La musica infinita
Il museo internazionale e la biblioteca della musica di Bologna
Intervista a Enrico Tabellini
a cura di Monica Pierulivo
Il Museo internazionale e biblioteca della musica fa parte dei Musei Civici del Comune di Bologna. La sua finalità è quella di valorizzare, tutelare e far conoscere al grande pubblico le straordinarie collezioni di beni musicali che la città di Bologna possiede e che documentano oltre sei secoli di storia della musica occidentale (ma non solo…), proponendosi come luogo di conservazione e tutela, ma anche come centro di attività culturali in cui l’eredità del passato è un valore per costruire il presente e il futuro della vita musicale cittadina e dove la musica è scoperta, informazione, formazione e incontro.
- Quali sono le peculiarità di un museo della musica e del vostro in particolare?
I musei della musica in generale non sono moltissimi, soprattutto se paragonati - come numero - a quelli archeologici, alle pinacoteche o alle raccolte di arte contemporanea. Ce ne sono di famosi in Europa e nel mondo, basti pensare al Musée de la Musique di Parigi, al MIM di Bruxelles, al Museo degli Strumenti Musicali di Hamamatsu in Giappone o alla collezione di strumenti musicali del MET di New York.
Peculiarità di tutti i Musei della musica - incluso il nostro, ovviamente - è quella di conservare ed esporre un particolare tipo di oggetti: gli strumenti musicali.
Ma ciò che si tende a dimenticare è che uno strumento musicale inoltre non è l’equivalente di un quadro o di una scultura. Parafrasando la synthèse judicieuse di Claude Lévi-Strauss, possiamo affermare che mentre questi ultimi sono sia l’oggetto estetico “finale” dell’azione artistica che il suo obiettivo intrinseco, ciò che si può esporre nei musei come il nostro in realtà sono gli oggetti che materialmente “servono” per fare musica: in pratica l’equivalente di un museo dei pennelli per l’arte visiva o degli scalpelli per la scultura se vogliamo fare un esempio.
E dubito che qualcuno andrebbe mai a visitare un museo dei pennelli o degli scalpelli, anche se una delle nostre fortune è che solitamente gli strumenti musicali sono spesso dei capolavori di artigianato e quindi oggetti meravigliosi da ammirare.
Ma non dimentichiamoci che la musica è un’arte immateriale e performativa quindi esiste solo nel momento di una performance o - da poco più di un secolo - della registrazione di una performance. Ed essendo costituita da vibrazioni trasmesse attraverso l’aria, per sua natura fisica è essenzialmente un’arte impossibile da esporre dentro le vetrine. Spingendo il paradosso ancora oltre, ho sempre pensato che i “veri” musei della musica in senso specifico siano i teatri d’opera, gli oratori, le chiese, i jazz club, dove si attuano e si recuperano nuove e antiche pratiche del “fare musica”.
Per questo, i musei della musica sono in generale un costrutto culturale molto particolare, sicuramente affascinante ma anche molto complesso da trasmettere e da mediare.
E ciò è vero a maggior ragione per il Museo della musica di Bologna, la cui reale unicità sta nel fatto che quella degli strumenti musicali è solo una delle tipologie di collezione che conserviamo ed esponiamo.
E non è la più importante.
Infatti, visitando le nove sale in cui si snoda il percorso espositivo, vi ritroverete attorniati non solo da strumenti musicali, ma anche da oltre un centinaio di dipinti di musicisti e soprattutto da una selezione di circa 250 documenti storici di enorme valore, tra spartiti e libri di musica a stampa e manoscritti, trattati, libretti d’opera, partiture e lettere autografe, che però costituiscono la “punta dell’iceberg” della nostra incredibile biblioteca musicale, che oggi conserva e rende disponibili alla fruizione più di 110.000 documenti.
E la nostra sfida quotidiana, quando un visitatore entra nel nostro museo - tra l'altro ospitato in uno splendido palazzo storico che meriterebbe una visita di per sé - è far capire il significato vero di questo museo, in cui “l’essenziale è invisibile agli occhi”.
- Potresti spiegare meglio cosa intendi?
