L'isola che c'è
di Elena Pecchia
Durante il viaggio di nozze, io e mio marito gironzolando tra le bancarelle di libri sulla Senna trovammo uno straordinario romanzo, si intitolava "La Cité des Ténèbres"(1926) del giornalista francese Léon Groc. Mai tradotto in italiano, la storia narrava di caverne misteriose sotto il mare dove vivevano uomini schiavizzati e in lotta contro l'invasione di extraterrestri venuti dalla Luna. Gli schiavi sottomarini vivevano in un canale: quello tra Piombino e l'isola d'Elba! Una chicca letteraria e locale di una tradizione letteraria che parte dal primo romanzo della letteratura occidentale, l'Odissea, con Ulisse in preda alla 'nostalgia' , che vaga ramingo dalla sua isola natale per venti anni, ma che da eroe classico riapproda alla sua Heimat, mentre il semigreco Foscolo, da eroe romantico, perderà di vista la sua Zacinto, la via del ritorno.
Ma l'isola c'è, anzi è quasi l'unica cosa che c'è.
Anche quella di Peter Pan esiste e si può visitare, è quella scozzese di Eilean Shona, affittata negli Anni Venti dal padre dell'eterno bambino, J. M. Barrie, mentre di quella di Stevenson - archetipo di ogni isola letteraria - non ci è dato di sapere le coordinate, più segrete del suo tesoro.
Solitaria e rocciosa quella del vendicatore Edmond Dantes, uno scoglio petroso nel nostro arcipelago, oggi e allora abitata soprattutto da capre, visitata probabilmente da Dumas nel suo viaggio in Italia quando mostrò a un allibito Garibaldi la sua creola schiavizzata Haidée, preferita dal conte di Montecristo all'infedele Mercedes.
Ancora in un'isola misteriosa del Mediterraneo vivono Prospero e sua figlia Miranda, dove approdano naufraghi il re di Napoli e suo figlio Fernando, vittima di un colpo di fulmine per la mirabile Miranda tanto da chiederla in moglie un minuto dopo averla incontrata. Non sappiamo se Shakespeare sia mai stato nella nostra Penisola, ma probabilmente aveva tratto spunto dalla spedizione di Carlo VIII nel 1494 ricordata nella " History of Italy" di William Thomas.
E Dante, di cui si è celebrato quest'anno il settecentenario della morte, nel suo viaggio immaginario nell'Oltretomba non manca di dare nomi e cognomi propri alle isole del nostro arcipelago. Basti pensare al XXXIII canto dell'Inferno in cui il conte Ugolino invoca la Capraia e la Gorgona perché "faccian siepe ad Arno in su la foce, sì ch'elli annieghi in te ogni persona!". Ancora il mitico Ulisse, dopo essere ripartito ormai vecchio e stanco, per l'ennesimo viaggio abbandona il Mediterraneo oltrepassando le Colonne d'Ercole, ma mal gliene incoglie: arrivato nell'emisfero australe vede in lontananza una montagna grigia, enorme, è la montagna del Purgatorio da cui nasce un'onda anomala che si richiuderà su di lui e la sua "picciola compagnia".
Kant ce lo spiegherà qualche secolo dopo: l'isola è l'esperienza, la base salda a cui aggrapparsi per non precipitare nel nulla o nell'infinito, che è poi la stessa cosa; forti della terra sotto i nostri piedi, con le nostre certezze, possiamo anche protenderci verso il mare aperto, verso l'avventura e orizzonti più vasti, verso la conoscenza e quello che sta al di là delle cose fisiche. Tutt'al più, come spiega il centenario Edgar Morin, ci possiamo spostare in un arcipelago, nel nostro arcipelago, passando da una piccola certezza a un'altra. Ma guai ad allontanarsi in mare aperto: la burrasca e la tempesta potrebbero avere la meglio su di noi. Le isole ci sono e teniamocele care.