La giustizia climatica fatta come si deve: le lavoratrici e i lavoratori
di Paola Imperatore e Emanuele Leonardi
Giovedì 17 ottobre il Collettivo di Fabbrica ex-GKN ha diffuso un breve video – 77 secondi – destinato a passare alla storia. Si apre con Greta Thunberg, in piedi davanti ai cancelli della fabbrica di Campi Bisenzio, che – con lo sguardo determinato e l’eloquio incisivo che abbiamo imparato a conoscere – scandisce: “Lavoratori e lavoratrici di ogni settore e da ogni luogo si incontrano qui per mostrarci a cosa può assomigliare la transizione giusta e sostenibile”. La parola e le immagini passano poi a un giovane operaio, che racconta della chiusura improvvisa del 9 luglio 2021, della pronta reazione al sopruso e dell’intuizione inattesa: per avere una possibilità di vittoria, l’alleanza con i movimenti per il clima è condizione necessaria.
La palla torna all’attivista svedese: “Se vogliamo la giustizia climatica dobbiamo fermare la speculazione verso fabbriche come questa, perché questo minaccia direttamente la vita dei territori – di chi ci abita e di chi ci lavora”. Stacco: l’inquadratura si ferma su un gruppo di operai che denuncia l’arbitrio padronale nella filiera internazionale dell’auto: grandi profitti col nostro sudore – questo il succo – e ora i licenziamenti con la scusa trita e ritrita dei limiti ambientali. Una scusa, sì; perché se a industriali e finanzieri importasse qualcosa della biosfera, allora la strategia basata sul mercato sarebbe stata cestinata da tempo. Trent’anni di annunci magniloquenti e di norme, direttive, regolamenti: tutto per accorgersi alla fine che le emissioni, invece che diminuire, sono aumentate esponenzialmente – così come le diseguaglianze sociali.
Ma torniamo al video, perché il segmento finale è il più ficcante. Greta va dritta al punto: “La transizione giusta e sostenibile richiede che il potere sia messo nelle mani di chi lavora”. Wow. Siamo dunque all’autosufficienza operaia? No, per niente, almeno a parere dell’ultima voce, collettiva: di nuovo il capannello di tute blu, che propone sì un vecchio slogan - “unità tra lavoratrici e lavoratori” –, ma un orizzonte senza precedenti – “per la giustizia climatica”. Solo così, infatti, “non saremo mai sconfitti”.
La convergenza tra avanguardie del movimento operaio e giustizia climatica non è certo nata nel weekend del 12 e 13 ottobre – sabato l’assemblea dei movimenti e il confronto tra campagne internazionali, domenica la presentazione del piano industriale della cooperativa GFF (GKN for Future) – ma è indubbio che la “certificazione simbolica” di Greta Thunberg rappresenti un notevole passaggio di stato: dal “come osi?” urlato in faccia al negazionista Trump (New York, 2019) alla scudisciata del “bla bla bla” rifilata ai negoziatori inconcludenti del sistema delle COP (Milano, 2021), fino al punto di condensazione in un progetto alternativo di società: “dichiariamo abolito il bisogno di scegliere tra la lotta per il lavoro e quella per la giustizia climatica” (Campi Bisenzio, 2024). A ricordaci l’impossibilità di scegliere tra lavoro e giustizia climatica, se mai ce ne fosse stato bisogno, sono stati questi ultimi giorni drammatici. Infatti, se la domanda che ci poneva il Collettivo sabato scorso – Abbiamo bisogno degli stati generali della giustizia sociale e climatica? – suonava come un appello collettivo, un richiamo alla riflessione corale su cos’è oggi la lotta per il clima e quali traiettorie può e deve percorrere, a una sola settimana di distanza quella domanda si è trasformata in un’affermazione, in un’urgenza improrogabile, mentre ci svegliavamo – dalla Sicilia all’Emilia Romagna, passando per la Liguria e la Toscana - con intere città sommerse dall’acqua.
Alcunə hanno passato ore di terrore sperando che la piena defluisse, altrə l’hanno vista sfilare dall’esterno, in attesa del proprio turno, perché non è questione di se, ma di quando colpirà anche noi. Altrə ancora – lo abbiamo visto dai video in rete – hanno rischiato maggiormente di essere trascinatə da un fiume di acqua e fango mentre andavano a consegnare una pizza o un Happy Meal sulle proprie biciclette: durante lo stesso evento climatico estremo, i più precari e poveri rischiavano la vita, mentre le grandi compagnie del food delivery si arricchivano. Tutto questo per ricordarci l’intreccio insolubile tra posizioni di classe ed esposizione alla crisi climatica.
Così, tra le macerie e il fango, nella oramai ordinaria conta dei danni, tra le parole vuote delle istituzioni che blaterano di responsabilità, accertamenti giudiziari e stati di emergenza, in quel brusco risveglio che presto diventa nuova normalità, l’eco della domanda posta dal Collettivo di fabbrica torna inevitabilmente a risuonare, all’imperativo: abbiamo bisogno degli stati generali della giustizia sociale e climatica!
Il fatto che sia un collettivo operaio a sollecitare e ospitare questa riflessione, dentro una fabbrica, è già di per sé eloquente ed evocativo del cammino fatto in questo Paese per invertire un processo di lunga data che aveva permesso per decenni che il conflitto tra ambiente e lavoro si sedimentasse, scaricando sui territori e suə lavoratorə innumerevoli crisi aziendali che aprivano varchi temporali mai più richiusi, lasciandosi dietro situazioni incancrenite, comunità divise, lavoratorə e abitanti abbandonati in un limbo fatto di incertezza e precarietà, di attese e nocività.
