Rigenerare il presente
L’esempio virtuoso del comune di Prato
Intervista a Simone Mangani
(a cura di Patrizia Lessi)
1. Ad oggi sono ben sette i progetti di recupero e trasformazione di vecchi siti industriali sul territorio di Prato. Cosa significa investire in termini economici e sociali nell’archeologia industriale?
Sette? Aspetti, mi faccia fare un conto mentale: Officina Giovani presso gli Ex Macelli, la CCIAA Prato-Pistoia presso vecchio opificio, ovviamente il Polo Campolmi presso l’omonima Cimatoria – la fabbrica più grande dentro le mura trecentesche del centro storico – che oggi ospita Biblioteca Lazzerini e Museo del Tessuto, PrismaLab ovvero un centro polifunzionale con sale studio ma anche tutti i servizi bibliotecari presso una ex Filatura nell’area del Macrolotto Zero, l’area a più alta densità migratoria di persone provenienti dalla Repubblica Popolare Cinese, infine – ma i primi in ordine temporale – i due teatri Fabbricone e Fabbrichino.
Prato è anchor point della Rete ERIH – European Route of Industrial Heritage e da alcuni anni ha sviluppato un progetto di Turismo Industriale denominato TIPO. Tipo ha recentemente vinto un bando europeo (European Innovative Action – EUIA) da 5 milioni di euro sul turismo industriale e il Comune di Prato è capofila.
Fatta questa premessa, le rispondo subito: l’archeologia industriale è la nostra prima strada per stare dentro la Convenzione di Faro, ovvero per rendere presente e futuro il ruolo del nostro Patrimonio di riferimento (Heritage rende meglio) nel nome di quella che Becattini, teorico dei distretti industriali, definiva la Coscienza dei Luoghi.
2. Il Museo del Tessuto, simbolo della tradizione di uno dei distretti tessili più importanti d’Europa, sorge nell’ampio complesso industriale dell’ex Cimatoria Campolmi: come è nata l’idea di creare una moderna area museale all’interno di questo sito e a quali complessità è andato incontro in fase di realizzazione?
L’idea è nata in seguito alla chiusura della Cimatoria. La fabbrica più grande dentro il centro storico, set e protagonista al tempo stesso del cult-movie Madonna che silenzio c’è stasera con il nostro Francesco Nuti.
Si sono saldate due necessità: il Comune aveva già – tra le altre biblioteche pubbliche – una grande biblioteca in centro, a due passi dalla Campolmi, ma per lunghi decenni ha dovuto corrispondere un affitto.
Il Museo del Tessuto - nato all’interno dello storico istituto tecnico industriale Tullio Buzzi, transitato anche per il piano terra del Museo Civico di Palazzo Pretorio – a sua volta aveva la necessità di un luogo che desse la possibilità, non solo di esporre il già considerevole patrimonio collezionato, ma anche di organizzare attività espositive e didattiche.
Da queste due direttrici nasce un investimento da circa 30 milioni di euro, in buonissima parte di fondi europei. È la bellezza di questa operazione: pensare che i cittadini italiani, francesi, portoghesi, tedeschi ecc.… hanno contribuito alla più importante operazione di rigenerazione urbana della nostra città e del nostro distretto.
3. Questa operazione sta portando i risultati sperati in termini di visite e iniziative culturali aperte alla cittadinanza?
Rispondo molto succintamente: decisamente, sì. Non solo anche l’ultima mostra del MDT – quella dedicata a Walter Albini – ha una rassegna stampa alta come una sette incunaboli del Cinquecento ma – soprattutto – il MDT non è mai stato, né mai sarà, una questione di politica politicante. Tutti lo apprezzano, tutti lo difendono, moltissimi lo frequentano. Grande merito alla doppia relazione che è stata creata nel corso del tempo, non solo con i cittadini – che sono e rimangono comunque il primo e necessario e indispensabile destinatario delle attività – ma anche con le imprese.
Sul sito della Biblioteca Lazzerini è disponibile il report annuale con tutti gli indicatori utili a valutare il successo di un progetto che è oggi architrave del welfare culturale cittadino.
