I giganti solitari
Intervista a Tiziano Fratus
di Monica Pierulivo
Nel suo cercare fisico, poetico, filosofico e spirituale, ha elaborato un lavoro interiore di riavvicinamento e riscoperta del mondo naturale. Il bosco infatti rappresenta un mondo.
Non ho esattamente questo approccio, nel senso che mi considero semplicemente un artigiano, come mio padre che era un falegname. Ho iniziato intorno ai 20 anni a nutrire una curiosità nei confronti della scrittura e ho provato semplicemente a dedicarmi a questo. Nel corso del tempo mi sono poi avvicinato ai boschi, alla natura e agli alberi; le mie dinamiche personali mi hanno spinto in quella direzione e ho trovato una sorgente d’interesse e di nutrimento andando a cercare gli alberi, a frequentare i luoghi cosiddetti naturali, anche se il termine “naturale” può risultare ambiguo. Il mio interesse primario rimane la scrittura, passo la maggior parte del mio tempo a scrivere, sono usciti infatti tanti libri, forse troppi, ma questo è il mio percorso. La parola filosofo mi sembra impegnativa, fatico a riconoscermici.
Da dove nasce questo suo interesse?
Fin da bambino sono stato curioso, perché mio padre aveva la falegnameria quindi il legno era presente nella nostra famiglia. Poi, come tanti figli di agricoltori e piccoli artigiani della Lombardia, i miei genitori hanno cercato di farmi studiare per guadagnare felle opportunità dal punto di vista lavorativo, le solite cose che hanno riguardato molti di noi. Io ho scelto la scrittura, per me più allettante rispetto ad altri mestieri, e ho cominciato a scrivere poesie e storie. Il periodo tra i 25 e i 30 anni, l’età in cui si deve decidere cosa fare della propria vita, è coinciso col momento in cui il rapporto con mio padre e la mia famiglia si è andato consumando definitivamente. Allora è come se gli alberi mi avessero un po’ chiamato.
I grandi alberi monumentali esibiscono un passato secolare, quasi eterno e al contempo passibile di scomparire in fretta per le ingiurie del tempo e degli uomini. Il termine monumento è un omaggio quasi a uno stato superiore di vita, come se si trattasse di alberi eroici, belli e capaci di sfidare il tempo?
Gli alberi fanno la loro vita per fortuna al di là della grammatica e delle parole che usiamo noi. Nella natura non esiste l’eroismo, che esiste invece nella vita umana. La natura segue la chimica, la fisica, questi misteriosi percorsi e quando alcuni di questi alberi riescono a trovarsi in condizioni particolarmente fortunate, riescono a superare i millenni; alcuni possono superare i 3000/4000 anni, altri, rarissimi, i 5000 anni di età. Rappresentano quindi una vita longeva che per noi è anche difficile da capire perché quando ci troviamo di fronte a un olivo di 3000 anni, che cos’è il tempo per noi e che cos’è il tempo per lui/lei? Sono due dimensioni talmente diverse e due percezioni talmente distanti, che per quanto possiamo cercare di interpretarlo e descriverlo, alla fine forse possiamo solo ammirarlo e tentare di intuirlo.
Perché sono così importanti gli alberi millenari?
Sono importanti per noi perché siamo di fronte a creature eccezionali dal punto di vista naturalistico. C’è poi l’aspetto estetico che comunque non è di secondaria importanza, con tutti i segni che si portano addosso, il gigantismo, le caverne, la dimensione archetipica che incarnano vivendo il tempo nelle loro forme. C’è inoltre un rapporto più scientifico, se vogliamo più retorico. Gli alberi molto vecchi rappresentano prima di tutto un valore, sono la memoria, la storia di quel pezzo di mondo dove si trovano, per cui un albero che ha alcune migliaia di anni, rispetto a tutti gli altri esseri viventi intorno, ha vissuto i cambiamenti del clima, tutti gli episodi che si sono avvicendati in quello spazio, è una sorta di archivio vivente di quello che è capitato nel tempo. La loro presenza è importante per le altre piante perché sappiamo che tra di loro comunicano; gli alberi più vecchi sono “sentinelle” che possono informare gli altri alberi su quello che potrebbe accadere, basandosi sulla loro lunga memoria. Proprio per questo si parla spesso di alberi intelligenti, ma più che intelligenti sono alberi che hanno una capacità di adattamento e di previsione di quelli che possono essere i cambiamenti della vita in quel luogo. Oltre a questo, gli alberi sono anche belli, fascinosi, andare a cercare una bella quercia monumentale in un paesaggio è sempre un’esperienza straordinaria.
Mi può citare qualche esempio di albero millenario dal quale è particolarmente affascinato?