Per capirlo, un ottimo esercizio è leggere le recensioni sui social e le frasi che i nostri visitatori lasciano sul guest book all’ingresso: quasi sempre ci vengono restituite impressioni molto positive sul palazzo e sugli strumenti musicali in mostra, mentre la pecca che ci viene evidenziata più spesso è che nelle sale “manca la musica”.
E a dire il vero, l’unica cosa che manca al museo della musica è proprio… la musica!
In realtà, la scelta di non utilizzare musica filodiffusa nelle sale, che perseguiamo scientemente dal 2004, anno di apertura del museo nella nuova sede, è solo apparentemente contraddittoria.
E anche se naturalmente volendo con l’audioguida durante la visita sono a disposizione quasi 3 ore di musica, la nostra scelta è dettata da due ragioni: la prima è quella di evitare l’effetto muzak - la musica da supermercato o da ascensore - perché per noi la musica non è e non deve essere (in) sottofondo. L’altra, ancora più fondamentale, è che raramente le opere in esposizione sono state selezionate in ragione della musica che contengono (con celebri eccezioni ovviamente: i manoscritti del celebre e misterioso compito di Mozart, il manoscritto autografo del Barbiere di Siviglia di Rossini, la prima edizione del Cimento dell’Armonia e dell’Invenzione di Vivaldi che contiene i quattro concerti denominati le Quattro Stagioni). Nella quasi totalità dei casi, invece, le scelte rimandano ad altri tipi di ragionamenti e collegamenti, tutti legati da un filo rosso affascinantissimo che lega le nostre collezioni musicali sia alla grande storia della musica che a quella di personaggi affascinanti più o meno conosciuti (primo tra tutti quel Giambattista Martini che è il nostro Padre nobile). Ma il percorso ci consente di parlare dei cambiamenti culturali nel corso dei secoli in termini di teoria ed estetica delle arti, di epistemologia, di storia della stampa musicale, di evoluzione delle arti musicali, degli stili e dei modi in cui la società ha usato la musica e la sua esecuzione pubblica e privata, nonché la partecipazione agli spettacoli.
Questo è il filo rosso “invisibile” la cui scoperta - lo sappiamo per esperienza - entusiasma sempre tutti i nostri visitatori (dall’esperto al semplice appassionato, dal cittadino bolognese al turista occasionale). E dal momento che proprio in questo a nostro avviso risiede il vero scopo e interesse nella visita delle nostre collezioni, per un periodo abbiamo addirittura pensato provocatoriamente (ma fino ad un certo punto…) di non consentire la visita al museo senza un adeguato servizio di mediazione.
Continuiamo però questa pratica con le scuole.
- A questo proposito, che tipo di lavoro viene svolto con le scuole?
Ogni anno scolastico sono circa 20.000 i partecipanti a "Metti in gioco la musica", il nostro progetto di laboratori, atelier e attività musicali pratiche che da qualche anno si sviluppa non solo negli spazi del museo ma, nelle scuole di Bologna e dell’intera città Metropolitana, anche direttamente a scuola. Ci tengo a specificare che per noi la visita alle collezioni è il punto finale di un percorso di creazione di un background di conoscenze ed esperienze musicali, indispensabili per creare le condizioni affinché la visita al museo sia qualcosa di realmente utile e fattivo.
Se con un adulto, infatti, che oltretutto ha scelto autonomamente di visitare il nostro museo posso permettermi di dare per scontato qualche conoscenza musicale condivisa (almeno dal punto di vista del lessico di base o dei “capisaldi” della storia della musica occidentale), con un* studente di qualsiasi ordine scolastico questo non è di norma possibile.
E quindi se si portasse un* bambin* in un museo come il nostro, dove si troverebbe catapultato in circondato da ritratti imparruccati, ponderosi volumi, incomprensibili spartiti e oggetti che rimandano ai grandi della musica, è praticamente certo che uscirebbe con la convinzione che la musica la possono fare solo i geni e che quindi che non è cosa per lui, rischiando un effetto controproducente.
Come dicevo, per le scuole abbiamo quindi creato un fitto programma (sono circa 60 attività diverse) di training a competenza zero, in cui, a partire dalla scuola dell’infanzia passando per la primaria e la secondaria fino a Conservatori e Università, affrontiamo gli ambiti più disparati: dalla propedeutica al canto e ai laboratori di circle songs, al movimento espressivo, dalla body percussion all’esplorazione e costruzione di strumenti, dagli esperimenti di composizione empirica e di performance d’insieme fino alle nostre celebri visite “sonate”, condotte nelle sale del museo da musicisti professionisti: perché per noi la musica è una cosa che prima si fa, poi si ascolta e poi se ne parla.
