Il diritto allo studio e il sistema carcerario

di Antonella Balante

Nell'immaginario comune il carcere è inteso quale luogo di espiazione della “giusta pena” comminata al soggetto socialmente pericoloso; fa eco a questa cognizione atecnica il riferimento alla sanzione penale come una “giusta retribuzione”, preordinata alla compressione di ogni diritto soggettivo della persona che varca la soglia dell'istituto penitenziario.
I confini che delimitano nei vari campi scientifici i concetti generali ed astratti di “giusta pena”, di “giusta retribuzione” e di “giusta compressione di ogni diritto” sono fluidi ed oltremodo vari; nella cultura giuridica nazionale ed internazionale è stata introdotta una dimensione evolutiva e dinamica della pena e del trattamento sanzionatorio della persona. Infatti, la Costituzione abbandona l'idea del trattamento sanzionatorio inteso come corrispettivo da comminare in risposta ad un comportamento socialmente dannoso posto in essere dal reo: in tal modo la Carta si distacca dalla mera funzione preventiva, che la pena deve assurgere, e definisce la pena nella sua dimensione polifunzionale prioritariamente volta al “recupero sociale” della persona.
Nel solco tracciato dalla Costituzione l'idea del carcere come luogo di mero contenimento lascia il passo alla più ampia definizione di “sistema carcerario”, dove al soggetto ristretto vengono attenuate le facoltà riconosciute per l'esercizio dei diritti fondamentali, compatibilmente con le esigenze di sicurezza sociale, ma, al fine di perseguire l'effettivo recupero sociale della persona, vengono predisposti dei programmi rieducativi che concorrono alla riformazione e risocializzazione dell'individuo.

Il diritto allo studio diviene così uno degli “elementi” fondamentali del trattamento rieducativo del condannato e dell'internato (art. 15 ord. Pen.), tanto è che al fine di rimuovere gli ostacoli che impediscono la formazione dell'individuo, negli istituti penitenziari vengono organizzati i corsi della scuola dell'obbligo ed i corsi di addestramento professionale, secondo gli orientamenti vigenti e con l'ausilio di metodi adeguati alla condizione dei soggetti. Per quanto attiene alla formazione superiore il legislatore ha previsto che l'istituto penitenziario può agevolare la frequenza e il compimento degli studi universitari e tecnici superiori, anche attraverso convenzioni e protocolli d'intesa con istituzioni universitarie e con istituti di formazione tecnica superiore, nonché l'ammissione di detenuti e internati ai tirocini di cui alla legge 28 giugno 2012, n. 92 (art. 19 ord. Pen.).
Il fine rieducativo declinato dalla Costituzione viene attuato sicuramente dall'Amministrazione penitenziaria, ma anche da tutti quegli organi che a vario titolo entrano a far parte della vita del detenuto nel momento in cui lo stesso viene preso in carico dallo Stato per l'esecuzione di una misura privativa della libertà, ci si riferisce alla magistratura di sorveglianza, al corpo di polizia penitenziaria, alle istituzioni scolastiche di vario ordine e grado ed ai volontari ammessi all'organizzazione di corsi.

Nella pratica l'azione sinergica di tutte le istituzioni statali e di tutte le organizzazioni non governative che concorrono alla rieducazione del ristretto trova un ulteriore elemento oggettivo da considerare, ovvero quello del circuito penitenziario al quale viene associata la persona e dal quale si desumono ulteriori autorizzate e legittime compressioni dell'esercizio del diritto allo studio.
La condizione detentiva non esclude a priori il diritto allo studio ma è evidente che le modalità di esercizio del diritto soggettivo devono essere bilanciate con le misure ed i provvedimenti volti a disciplinare la vita degli istituti, a garantire l'ordine e la sicurezza interna e l'irrinunciabile principio del trattamento rieducativo.

La dimensione carceraria è organizzata secondo un insieme di spazi separati, strutturati in modo da tener conto delle necessità di custodia e del grado di pericolosità del soggetto ristretto; quindi, è evidente che dalla condizione detentiva possano derivare delle limitazioni, anche significative, alla ordinaria sfera dei diritti soggettivi della persona, tra i quali si annovera il diritto allo studio. In ogni caso è altrettanto evidente che l'adozione di misure e di provvedimenti organizzativi dell'Amministrazione penitenziaria, volti a disciplinare la vita degli istituti, comunque non possono essere discrezionali ed assolutamente arbitrari.
 