In Toscana ce ne sono diversi. Me ne viene in mente uno, la quercia della Strega o anche di Collodi, tra Pescia e Capannori, ha 500/600 anni. Una delle più belle querce, una delle più grandi. In Italia abbiamo tante querce di grande impatto. Poi potrei citare il castagno dei Cento Cavalli sull’Etna, l’olivastro di Luras in Sardegna, il larice millenario in alta Valmalenco in Lombardia, sopra Sondrio, i ficus di Palermo che sono i più grandi alberi esotici d’Europa. Ci sono alberi cittadini, alberi sulle montagne, alberi di campagna e altri che vivono più vicino a noi.
Ha visto cambiare l’atteggiamento degli umani rispetto agli alberi negli anni?
Sì sicuramente c’è più rispetto, credo nasca semplicemente da una maggiore consapevolezza. Fino a pochi decenni fa della presenza di un albero cosiddetto monumentale non si parlava e non c’era una legislazione per la loro tutela. Adesso il Ministero dell’Ambiente si occupa di tutelare gli alberi millenari a livello nazionale. Attualmente ci sono oltre 4000 alberi protetti conosciuti, ma 40 o 50 anni fa non c’era nulla, gli alberi monumentali erano sconosciuti, a parte l’attenzione di alcuni appassionati e i primi progetti legati alla loro valorizzazione e tutela che risalgono ai primissimi anni ’70. Oggi esiste un’ampia pubblicistica su questi temi, molti bei libri anche fotografici, che contengono indicazioni precise per andarli a vedere. Prima le indicazioni erano ipotetiche e a volte era necessario fare quattro o cinque ore di camminata per trovare un albero millenario, a me spesso capitava di mancarli completamente. Oggi è tutto georeferenziato ed è più facile visitarli, grazie al grosso lavoro di valorizzazione, studio, documentazione e alla maggiore sensibilizzazione delle tante persone che hanno un rapporto speciale con gli alberi.
Cosa possono insegnarci gli alberi anche in tema di educazione ambientale dei giovani?
Per alcuni versi sono un po’ scettico sulla possibilità di creare un interesse reale nei ragazzi, tendiamo un po’ tutti a approcciarci in modo retorico. Credo che a 15 anni sia difficile appassionarsi a questi temi, la natura, i boschi, gli alberi, quell’età interessa tutt’altro. Nonostante questo, l’insegnante che riesce a far amare qualcosa è prezioso, può segnare la differenza, però non possiamo pensare che portando le scolaresche a vedere gli alberi si possa creare automaticamente una sensibilità nuova, si dice, ce lo si augura ma secondo me resta aleatorio. I ragazzi devono semplicemente studiare e capire e, con il tempo, maturare eventualmente delle consapevolezze.
Nell’arco della vita la natura sicuramente riserva momenti nei quali gli alberi possono diventare delle “guide”; la loro pazienza, la loro capacità di rimanere presenti e vivi così tanto a lungo sicuramente rappresenta per noi qualcosa di misterioso, di fascinoso e di rassicurante. Inoltre gli alberi hanno un comportamento molto diverso dal nostro, tendono a darsi una mano, non sempre ma spesso è così, il bosco è un luogo non solo di pace, di tranquillità, di isolamento, ma può essere capace di aiutarci a stare meglio, in certe condizioni può essere importante per ritrovare noi stessi, lontano dalle molte sollecitazioni che la vita ci offre, o ci riversa addosso.
Semplicemente vivendo, gli alberi sono testimonianza di un altro mondo, di cui noi abbiamo bisogno quando siamo ingarbugliati in noi stessi, per comprendere meglio e ritrovare un equilibrio.
Infatti nel suo ultimo libro, “Il Sutra degli alberi”, propone una raccolta di riflessioni, lettere e poesie in cui si intreccia la ricerca di una spiritualità con la dimensione del bosco. C’è il rapporto tra gli alberi e i suoni e c’è il silenzio. Ma cosa è veramente il silenzio?
Il silenzio è una bella “parolina”, un bel concetto. Giovanni Pozzi, uomo di religione che aveva dedicato una parte del suo tempo a queste cose, nel suo libro “Tacet”, scritto poco prima di morire, ricordava che il silenzio è una bellissima condizione però per fortuna non è mai raggiungibile. Se cerchiamo veramente il silenzio dentro di noi troviamo un motivo per imbatterci in altro. Il silenzio è una condizione bella ma che non potremo mai conquistare definitivamente poiché dentro di noi e attorno a noi ci sono tante cose, c’è la vita. È una sorta di infinito a cui tendere, un polo magnetico che ci attira ma che non si può mai veramente guadagnare. Però cercare di raggiungerlo ci aiuta a ritrovare una centralità, la sua ricerca può portarci molti e concreti benefici.
Ma dopo tutto questo, lei vorrebbe essere un albero?
No, amo molto le cose umane.