L’obiettivo è dunque proporre una reale e soddisfacente esperienza musicale che, attraverso un approccio ludico e pratico, crei le condizioni di conoscenza necessarie per un incontro attivo e didatticamente fondato con le collezioni museali e con il linguaggio musicale, nella consapevolezza, da anni testata sul campo, che se il primo approccio è solo teorico senza lo stimolo ad iniziare o a continuare a “praticare”, il rischio è che al termine di una visita non rimanga niente, se non un dannoso approccio sacrificale punitivo.
Per inciso, voglio anche dire fuori da ogni stereotipo, che i musei non sono mai polverosi ma che anzi, come nel nostro caso, sono ben illuminati e pulitissimi.
- Ma torniamo alla storia: come sono nate le raccolte musicali bolognesi?
Come accennavo in precedenza, la caratteristica che rende unica la nostra istituzione è la nostra collezione bibliografica: la biblioteca del Museo della musica è stata anch’essa riaperta al pubblico nella nuova sede di Palazzo Sanguinetti in strada Maggiore 34 (mentre prosegue la digitalizzazione del patrimonio, disponibile gratuitamente on line sul sito del museo) e rappresenta una delle raccolte musicali più prestigiose al mondo, grazie anche all’eccezionale completezza di talune sezioni: anzitutto quella dedicata alla teoria musicale, di cui in certi ambiti possediamo la quasi totalità delle opere a stampa, assieme a numerosissimi manoscritti.
Nella sezione dedicata alla musica pratica sono poi rappresentate tutte le epoche e gli stili: giusto per fare qualche esempio, tra tutti spicca il codice Q.15, un’importante silloge di polifonia quattrocentesca (la fonte più importante delle prime opere di Guillaume Dufay); l’Harmonice musices Odhecaton A, la prima edizione interamente musicale stampata in caratteri mobili (realizzata da Ottaviano Petrucci nel 1501, e di cui l’unico esemplare completo è esposto in Museo); il Melopeo y maestro di Pietro Cerone,impresso a Napoli in lingua castigliana nel 1613, che, secondo la leggenda, divenne subito rarissimo dopo che quasi tutta la tiratura era colata a picco con il galeone che la trasportava in Spagna.
Si aggiunge poi la notevole collezione di oltre 11.000 libretti d'opera, autografi dei più grandi musicisti e compositori, una delle più ricche collezioni di musica vocale profana del XVI e XVII secolo.
Tutto risale al nostro Padre nobile, il frate francescano Giambattista Martini, figura incredibile oggi sempre più conosciuta, anche grazie a noi. Padre Martini nasce nel 1706 a Bologna e muore nel 1784 sempre nella sua città natale, dove per buona parte della sua vita lavora all’opera che lo rese celebre in tutta Europa: la sua Storia della musica.
Si tratta essenzialmente di un’enciclopedia della musica, che, partendo dalle origini della musica (il primo capitolo è letteralmente intitolato “Il Diluvio Universale”) nell’arco di 5 volumi sarebbe dovuta arrivare fino ai suoi contemporanei del XVIII secolo (dico sarebbe perché purtroppo non verrà portata a termine, ma si interromperà al terzo volume per la morte dell’autore).
Ma attenzione: mentre oggi il concetto di enciclopedia è comune e assodato, vorrei sottolineare il primo volume della Storia della musica (oggi esposto in sala 2) è stato pubblicato nel 1756: a titolo di esempio, la prima edizione dell’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert è stata stampata a Parigi nel 1751.
Possiamo dire pertanto che Padre Martini ha avuto la stessa idea dei circoli illuministi dell’epoca, che però, non essendo mai uscito dall’Italia, lui non ha mai frequentato.