Il Collettivo di fabbrica ex-GKN non ha solo invertito questa tendenza, ma si è spinto oltre, fuori da ogni comfort zone – come ci ha spesso invitato a fare in questi anni – ponendo domande complicate: può salvarsi una fabbrica in un Paese sul lastrico?
Da qui muove l’incombenza degli stati generali: cambiare i rapporti di forza per salvare la fabbrica di Campi Bisenzio; salvare la fabbrica di Campi Bisenzio per agire sui rapporti di forza.
Se già il 9 luglio 2021, davanti ai cancelli di GKN, avevamo decretato il fallimento della transizione ecologica dall’alto, nei mesi e negli anni successivi abbiamo iniziato a immaginare la transizione ecologica dal basso, a nominarla con precisione, a pensarla come una strada percorribile. In queste due giornate di lotta abbiamo però fatto un passo ulteriore: abbiamo detto che questa non è solo un’opzione praticabile; è anche l’unica alternativa in campo. Che intorno a GKN non si stanno sfidando due modelli di transizione, quello discutibile del capitalismo e quello idealista degli operai, ma che dopo decenni in cui la retorica neoliberista ha instancabilmente cercato di relegarci – nella migliore delle ipotesi – a utopia velleitaria, abbiamo dimostrato che l’unica alternativa concreta qui e ora è la riconversione industriale guidata da lavoratori e lavoratrici, con buona pace di Margaret Thatcher e del suo fan club secondo cui “there is no alternative” al capitalismo. Vale la pena ricordarlo: in 3 anni QF – azienda incaricata della reindustrializzazione della fabbrica – non ha mai presentato un piano industriale. Di più: da un po' di tempo ha iniziato a disertare gli incontri al MIMIT e a non pagare lo stipendio ai lavoratori. È per questo che insistiamo nel sottolineare che l’unica opzione in campo è quella che viene dal basso, e che è stata approfondita nei suoi aspetti tecnici nella giornata del 13 ottobre.
È su questa base, emotivamente esplosiva, che il ricercatore solidale Leonard Mazzone non ha descritto bensì declamato quello che avrebbe dovuto essere un solido e rigoroso business plan e ha invece assunto la forma di una canzone popolare, capace di tenere per ore incollate alle sedie centinaia di persone. Una romanza a più voci che ha avvolto e impreziosito un solido e rigoroso piano industriale, trasformandolo nella poesia civile più sublime che il tempo presente potesse regalarci. Perché sì, la lotta nata dal Collettivo di fabbrica GKN ha fatto anche questo: ci ha fatto appassionare a questioni che ci sembravano tecnicismi di esclusiva competenza dei tavoli ministeriali, Consigli di Amministrazione aziendali, speculatori finanziari. Ci ha fatto riappropriare collettivamente del dibattito intorno alle politiche industriali, e ce le ha fatte sentire come fossero una lirica bellissima, un orizzonte a portata di mano, eppure fragile, tutt’altro che scontato. Affinché questo orizzonte si traduca in realtà, infatti, serve che le istituzioni locali – in particolare la Regione Toscana – si assumano la responsabilità di rendere disponibile lo stabilimento (stabilimento che è fermo da tre anni a causa dell’incuria padronale e su cui incombe un tentativo di speculazione edilizia portato a galla dai lavoratori e reso evidente dalla rivalutazione stessa dello stabilimento dal valore di 2 milioni di euro del 2020 ai 29 milioni di euro nel 2021)[1].
Il 18 maggio 2024, a termine della manifestazione conclusa sotto il palazzo della Regione Toscana che dava inizio allo sciopero della fame dei lavoratori, il Collettivo di fabbrica chiedeva alle istituzioni cosa altro servisse loro per intervenire. Tre anni di lotta, tredici giorni di sciopero della fame, decine di manifestazioni, due piani industriali, migliaia di persone venute da ogni parte d’Italia e d’Europa, 1.250.000 euro raccolti con l’azionariato popolare.
Lo chiedeva sfidando ancora una volta l’immobilismo istituzionale, che passo dopo passo diventa complicità: diteci in quantə dobbiamo venire, e noi veniamo, noi siamo capaci di portarvi qualsiasi numero perché intorno a questa fabbrica abbiamo costruito un mondo di immaginari, relazioni e speranze, un mondo pronto a mettersi in marcia e sfidare il deserto che avete creato. È questa oggi la grande sfida che abbiamo di fronte, e per la quale il Collettivo ci chiama di nuovo a raccolta il 17 novembre: in fabbrica, va da sé.
Del resto, valgono pure per la giustizia climatica a trazione operaia le parole che il genio di Ken Loach fa pronunciare a un personaggio di Terra e libertà (1995): “La rivoluzione è come una vacca incinta che dobbiamo aiutare a partorire. Se non la aiutiamo in tempo perderemo la vacca, il vitello e i bambini resteranno senza latte”. Diamoci da fare, il nostro tempo è ora.
[1] https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/10/11/gkn-le-scatole-cinesi-della-proprieta-fino-a-mps-e-lombra-di-unoperazione-immobiliare/7319395/[NdR: Che quell’operazione non fosse un’ombra, ma una drammatica realtà, è oggi – 22 ottobre – conclamato: https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/10/21/gkn-i-lavoratori-manifestavano-lazienda-si-era-gia-venduta-lo-stabilimento-di-campi-bisenzio-sotto-il-naso-di-urso/7738102/?fbclid=IwY2xjawGEbklleHRuA2FlbQIxMAABHUn3Mm6A-Q3qhiD0l8szRVzbClnrwp5zuEzTf5pfFUVWaVEIv6qgyMV2dQ_aem_6SyTfpiUtZ8YqbyY5cdauw]