Pertanto ogni atto provvedimentale deve essere adottato nel rispetto dei fondamentali canoni di ragionevolezza e proporzionalità; di fatto detti provvedimenti possono incidere legittimamente sulla posizione soggettiva del ristretto, andando ad integrarne l'ambito di autorizzata e lecita compressione, ma la giurisprudenza della Corte di Cassazione, da tempo, “ammonisce a non confondere il diritto soggettivo del detenuto, nel suo nucleo intangibile, cui è garantita protezione, con le mere modalità di esercizio di esso, inevitabilmente assoggettate a regolamentazione.” Ecco che per una persona ristretta in un circuito di alta sicurezza la Corte ha reputato legittimo limitare al detenuto la facoltà di mantenere nella propria cella un numero illimitato di testi e pubblicazioni adottate per l'esercizio del diritto allo studio.
Il provvedimento trova la sua ragion d'essere proprio nel corretto bilanciamento tra il diritto dei detenuti alla formazione culturale ed all'esercizio del diritto allo studio e le esigenze investigative e di prevenzione dei reati, ovvero di ordine e sicurezza dell'istituto penitenziario.
Ed ancora, sempre dall'analisi di leading cases giurisprudenziali, al detenuto non è impedito l'accesso alle sue letture preferite ed al loro contenuto, ma gli è imposto di servirsi dell'istituto penitenziario per l'acquisto di questo materiale didattico e formativo, tutto ciò nell'ottica di evitare che, secondo quanto è emerso dall'esperienza, il libro o la rivista si trasformi in un veicolo di comunicazioni occulte con l'esterno, di problematica rilevazione da parte del personale addetto al controllo.
 
È chiaro che il corretto bilanciamento delle contrapposte esigenze, quelle cautelari e di sicurezza sociale da un lato, e quelle di accrescimento culturale dall'altro, non può tradursi nella creazione di “barriere di fatto” che penalizzano il detenuto. Ecco che i soggetti che concorrono al fine rieducativo della pena sono chiamati ad applicare le norme con scienza e con coscienza tanto da superare vincoli burocratici che inficiano di fatto l'equo bilanciamento delle esigenze contrapposte.
A parti inverse si osserva che in questa ottica il detenuto che accede al programma di formazione culturale non può essere inteso come un soggetto passivo, che assorbe acriticamente le misure di risocializzazione e di accrescimento culturale.
Nella pratica il fine rieducativo viene perseguito solo se si realizza una relazione reciproca virtuosa tra i soggetti che propongono programmi di risocializzazione e la persona ristretta che è ammessa a fruire di questi programmi.
Infatti in un contesto così particolare, quale è quello dei circuiti penitenziari, è necessario riflettere anche sul diritto allo studio come diritto sociale della persona che concorre alla sua formazione ed alla sua dignità.
Esso è un diritto/dovere che, se esercitato con consapevolezza, consente lo sviluppo equilibrato della personalità attraverso un percorso di conoscenza e di affrancamento dai trascorsi retaggi sociali palesemente devianti, quindi terminata l'esperienza carceraria solo un consapevole accesso alla formazione culturale conseguita durante la permanenza nell'istituto può garantire l’inclusione sociale e la compartecipazione dell'ex detenuto al suo benessere ed a quello dell'intera collettività.
Di fatto l'esercizio del diritto soggettivo allo studio in carcere impone un rapporto reciproco e complesso in quanto se da un lato il potere pubblico deve garantire ed agevolare il soddisfacimento del diritto attraverso la prestazione di un servizio pubblico a carattere sociale, dall'altro la persona ristretta è tenuta a fruire dei servizi offerti con autoresponsabilità, cogliendo l'opportunità di riscatto che l'istruzione può offrire ed allontanandosi da dinamiche socialmente devianti. In sostanza la scelta di un percorso di istruzione superiore deve essere agevolata dall'area trattamentale degli istituti penitenziari solo al termine di un percorso di rivalutazione critica del comportamento deviante della persona ristretta e non può essere funzionale solo a collocare un individuo passivamente in aree esterne alla stanza. 
 
Nei piccoli sistemi carcerari è possibile adottare delle buone prassi che realizzino e rendano effettivo il fine rieducativo della pena per il tramite del diritto allo studio, i numeri limitati a volte sono un pregio e non un difetto!
Grazie ad una convenzione stipulata tra un Ateneo del centro Sud ed una Casa circondariale dello stesso territorio è stato garantito l’accesso al diritto allo studio ed all'alta formazione professionale alla popolazione detenuta.
L'Università, nel rispetto della propria autonomia istituzionale e delle funzioni esercitate dalla Casa Circondariale, partner nel progetto di alta formazione, ha proposto l'erogazione dei medesimi corsi sia agli studenti in sede, sia alle persone ristrette nell'istituto penitenziario. I risultati di questo progetto sono stati sorprendenti in quanto i detenuti iscritti ai corsi di studio universitari hanno mostrato un effettivo interesse alla proposta formativa raggiungendo degli standard elevati agli esami di profitto. Gli stessi provenivano da lunghi periodi di detenzione e grazie all'esperienza universitaria ed al tirocinio curriculare è stato possibile mitigare gli effetti deleteri del lungo periodo di isolamento. Inoltre, gli studenti ammessi a frequentare i corsi universitari erano stati condannati per reati associativi gravi, tuttavia nonostante l'ambiente di provenienza e la tipologia di reati commessi in precedenza, per quegli studenti che hanno terminato il percorso detentivo non sono stati registrati dei comportamenti recidivi e penalmente sanzionabili.
In sintesi, il diritto allo studio può essere esercitato anche in ambienti oltremodo complessi quali quello detentivo, tuttavia nonostante le necessarie misure contenitive, comunque, esso rappresenta un elemento imprescindibile per la crescita culturale e la risocializzazione di persone socialmente fragili.