Il problema però era che per scrivere il suo magnum opus Padre Martini aveva bisogno di una enorme serie di documenti di ogni ambito musicale. E la cosa davvero incredibile è che senza essere ricco di famiglia, da umile frate francescano qual era (legato quindi al voto di povertà), diventò uno dei maggiori collezionisti di musica di tutti i tempi, facendo praticamente tutto da solo e realizzando una delle più grandi raccolte musicali della storia dell’umanità.
Per capire come padre Martini abbia potuto raccogliere tutto questo patrimonio, dobbiamo contestualizzare il ruolo dell’Italia in quel particolare periodo. Nel ‘700 se volevi fare il musicista eri praticamente obbligato a fare il cosiddetto Grand Tour della musica in Italia.
E Bologna, oltre alle altre grandi città come Napoli, Roma, Firenze, era una tappa fondamentale, non solo per la sua vita teatrale intensa ma soprattutto perché offriva la possibilità di seguire quella che noi oggi chiameremmo una masterclass con padre Martini, considerato il miglior insegnante di musica d’Europa, grazie a questo infinito archivio di musica di cui poteva vantare una conoscenza (letteralmente) enciclopedica che gli valsero l’epiteto di “Padre di tutti i Maestri”.
E così la sua fama attraversa i confini con centinaia di musicisti che vennero nella città felsinea appositamente per fare lezione con lui: e oltre a decine di carneadi o perfetti sconosciuti oggi, tra i suoi allievi troviamo anche coloro che diventeranno i musicisti più influenti della sua epoca.
E in cambio delle lezioni di musica, dei pareri, delle numerose dispute musicali in cui veniva chiamato a fare da “arbitro”. Per tale attività, il francescano non percepiva compensi: di qui la gratitudine degli allievi, che sovente mantenevano i contatti con il maestro anche dopo aver concluso il loro periodo di studi e che, volendo ringraziare padre Martini, sapevano benissimo che ad essere gradito non era il denaro ma… i libri, tanto che a un certo punto inviare rare e costose edizioni a Padre Martini diventa tra i musicisti del ‘700 una specie di status symbol.
E questo lo scopriamo dalle migliaia di lettere di risposta (che conserviamo in biblioteca) in risposta a missive che Padre Martini inviò praticamente a chiunque in tutta Europa alla ricerca dei libri che gli servivano, spesso operando scambi librari quasi sempre a suo vantaggio, in un modo che a noi “moderni” potrebbe apparire sin troppo spregiudicato, ma in realtà sfruttando il fatto che nella società del ‘700 il concetto di repertorio praticamente non esisteva e, nelle arti come in musica, si era alla continua e spasmodica ricerca di novità.
La biblioteca martiniana non era però solo una collezione di rarità, quanto piuttosto un contenitore dotato degli indispensabili strumenti di ricerca e di approfondimento necessari ad uno storiografo, compositore e didatta, in un’epoca in cui le collezioni pubbliche erano assai poche e i repertori bibliografici pressoché inesistenti: e questa sua caratteristica originaria teniamo traccia in tutta l’esposizione permanente.
La raccolta era talmente celebre che nel 1750 Padre Martini, per preservarla dalla possibile dispersione scrisse una supplica (oggi esposta in sala 2) a papa Benedetto XIV, il bolognese Prospero Lambertini che si adoperò per far sì che alla sua scomparsa la raccolta libraria fosse preservata nella sua integrità, pena la scomunica.
Ma tanta cautela servì a poco perché durante gli avvenimenti rivoluzionari e la successiva dominazione napoleonica, il patrimonio rischiò di essere sottoposto a confisca in quanto bene di una congregazione ecclesiastica soppressa; riuscì a salvarlo l'intervento di Stanislao Mattei, discepolo e successore di Martini, che riuscì a portare le parti più pregiate della collezione libraria (la storia parla di otto carri carichi di libri) nella sua abitazione privata facendola passare come parte del suo patrimonio personale.
Solo più tardi il prezioso patrimonio bibliografico giunse nell'archivio del Liceo Filarmonico, istituito nel 1804 nell'ex complesso degli Agostiniani di San Giacomo Maggiore, sotto forma di dono al Municipio di Bologna, che annunciato nel 1816 fu perfezionato solo nel 1827, due anni dopo la morte di Mattei.
