Le belle relazioni

di Vincenzo Scaringi

E. A., una mia ex allieva attualmente ventenne, mi scrive su Whatsapp.
Stasera ho deciso di rileggere questo libro ("Io sono tu sei" di Giusi Quarenghi) che stava in un angolino nella mia libreria ... è uno di quei momenti in cui non posso che pensare alla meravigliosa persona che sei. Sarò eternamente grata alla vita per il dono che mi ha fatto: il ricordo di te che ci portavi le caramelle in classe senza toccarne neanche una rimarrà sempre tra le dimostrazioni di amore più grandi e sincere di cui io abbia mai fatto esperienza. La nostra biblioteca di classe, le canzoni nell’ora di inglese, le storie di “Giovannin senza paura”, “Kirikù e la strega Karabà”, “Io sono tu sei”... Vincenzo, tu mi hai insegnato ad essere umana, e questo è il regalo più bello che tu potessi farmi.
Sì, la scuola può essere anche questo, ma ahimè, può anche essere l'esatto contrario. Il campo, l'ambito dell'apprendimento è pregnante, attiene a qualcosa che è profondamente necessario, intrinseco, radicato nella nostra specie. Nessun cucciolo d'animale necessita di un tempo così lungo per diventare autonomo. In quanto tale è sottoposto ad alcuni elementi costitutivi della realtà stessa, insopprimibili, ineliminabili.
Procedo in ordine sparso: insegnare è un processo visibile, palese, manifesto. Apprendere è un processo oscuro, infatti vengono richieste delle modalità di verifica per accertarsi del risultato. Già queste azioni mettono in moto una complessità difficile da descrivere, da narrare. Quanto, di ciò che insegniamo, arriva agli allievi? Nel suddetto messaggio la mia ex alunna cita come essenziale ricordo positivo le caramelle, le storie, le canzoncine in inglese, cose che non nascevano da una mia profonda conoscenza pedagogica bensì da quella che per me rappresentava una normalissima routine quotidiana, il minimo per un gruppo di persone che doveva condividere una stanza per un certo numero di ore al giorno, qualcosa che non la facesse somigliare troppo a un reclusorio. Se avessimo avuto a disposizione un orto, e il ministero mi avesse sottoposto a un corso obbligatorio di formazione per imparare a coltivarlo penso che saremmo stati tutti molto più contenti.
Degli ultimi anni di insegnamento quella che ricordo come una giornata in cui sono stato letteralmente acclamato dai bambini e dai genitori è una giornata di neve. La guardammo fioccare dalle finestre e quasi senza dire una parola ci precipitammo nel cortile lasciando perdere libri e quaderni senza alcun senso di colpa. In quella smisurata indisciplina c'era il senso di una curiosità, di una voglia di nuovo, c'era una sana rivendicazione, almeno io così la interpretavo, riprenderci il nostro tempo, infatti quel che conta alla fine è la condivisione di un evento. Ogni giorno mi chiedevo: “Quale dono (metaforico) porto oggi ai bambini? Come li aiuto a scatenare la loro innata curiosità?”
É obbligatorio vivere la scuola come un sistema di relazioni pregnanti, strettamente intrecciate. A chi ci rivolgiamo quando facciamo scuola? Che significa fare scuola? Finalmente comincia a delinearsi un approccio che vede sempre meno la scuola come luogo della trasmissione della cultura, ma, molto più giustamente il luogo dove si crea cultura, e la si crea insieme, docenti e discenti. La pratica educativa messa in atto dal maestro Franco Lorenzoni costituisce in Italia un ottimo esempio. Anche il concetto di "intelligenza", a partire dagli studi condotti da Howard Gardner fin dagli inizi degli anni '80 dovrebbero ormai aver convinto tutti su quanto sia improprio oggi parlare di "intelligenza" al singolare e quanto sia invece necessario parlare di "intelligenze" al plurale. A questo proposito riparto con la domanda: “A chi ci rivolgiamo quando facciamo scuola?” Spesso, quasi sempre, ci rivolgiamo alla classe, che è fatta da individui, allievi ed allieve, molto diversi fra loro. Paradossalmente spesso l'unica differenza che emerge sul piano scolastico non è la ricchezza di cui ciascuno di essi è portatore sul piano dei vissuti quanto l'essere più o meno vicini agli obiettivi astratti che la scuola propone, l'unico dato che emerge è dunque il voto conseguito nelle varie discipline. É l'apoteosi del bimbo "bravo" e della bimba "brava". Ma l'istituzione scolastica non è fatta per i bravi.
Non sarebbe possibile orientare la pratica educativa verso un sistema in cui allievi e docenti cooperino per risolvere problemi di natura concreta? Una pratica educativa in cui anche il lavoro manuale ritrovi la sua alta funzione formativa? Il nostro paese ha avuto esperienze di questo tipo grazie all'azione di associazioni come il Movimento di Cooperazione Educativa, che oggi sembrano, ahimé, dimenticate.
Dobbiamo sempre tener presente poi che la scuola vive nella società, che è presente attraverso l'importante funzione che svolgono le famiglie.É necessario che si vada a costituire un nuovo patto pedagogico tra le istituzioni scolastiche e le famiglie. Va ricostruito un sentire comune e di conseguenza un linguaggio comune in cui si parli di scuola intesa in tutta la sua sistematica complessità.
Sulla scuola esiste una letteratura sterminata, ma credo che un moderno orientamento non possa prescindere dal fatto che ai discenti debbano essere affidati compiti che li rendano consapevolmente protagonisti e responsabili dei processi formativi che li riguardano.