La prospettiva dello spazio

Una vibrazione unica, dal più piccolo degli esseri viventi al più grande dei corpi celesti. Tutti siamo uno, ci differenziamo solo per il modo in cui gli atomi che ci compongono si aggregano, e la conoscenza dello spazio, emblema del mistero e del futuro, rafforza la speranza che il progresso sia tanto scientifico quanto filosofico-spirituale. Così Franco Battiato nella sua canzone “No time, no space”.
Oggi lo spazio cosmico non è più percepito come qualcosa di lontano, ma come qualcosa che riguarda la nostra vita e anche il futuro. Sia per l’utilità, come i satelliti che sono infrastrutture divenute necessarie quasi al pari dell’elettricità, sia perché andare nello spazio per fare le cose che pensiamo di fare come specie, esplorando, è qualcosa di molto più vicino e tangibile. Oggi i bambini crescono in un mondo in cui lo spazio è parte della vita.
C’è poi lo spazio rappresentato, tramite le carte o mappe che ci hanno fatto scoprire nuovi mondi. La storia della cartografia, o delle rappresentazioni, è anche la storia del mondo. Al suo interno si ritrovano i percorsi dell’evoluzione delle conoscenze e delle scoperte geografiche fino al completamento del disegno del pianeta e, nelle modalità e qualità del segno, le tracce dell’acquisizione delle nuove conoscenze tecnologiche che via via, soprattutto a partire dall’età moderna, andavano trasformando e facevano progredire le civiltà, ognuna delle quali con un proprio modo di vedere e di rappresentare.
Una lettura diacronica che racconta il mondo, la sua scoperta e la sua evoluzione, da cui è facile discernere la storia dell’uomo e della progressiva civilizzazione, a iniziare dai segni primordiali rinvenuti sulle pareti delle grotte, dagli intrecci degli antichi pescatori delle isole della Polinesia, o dalle prime visioni dello spazio urbano organizzato delle tavolette babilonesi e così via, fino alle carte tecniche odierne o ai geodatabase che consentono misurazioni e letture di grande dettaglio.
Le rappresentazioni oggi costituiscono ormai un fenomeno diffuso a livello mondiale, grazie al quale è possibile cogliere proprio la globalizzazione prendendo nel contempo visione di quanto il pianeta sia in preda a eventi di ampia portata, distribuiti su una vasta scala territoriale. Il pianeta visto dallo spazio ci consente di valutare le trasformazioni di parti del globo su immagini riprese in stagioni e annate diverse. Il successo di Google Earth e l’utilizzo costante che per svariati motivi se ne fa ovunque, da apparati mobili o fissi, dimostra che è l’immagine del mondo, più del suo racconto, a essere utilizzata e apprezzata consentendo, nel contempo, altre interessanti applicazioni, come ad esempio la consultazione di carte storiche sovrapponibili alle immagini moderne.
Poi c’è lo spazio vicino, quello ambientale, urbano, sociale, che tocchiamo e trasformiamo con la nostra presenza. Come leggerlo? Interpretare lo spazio che ci circonda, lo spazio vicino con cui interagiamo ogni giorno, è un esercizio fondamentale per non dare per scontato quel che semplicemente sembra esistere. Pensare alla città come a un riflesso della società che vi abita, all’architettura come a un’espressione dei rapporti di potere che influenza non solo dove siamo, ma anche chi siamo.
Henry Lefebvre nel suo libro “La produzione dello spazio” del 1974 teorizzava una concezione dello spazio come prodotto sociale. Un lavoro che ha influenzato fortemente gli studi urbani successivi, proponendo una visione degli spazi vissuti come creazioni guidate dall’ideologia dominante.
Spazio e ambiente, a loro volta, s'incontrano e si intrecciano con un altro ambito, cioè con il territorio (rete di luoghi e relazioni quotidiane, fortemente coinvolto, d'altro canto, dal degrado ambientale, nonché travolto dal mutato senso dello spazio che si accompagna ai processi di globalizzazione).
In un periodo in cui il discorso politico riguarda confini, ecologia, libertà di movimento, migrazioni, inclusione, riflettere sul significato dello spazio che abitiamo è di grande importanza.