La biblioteca si accrebbe sensibilmente nel corso dell'800 e della prima metà del '900, grazie al deposito dei materiali prodotti dall'attività didattica del Liceo (che ebbe tra i propri allievi Rossini, Donizetti e Respighi e tra i direttori Mancinelli, Martucci e Busoni), ma anche grazie agli acquisti mirati di volumi rari e di pregio voluti da Gaetano Gaspari, nominato bibliotecario nel 1855, che fu anche il primo a ordinare e schedare tutto il materiale librario, giunto sino a noi.
Tra l’altro, un’occasione privilegiata per toccare con mano (si fa per dire, beninteso…) questo patrimonio è la visita al caveau della biblioteca che organizziamo ogni 11 maggio, in occasione del compleanno del museo, solo per 36 fortunati visitatori che vengono accompagnati all’interno delle sale blindate che occupano un’intera ala del palazzo, dove sono conservati i capolavori più importanti.
In questa occasione speciale è possibile rendersi conto sia da un punto di vista visivo che (vi sembrerà strano) olfattivo, del numero enorme, della ricchezza e della bellezza di questi documenti.
E in quelle sale è raccolto il solo patrimonio fino al ‘700!
- Ma oltre a libri e strumenti musicali, in museo è presente un’altra collezione “inaspettata” ...
Eh sì: un’ulteriore particolarità delle collezioni musicali bolognesi risiede nella formazione della cosiddetta quadreria, che nel Settecento pare non avesse rivali. Dal prezioso carteggio di lettere che Padre Martini tenne con diversi personaggi dell'epoca, musicisti che erano stati suoi allievi a Bologna, membri dell'Accademia Filarmonica, teorici, compositori, nobili, illustri intellettuali, maestri di Cappella, si è evidenziata una complessa rete di informatori e di intermediari che si occupavano di reperire i ritratti da lui desiderati, con l'intento di dare testimonianza iconografica di personaggi legati da un unico comune denominatore - la musica - e dal fatto di avere rapporti più o meno diretti con la sua Biblioteca.
Il prestigio di Padre Martini era tale che per un musicista dell'epoca era importante entrare a far parte della sua galleria di ritratti, perché ciò equivaleva ad una sorta di riconoscimento di merito: questo il caso dei ritratti richiesti da Padre Martini a Rameau, Jommelli, Gluck e Mozart fino a Johann Christian Bach, che invia a Bologna un suo ritratto realizzato nientemeno che da Thomas Gainsborough.
Ma in museo troverete - giusto per citare i più famosi - anche i ritratti “ufficiali” di Rameau, Tartini, il “presunto” Vivaldi, e ancora Cimarosa, Paisiello, Jommelli, Haendel, Farinelli…
Anche dopo la morte di Martini, la quadreria si arricchì di numerosi altri ritratti (tra cui Farinelli di Corrado Giaquinto, Rossini, Bellini, Donizetti, Wagner, Verdi) e ad oggi è costituita da 319 dipinti (di cui - per ragioni di spazio - nelle sale espositive è esposta una minima parte) che si vanno ad assommare alle migliaia di fotografie di scena, bozzetti, manifesti, programmi di sala e registrazioni audio/visive dei nostri archivi (da poco abbiamo acquisito anche l’Archivio del Teatro Comunale).
- Tra i documenti conservati ci sono storie e curiosità che riguardano personaggi famosi e non?
Sì certo, una di queste riguarda proprio l’allievo più celebre di Padre Martini: Wolfgang Amadé Mozart.
Come gran parte dei giovani musicisti del XVIII secolo, anche il quattordicenne Mozart parte per il Grand Tour in Italia per perfezionare la conoscenza dell'antica civiltà classica. Accompagnato dal padre, Wolfgang fa tappa a Bologna: vuole essere ammesso nella prestigiosa Accademia Filarmonica, una tra le istituzioni musicali più celebri e rinomate d'Europa.
Wolfgang viene così ospitato per tutta l'estate del 1770 nel palazzo di campagna del conte Pallavicini, fuori Porta S. Vitale, dove prende lezioni di contrappunto da Padre Giambattista Martini in persona.
Così il 9 ottobre dello stesso anno Mozart sostiene e supera l'esame diventando Accademico filarmonico, come fa scrivere in effige al ritratto inviato a padre Martini, oggi esposto in sala 3.
