Studiare in “cucina”

Il racconto dello chef Sergio Maria Teutonico

di Manuela Militi

Al giorno d’oggi l’appellativo di “chef” non si nega a nessuno. Quanti, almeno una volta, si sono fregiati di questo titolo per aver preparato un piatto particolare o, più semplicemente, una pietanza ben riuscita. In televisione i programmi che hanno il cibo come tema abbondano, si va dallo chef stellato al cuoco improvvisato, attraversando cucine professionali fino a giungere in quelle domestiche. I social non sono da meno: dagli antipasti ai dolci è un continuo esibire pietanze di ogni genere e di ogni luogo, spesso, troppo spesso, opera di dilettanti che si credono padroni dell’arte culinaria.
Cucinare, o come diceva mia nonna “far da mangiare” è un’attività che rientra nella quotidianità di molti, indiscutibilmente si acquisiscono delle competenze con la pratica ed è forse questa quotidianità che spinge alcuni a credere di essere dei cuochi provetti.
Ma in quanti sanno o si sono mai chiesti quanto bisogna studiare per diventare un vero esperto dell’arte culinaria?
Per rispondere a questa domanda un’interessante chiacchierata con lo chef Sergio Maria Teutonico è servita a comprendere quanto e quale sia lo studio che è indispensabile per questo mestiere e il suo percorso professionale ne illustra bene l’importanza.

Innanzitutto, ha esordito spiegando la differenza tra “il far da mangiare” e “il saper cucinare”. Il primo è proprio dei principianti, il secondo, invece, è il lavoro dei professionisti, lavoro in cui hanno grande rilevanza tanto lo studio teorico, quanto quello pratico. È nell’istituto tecnico alberghiero, come quello frequentato da Sergio Maria a Milano, che si apprendono i primi rudimenti di questi studi. Tra le materie teoriche determinati per lo svolgimento della futura professione, oltre alle più specifiche scienza degli alimenti e nutrizionistica, ci sono matematica, fisica e chimica. Altrettanto fondamentali sono i laboratori tecnici, dove viene insegnato come utilizzare in maniera corretta tanto i cibi quanto gli utensili propri dell’arte culinaria.

Dopo aver conseguito il diploma lo chef Teutonico è entrato a far parte di un circuito professionale che gli ha consentito di diventare capo partita. A questo punto le strade percorribili erano due, o continuare a studiare per una crescita professionale, o limitarsi a rimanere un mero esecutore. Naturalmente la scelta è stata quella di proseguire negli studi.
Fino ad una ventina di anni fa, non erano ancora stati istituiti dei corsi di laurea in scienze enogastronomiche che oggi, data la loro crescita e diffusione, mostrano quanta rilevanza abbia studiare l’arte culinaria, intesa nel senso più ampio del termine, per cui per arricchire il proprio bagaglio di sapere si doveva procedere, da una parte, con un apprendimento da autodidatta e, dall’altra frequentando dei corsi di specializzazione. Questo ha permesso a Sergio Maria di diventare un esperto di olio, formaggi, miele e cioccolato, per gli alimenti, e vino e grappe, per le bevande, spiegando che la maggior conoscenza di un prodotto ne consente un uso migliore. Ma lo studio necessario in cucina non si ferma qui. Il sapere accumulato, parole dello chef, è alla base di nuove ricette che pure sono il frutto della creatività, meno legata in senso stretto allo studio. Ma, alla fase creativa segue un processo di codificazione o, meglio, di normalizzazione della ricetta, al fine di renderla replicabile per mezzo del linguaggio culinario.

La “cucina” nel tempo ha, dunque, sviluppato un proprio linguaggio, sia della parola, che del gesto e solo quanti hanno studiato lo conoscono, lo comprendono e hanno la capacità di utilizzarlo. È emblematico un episodio accaduto allo chef in Giappone nella città di Hachinohe: per un evento si dovevano replicare alcune sue ricette. Come executive chef doveva impartire disposizioni allo chef che, a sua volta, le avrebbe trasmesse alla brigata. L’interprete mostrava difficoltà nel tradurre dall’inglese al giapponese le indicazioni di Sergio Maria, ma appena ha utilizzato un termine francese per una preparazione, il suo alter ego giapponese ne ha immediatamente compreso l’esecuzione. Ogni chef deve avere nel proprio bagaglio professionale la conoscenza del francese, lingua classica dell’arte culinaria, ma non può mancare neanche nella padronanza di almeno un’altra lingua straniera, ha dichiarato Sergio Maria, perché le esperienze all’estero sono fondamentali in questo mestiere. Conoscere la propria cucina è importante, ma lo è altrettanto conoscere quella degli altri.
Il sapere accumulato in anni di studio e di esperienze formative porta a creare una propria scuola di pensiero culinario che lo chef Teutonico ha scelto di trasmettere fondandone una dall’emblematico nome di “La palestra del cibo”, perché, come ha dichiarato, sta ad indicare il costante allenamento allo studio che richiede l’arte culinaria.
«Cercare di trovare o ideare attraverso la propria esperienza e le proprie competenze …» è una delle definizioni che si leggono sul dizionario Devoto-Oli alla voce «studiare». In queste parole si ritrova perfettamente la professione di Sergio Maria Teutonico: lo Chef.
 
Sergio Maria Teutonico nato a Milano nel 1971, da oltre 30 anni lavora nel mondo della “cucina”. Executive Chef, Sommelier professionista, Consulente Gastronomico, Scrittore, Docente di tecnica alberghiera ed enogastronomia, ha fondato nel 2012 una scuola di cucina: La Palestra del Cibo.