4. Altro esempio di integrazione urbana di un complesso di edifici industriali è il Lanificio Lucchesi le cui mura trecentesche e un ingresso a lungo celato alla vista pubblica sono stati ristrutturati e resi visibili all’interno del contesto urbanistico. Possiamo dire che la collaborazione fra imprenditoria e Comune (essendo parte del complesso ancora ad uso industriale) abbia dato e possa ancora fornire esiti positivi?
Dunque, si tratta di un esempio che guarda parzialmente altrove perché l’opificio di cui parla è ancora oggi – in grandissima parte – di proprietà privata. Una parte in condizioni quasi critiche, ed esagero per esser meglio compreso, una parte perfettamente funzionante ancora oggi dedicata a produzione, showroom e – straordinaria – collezione archivistica e museale a cura degli eredi di Marco Lucchesi.
Quanto alla collaborazione tra enti locali e soggetti privati, imprenditori ma non soltanto imprenditori, è fondamentale per dare il senso di un intervento pensato con la Città ma anche per instradare percorsi di sostenibilità economica che non poggino esclusivamente sulla cosa pubblica.
5. Appena fuori dalle mura cittadine sorge il Teatro Fabbricone, situato all’interno del Lanificio Balli che donò il teatro alla città di Prato per farne dal 1974 un centro di rappresentazione e sperimentazione teatrale. Quali sono le attività che nel tempo hanno avuto maggior risonanza sul territorio?
Il Fabbricone è – esattamente – la rigenerazione urbana prima della rigenerazione urbana. Il Complesso industriale più grande dell’Otto e Novecento pratese (fino a 2mila addetti, dopo la sua edificazione attorno al 1880) si allarga nel corso della sua storia. Una vera e propria cittadella del tessile intimamente connessa, e anzi confinante, con la vera ricchezza del distretto tessile pratese: l’acqua (dentro al Fabbricone scorre ancora oggi il c.d. Gorone, ovvero la gora industriale più importante della città, derivazione del fiume Bisenzio). Fuori dalla cerchia muraria del Fabbricone, nel Primo e Secondo Dopoguerra, nascono altri grandi fabbricati a servizio dello Stabilimento Tessile più importante della città. In uno di questi, uno dei più importanti registi teatrali europei del Novecento, Luca Ronconi, nel 1974 porta in scena l’Orestea. Sulla locandina, che ancora campeggia nella stanza del Direttore della Fondazione Teatro Metastasio, si legge: stabilimento tessile Fabbricone. Non è il momento per ricordare la rivoluzione ronconiana tramite il Laboratorio di Progettazione Teatrale che la Cooperativa il Tuscolano portò a Prato a metà anni ‘70 per volere del Comune e di amministratori e amministratrici illuminate come Eliana Monarca e Lohengrin Landini, basti dire che dal 1974 il Teatro non ha mai lasciato il Fabbricone e che oggi ci sono due sale teatrali, oltre sala prove teatro ragazzi, magazzino e falegnameria: il Teatro Fabbricone, il Teatro Fabbrichino e quella meraviglia di giardino che sia chiama Ex Fabrica che d’estate si anima di musica, cinema e teatro per ragazzi. È il momento però per dire che quest’area sarà interessata dalla più importante operazione urbanistica e culturale dei prossimi anni. I due teatri, per i quali i soldi pubblici pagano un affitto da 50 anni, saranno espropriati. Assieme ai teatri, una vasta area destinata a verde pubblico e cucitura urbana con Piazza del Mercato Nuovo – piazza sulla quale insistono sia il tempio buddista sia la moschea più grande della Città.
Tutto questo sarà reso possibile dalla programmazione POR-FESR 2021/2027 (ancora fondi europei!!) tramite la quale sono stati allocati in bilancio 8 dei 10 milioni di euro necessari alla progettazione e alla realizzazione.
Il caso strano, emblematico, è che qui non è la funzione esistente, quella teatrale, ad aver determinato questo nuovo passo verso una rigenerazione urbana sempre più consapevole (fatto un percorso partecipativo durato mesi), sensata e collocata nella storia e nel presente di Prato.