Ma ottantotto anni dopo, il 9 maggio 1858, Gaetano Gaspari, bibliotecario del Liceo musicale bolognese, rese noto che esistevano altre due diverse versioni del compito (entrambe esposte in sala 3): la prima, autografa e composta sicuramente da Mozart, che presenta però diversi errori nella tecnica compositiva. La seconda invece, in cui ad occhio nudo sono evidenti rifacimenti, cancellature e la presenza di più inchiostri nei punti in cui gli errori sono stati corretti: il problema è che la scrittura di questo secondo esemplare, che rispettava il rigoroso stile contrappuntistico, non è quella di Mozart ma quella del suo maestro, Padre Martini.
La terza, quella che Mozart consegnò effettivamente alla commissione d’esame e l'unica conosciuta fino a quel momento, aveva invece la scrittura di Mozart, ma con la musica corretta da Padre Martini.
Su come sia andato questo “misterioso” compito ad oggi, dopo 254 anni, non c’è ancora unanime consenso, ma personalmente trovo stimolante immaginare che Padre Martini corresse il compito di Mozart e il giovane musicista, superò l'esame solo copiando la versione giusta… Quando si racconta questa storia agli studenti, si sentono sempre dei gran sospiri di sollievo!
- E cos’altro custodisce il museo?
Beh, gli esempi che potrei fare sono infiniti: in sala 4 troverete l’unico esemplare mai costruito di Clavemusicum omnitonum: la “tastiera perfetta” realizzata da Vito Trasuntino nel 1606 con ha 125 tasti disposti su 5 file diverse e 31 tasti per ottava (con un tasto per ogni semitono e addirittura uno per ogni quarto di tono).
In sala 5, oltre all’edizione originale dell’Euridice, abbiamo strumenti originali del dal ‘500 all’800 e le due sale dedicate all’opera in cui, giusto per fare un esempio, è esposto il manoscritto autografo del Barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini, che tra l’altro in questo giorno è aperto proprio sulla famosa cavatina di Figaro: quindi, se volete vedere la prima volta in cui Rossini mise su carta quello che credo essere l’aria più iconica della storia dell’opera, appuntamento in sala 7.
Ma anche la prima edizione del Cemento dell’Armonia e dell’Invenzione, l’opera 8 di Antonio Vivaldi che contiene le Quattro stagioni (di cui tra l’altro nel 2025 ricorrono i 300 anni dalla pubblicazione), fino alla sala 9, che conclude il viaggio musicale del Museo approdando nel ’900 con due personaggi illustri quali Martucci e Respighi.
È fondamentale ricordare come, grazie a questa grande varietà di ambiti, tipologie e periodi storici, possiamo dire tranquillamente che senza i documenti del museo della musica, di certi autori o di certi stili non conosceremmo praticamente nulla.
- Per rispettare la filosofia che vi siete dati, il Museo della musica organizza nel corso dell’anno anche molte rassegne musicali valorizzando il suo patrimonio e contribuendo alla conoscenza delle diverse forme e generi musicali, non solo antichi ma anche contemporanei e popular…
Sì, la nostra attività di promozione del nostro patrimonio musicale si caratterizza anche per una significativa vita performativa, fatta di rassegne e iniziative di diverso tipo che per noi costituiscono la nostra virtuale sala 10.
Tra concerti, narrazioni musicali, incontri, visite, laboratori, mostre, sono circa 120 gli eventi che ogni anno organizziamo e proponiamo alla città come parte integrante della nostra idea di museo.
Il periodo tra la fine di novembre e l’inizio di maggio dell’anno successivo è dedicato a Wunderkammer - il museo delle meraviglie, la rassegna di concerti, narrazioni musicali e visite speciali alla scoperta dei tesori musicali del museo e della biblioteca.
