LA TOSCANA, DOMANI?

di Nicola Sciclone

La Toscana, come il resto d’Italia, è stata toccata nell’ultimo quindicennio da tre pesanti recessioni. Ciascuna delle quali ha inevitabilmente indebolito il tessuto economico e sociale della regione. Complessivamente oggi siamo più vulnerabili nella condizione economica rispetto al passato. Lo sono di più soprattutto i giovani e, in generale, lo è di più chi appartiene al mondo del lavoro. Questa è la valutazione di sintesi che è possibile formulare, se si guarda al bicchiere mezzo vuoto.
L’altra parte della verità, guardando al bicchiere mezzo pieno, è che il tessuto produttivo resta vitale, perché è ad esempio ancora capace di intercettare fette rilevanti della domanda estera, ed il clima sociale non è mai scivolato in una deriva che assume i tratti tipici dell’emergenza. L’occupazione cresce, sebbene a minore intensità di lavoro e di redditività, e la disuguaglianza dei redditi è qui minore che altrove. 
Al momento siamo quindi posizionati lungo un crinale, da cui prima o poi dovremo scendere per incamminarsi lungo uno dei due possibili sentieri che conducono a valle: o quello virtuoso della ripartenza; o quello, viceversa meno virtuoso, della lenta decadenza.
Il cammino lungo il crinale è caratterizzato dalla attuale instabilità dell’equilibrio fra la capacità di generare valore e quella di assecondare i bisogni di istruzione, di salute, di assistenza, di consumo,  che influenzano la qualità della vita quotidiana.
A rendere ancora più instabile l’equilibrio, e a minacciarne la rottura, le traiettorie demografiche dei prossimi anni. Che aumentano, da un lato, i bisogni, e riducono dall’altro la consistenza della popolazione attivamente impegnata nella creazione di valore. Ma niente è ineluttabile. Perché abbiamo una esigenza di fondo su cui è però possibile intervenire, e una occasione da cogliere. L’esigenza di fondo è rappresentata dalla possibilità di contrastare il declino della forza lavoro con più ingressi dall’estero, senza i quali noi dovremo altrimenti gestire un disaccoppiamento fra domanda ed offerta di lavoro di natura quantitativa oltre che qualitativa. Ci servono più immigrati, e dobbiamo essere attrezzati per includerli.
L’occasione da cogliere sono le risorse del Pnrr/Pnc che possono rilanciare gli investimenti e garantirci, nel breve periodo, una crescita economica per l’effetto moltiplicativo della spesa e, nel lungo periodo, una maggiore produttività per fattore produttivo impiegato.

Se riuscissimo a dare priorità agli obiettivi di transizione energetica –per ridurre la nostra dipendenza dall’estero- a quelli di prevenzione dei danni ambientali – per risparmiare risorse future- e a quelli di digitalizzazione e qualificazione del capitale umano- per elevare la produttività dei fattori- avremmo creato le premesse per collocarci su un sentiero di sviluppo sostenuto e durevole. 
C’è la possibilità di una svolta. Nel segno degli investimenti, e di una transizione ecologica, che può essere fonte di crescita economica oltre che di una migliore e più sana qualità della vita.