solo il lavoro manuale ben fatto può trasmettere.
 
Oggi la sfida è anche quella di integrare questo sapere tradizionale con le nuove tecnologie digitali, creando sinergie che permettano di valorizzare l’artigianato e di inserirlo in filiere produttive sostenibili e innovative.  La manualità, lungi dall’essere superata, può diventare un elemento distintivo e competitivo, capace di coniugare passato e futuro, tradizione e innovazione.

In conclusione, il “saper fare” artigiano è molto più di una semplice abilità tecnica: è un modo di essere e di conoscere il mondo, un patrimonio di cultura materiale e immateriale che va custodito e rinnovato. 

Come ricorda Sennett, è attraverso il lavoro manuale che l’uomo diventa più sé stesso, sviluppando una cittadinanza partecipativa e una relazione autentica con ciò che produce. In un’epoca di crescente digitalizzazione e automatizzazione, riscoprire e valorizzare la manualità significa anche riaffermare la centralità dell’umano nella costruzione di un futuro sostenibile e culturalmente ricco.
E' un modo per guardare avanti con un’altra consapevolezza: quella che il lavoro non è solo mezzo per produrre beni, ma anche un modo per dare senso alla propria esistenza. Nel fare, ci si mette in gioco. E nel fare bene, si onora non solo l’oggetto, ma anche la comunità e sé stessi.