In programma incontri con gli autori di presentazione delle novità editoriali e discografiche legate al museo e le ri-Creazioni, la rassegna di incontri in cui gli esperti di Athena Musica sono chiamati a ri-creare il volto delle collezioni museali – strumenti musicali, dipinti, spartiti, libretti d’opera, libri a stampa o manoscritti... – attraverso le loro storie, raccontate dalla viva voce dello studioso; gli appuntamenti di 4Dummies, le lezioni-concerto su tutto quello che avreste voluto sapere sulla musica (ma non avete mai osato chiedere…); le Variazioni, il ciclo di visite sonate e performance nelle sale: non solo classiche esperienze “frontali” ma vere e proprie traduzioni performative del museo, attraverso l’uso e l’ibridazione di diversi linguaggi musicali e artistici
Ma l’appuntamento fondamentale della rassegna è costituito dagli 8 concerti di Insolita - la musica che non ti aspetti, in cui il museo e la biblioteca tornano a (ri)suonare!
Dal momento che, come abbiamo detto all’inizio di questa chiacchierata, i documenti non “parlano” e non suonano da soli, da una decina d’anni ideiamo questa serie di concerti dal vivo in cui tutti i programmi di concerto vengono selezionati proprio perché legati a un manoscritto, un’edizione a stampa, una lettera, un dipinto appartenenti alle collezioni del museo.
E Insolita è anche l’occasione per vederli “da molto vicino”: prima del concerto, proponiamo al pubblico il cosiddetto ¼ d’ora accademico in cui gli esperti del museo mostreranno uno dei pezzi unici della collezione legato al programma del concerto che seguirà.
Per farvi un esempio, lo scorso 14 dicembre, dal programma del secondo concerto del ciclo abbiamo scelto di mostrare e di parlare di O felici occhi miei di Jacques Arcadelt, un madrigale così popolare da essere una sorta di hit del Rinascimento, con 40 edizioni realizzate nell’arco di più di un secolo: ecco, di queste 40 edizioni, il nostro museo ne conserva ben 19, e molte di esse in copia unica.
Alle persone che partecipano ai nostri concerti, mostriamo fisicamente la relazione stretta tra il documento conservato nella nostra biblioteca e la splendida musica di cui godono nell’esecuzione dal vivo, che non esisterebbe senza il documento stesso. Al tempo stesso, certi repertori sono talmente lontani da noi come tempo, gusto, estetica, riferimenti sociali che, a nostro avviso, senza una attenta e accessibile mediazione si farebbe molta fatica non solo ad apprezzarli, ma anche solo a decodificarne il senso.
Sempre sul tema di raccontare la musica, la nostra ultima “creazione” è La Musica che Gira Intorno, la rassegna nata per dare spazio ai migliori musicteller attualmente in circolazione.
Ma chi è in realtà un narratore musicale? E cosa fa di diverso da un “normale” conferenziere?
Per una classica “lezione musicale” sappiamo che bastano un microfono, uno schermo, due casse (possibilmente non ronzanti) e la conoscenza di un tema musicale.
Ma per trascorrere insieme un’ora e mezza ascoltando e parlando di musica in maniera coinvolgente e appassionante, bisogna essere in grado di accompagnare il pubblico in una dimensione diversa, dove competenza, divulgazione e selezione degli ascolti si fondono nella condivisione di un racconto e di un punto di vista particolare, “alto” e “altro” ma accessibile a tutti (anche a chi non ha un solido background musicale).
E questa è una vera e propria arte che in pochi – sia tra i musicisti che tra gli studiosi – conoscono e padroneggiano: un modo diverso, immersivo, accessibile, spettacolare, coinvolgente di narrare e vivere la musica (o meglio – tutte – le musiche).
Durante tutto l’anno c’è anche The best of musica per bambini da 0 a 99 anni, i laboratori e gli spettacoli musicali che il Museo della musica propone alle famiglie per trascorrere il weekend insieme giocando, imparando e divertendosi con la musica.
In tutte queste attività, la particolarità è che i grandi partecipano assieme ai bambini, perché per noi la dimensione esperienziale della musica non si esaurisce con la più tenera età, ma grazie al coinvolgimento (obbligatorio ma alla fine sempre entusiasta) degli adulti accompagnatori nelle attività, facciamo in modo di (ri)attivare la voglia e le capacità di mettere in gioco le proprie attitudini musicali anche a chi per tutta la vita non ha mai fatto musica.
Durante l’estate organizziamo ormai da 14 anni (s)Nodi il festival di musiche inconsuete, in programma da luglio a settembre e dedicato a tutti coloro che vogliono vivere l’estate ascoltando musica dal vivo.
