Spazio pubblico luogo di condivisione, partecipazione, vita

di Monica Pierulivo

Ho avuto occasione in questi giorni di partecipare a una bellissima azione teatrale itinerante a Montesole nei luoghi del terribile eccidio di Marzabotto, scritta e prodotta da Archiviozeta di Bologna dal titolo “Facoltà di Resistenza”. Una rappresentazione pubblica di grande intensità e realismo basata su una ricerca di testi letterari sulla Resistenza. Ogni luogo scelto durante il percorso in cui si snoda la rappresentazione è un partigiano ucciso, evocato attraverso uno scrittore: ciascun attore assume la voce, il ritmo, la responsabilità delle parole di Italo Calvino, Beppe Fenoglio, Franco Fortini, Primo Levi, Elio Vittorini alla ricerca della nostra facoltà di resistenza. Bellissimo!

L’eccidio ricordato è quello di Marzabotto, uno dei più efferati, sei giorni di terrore che si svolsero dal 29 settembre al 5 ottobre 1944, provocando 770 morti di cui 221 bambini (uno di appena 14 giorni), 142 ultrasessantenni e 316 donne, che furono oggetto di una violenza e di una crudeltà inusitata e assurda. A guidare questa operazione truppe naziste ed elementi fascisti.

Oggi stiamo assistendo al tentativo grottesco e inaccettabile di riscrivere la storia della Liberazione, con una narrazione che mette sullo stesso piano partigiani e nazifascisti. Allora i partigiani combatterono per riconquistare una pace e una libertà perduta, con un senso del dovere e con un sacrificio immane per restituire il paese alla sua vita civile e alla democrazia, dopo l’orrore e la distruzione provocati da venti anni di oppressione e di fascismo.

Quindi le parole sono importanti, possono ingannare a seconda dell’uso che se ne fa e del modo in cui vengono interpretate. Esemplare a questo proposito il modo in cui la presidente del consiglio Meloni ha riproposto recentemente il Manifesto di Ventotene, rispolverato solo per infamarlo. Talune affermazioni sono pericolose perché volte a cambiare e a mistificare la storia e con questa i valori fondativi della nostra Costituzione democratica, come ha scritto Adriano Prosperi nel suo ultimo e recente libro “Cambiare la storia”. La nostra Costituzione è effettivamente uno spazio pubblico condiviso, basato su principi e ideali sui quali si è sviluppata e si riconosce una società intera e che rischia di essere indebolito in maniera subdola.

Anche la conoscenza e la storia del nostro passato rappresentano uno spazio pubblico, dove con studio e con metodo scientifico si costruisce una narrazione basata su fatti realmente accaduti. Stravolgerla significa piegarla a interessi particolari, estromettendola dalla sfera dell’interesse generale, svuotandola di contenuti e distruggendo il principio della validità del sapere storico.

Oggi assistiamo a una disgregazione dello spazio pubblico. Lo vediamo nelle nostre città, con la sempre più diffusa privatizzazione del patrimonio pubblico, l’occupazione di spazi demaniali, la perdita di spazi di aggregazione, di socialità, di partecipazione, del patrimonio culturale. Ma lo vediamo anche nella privatizzazione dei servizi pubblici, in primis nel campo della salute e della cura, del diritto allo studio, nei luoghi come le stazioni, i porti, dove le sale di attesa e per il riposo sono state sostituite da empori caotici e i viaggiatori sono ormai solo dei clienti.
 
Tutto questo ha delle conseguenze importanti, genera fragilità e povertà e aumenta le disuguaglianze dal punto di vista educativo, sanitario, energetico, abitativo e molto altro.
Lo spazio pubblico è quindi un bene prezioso, che deve essere tutelato e valorizzato. È un luogo di incontro, di scambio, di partecipazione, di vita. Deve essere progettato e gestito in modo che sia sicuro, accogliente, inclusivo, accessibile a tutti. Perderlo significa abbassare la qualità della vita, e con essa la fiducia nel futuro e nella speranza.