Il festival propone un nuovo viaggio musicale intorno al mondo per conoscere e raccontare gli innumerevoli e spesso sorprendenti incroci delle diverse traiettorie della musica popolare e folklorica contemporanea.
Tra l’altro anche il processo di selezione è particolare: ogni maggio, infatti, pubblichiamo un bando in cui chiediamo ai musicisti di mandarci i loro progetti più originali (che spesso non trovano spazio nei grandi festival estivi), il cui filo conduttore è il talento e l’originalità nella capacità di ibridare e contaminare linguaggi musicali differenti, oltre i canonici confini geografici e di genere.
È così che dalle decine di “esperienze sonore” che ci arrivano ogni anno, selezioniamo le dieci che a nostro avviso costituiscono tra le più interessanti declinazioni delle musiche d’oggi. E spesso e volentieri ci arrivano dei progetti molto particolari. Quest’anno ad esempio abbiamo due musicisti della tradizione occitana-piemontese insieme a una suonatrice di pipa taiwanese e a un percussionista sino-norvegese. Abbiamo poi ospitato il progetto Oltremura, composto da un chitarrista ebreo sefardita milanese con origini assai miste, un famelico ricercatore e interprete di musiche popolari e uno straordinario suonatore di sax del Kurdistan siriano, testimone di una storia e di una cultura che ancora oggi lottano per esistere.
Ultima delle rassegne storiche del museo è #Novecento, gli appuntamenti tra ottobre e dicembre dedicati alle musiche di un altro millennio, in cui scrittori, storici, accademici ma soprattutto musicisti raccontano in parole e musica i personaggi gli stili, gli anniversari, i capolavori della loro arte durante il lungo secolo breve.
In questa ampia rassegna organizziamo diversi cicli con formule diverse: c’è ad esempio Jazz insight ovvero le narrazioni musicali sulla musica africano-americana, i suoi protagonisti e le vicende che ne hanno caratterizzato la storia, legati agli anniversari più importanti dell’anno.
Il tutto raccontato dalla prospettiva di un pianista jazz, Emiliano Pintori, che si avvale di una selezione di materiale audiovisivo di rara fruizione e delle interpretazioni dal vivo dei suoi speciali ospiti.
Good vibration è invece un altro ciclo nel quale invitiamo alcuni scrittori a parlare delle loro ossessioni musicali che vengono reinterpretati dai musicisti più interessanti della scena rock, folk, popular e punk odierna. Quest’anno ad esempio, abbiamo aperto con Carlo Lucarelli che ci ha parlato della sua (inaspettata) ossessione per i Clash.
Ma sempre all’interno di #novecento gli appuntamenti con audio/visivo, dedicati alle complesse relazioni tra suono, musica, immagine e cinema e ultimamusica, dedicati alle musiche “inaudite” di questo e altri secoli in cui ci si immerge nella musica del ‘900, troppo spesso avvolta in luoghi comuni da sfatare, sulle tracce dei grandi anniversari: per il 2024 siamo andati da Schönberg a Nono a Romitelli, fino a Guglielmo Marconi, al quale è stata dedicata la mostra-dossier nelle sale del museoAll’ascolto del mondo, ancora in corso fino al 12 gennaio.
E a proposito di mostre, - a testimonianza che a noi la musica piace a 360°, senza paletti di generi ed epoche - fino a febbraio il nostro spazio mostre temporanee è invece dedicato a Rio Ari O, la (devo dire sorprendente) mostra dedicata ai 40 anni di carriera tra musica e arte di Luca Carboni, che sta avendo un successo travolgente (quasi 5000 ingressi nelle prime 3 settimane di apertura) e che merita davvero una visita.
Insomma, quello che abbiamo l’ambizione di portare avanti (pur lottando quotidianamente con un sottorganico cronico e drammatico, che è la nota dolente del nostro essere orgogliosamente civici e pubblici) è un lavoro costante, senza soluzione di continuità durante tutto l’anno, che, oltre a valorizzare il ricco patrimonio artistico e librario posseduto, punta a svolgere un ruolo significativo per la promozione della cultura musicale, in collaborazione con altre istituzioni culturali e di ricerca del territorio: un’immersione totale nelle collezioni e nella musica, per raccontarvi un museo ogni volta diverso e sorprendente.