Il futuro sulle spalle

Cultura profetica per i mondi a venire

 Intervista a Federico Campagna

a cura di Monica Pierulivo

Come affrontare la sfida di lasciare un messaggio culturale utile a coloro che verranno dopo la fine del nostro futuro? Come possiamo contribuire alla creazione di nuovi mondi dalle rovine del nostro?
Il nuovo saggio di Federico Campagna, (
Cultura profetica. Messaggi per i mondi a venire, traduzione Francesco Strocchi. Postfazione Franco Bifo Berardi Edizioni Tlon, Planetari Big, Roma 2023), filosofo italiano residente a Londra, si interroga su tutto questo invitando ad allargare lo sguardo e il pensiero su possibili riscritture di quello che chiamiamo mondo.

1.     “Cultura profetica” è un saggio che cerca di ripensare il presente alla luce di chi verrà dopo di noi, partendo dal presupposto che la realtà non sia data, come un elemento naturale e oggettivo condiviso, ma che ognuno viva mondi diversi, secondo diverse coordinate culturali. Per fare questo, nel libro si parte dal concetto di worlding, cioè la capacità umana di “fare mondo”. Possiamo approfondire questo concetto?

Tutto quello che noi sappiamo della realtà esteriore avviene nel teatro interiore delle sensazioni e delle idee, del pensiero, della cognizione. Questo significa che, da un lato, non abbiamo una conoscenza oggettiva della realtà, non al di fuori della nostra griglia di percezione, la conosciamo soltanto all’interno. Qui è importante capire quale sia il livello di accuratezza nella percezione della realtà da parte di ognuno di noi, quanto della realtà esterna riusciamo a cogliere. Una safe bet, cioè una scommessa sicura, è dire che sarebbe molto improbabile che la realtà di per sé stessa sia emersa o sia stata creata per coincidere esattamente con i limiti specifici non solo della razza umana, ma della razza umana in quello specifico momento storico, con determinate caratteristiche biologiche di quel preciso momento storico ecc.
Quindi la realtà per sé stessa è diversa da come la percepiamo e questo porta a delle conseguenze importanti. Significa che quando noi ci guardiamo attorno e vediamo le cose, in realtà non le stiamo tanto vedendo, le stiamo costruendo mentalmente, immaginando sulla base dei nostri limiti biologici, che sono diversi per ognuno e nei diversi momenti in cui ci troviamo. Tutto questo ha a che fare anche con delle scelte necessarie. Quando ci guardiamo attorno e veniamo in contatto con queste informazioni, selezioniamo le informazioni e cataloghiamo. Alcune sono reali, altre no, alcune sono emozioni, altre hanno a che fare con un particolare oggetto.
Questa costruzione del mondo intorno a noi è il worlding e ognuno lo fa in maniera diversa, si tratta di un processo creativo, l’atto creativo per eccellenza che si basa anche sul tipo di educazione culturale che abbiamo ricevuto e che possediamo.
Il fatto che ci siano animali, piante, umani non è un elemento della realtà, è un elemento culturale, un modo di strutturare le sensazioni interne, dare una certa forma al nostro spettacolo interiore. Queste definizioni ontologiche hanno carattere culturale; nel corso della storia diverse persone in diverse società hanno creato il mondo in maniera completamente diversa, hanno vissuto realtà materiali diverse, non soltanto culturali. Anche gli oggetti apparentemente più solidi e più sicuri sono ontologicamente vulnerabili, esposti alla possibilità di venire sradicati dalle diverse narrazioni metafisiche del mondo. Ci sono mondi con un Dio e mondi senza Dio, mondi senza animali per esempio, oppure senza umani.
Il worlding si lega quindi al modo in cui ognuno di noi costruisce la realtà ed è un processo che si ripete in ogni istante.

2.     Da qui parte il ragionamento legato ai crolli di civiltà, i cosiddetti “Medioevi”, facendo esempi importanti nella storia dei millenni passati, come quello del Medioevo ellenico, quello seguito alla caduta dell’Impero romano d’Occidente ecc. Nella storia si assiste a questo processo di narrazioni, caratterizzate da commistioni tra presente e passato. È abbastanza normale che un mondo familiare tramonti e poi che inizi a sorgere qualcosa di nuovo. Come riesce a sopravvivere un mondo alla fine del suo corso storico? È  come se ci fossero tanti corsi storici?
 
Quando intendo Medioevo non intendo quello che comunemente viene chiamato Medioevo, ma intendo un momento in cui una certa civiltà finisce come narrazione storica, spesso questo può coincidere con catastrofi economiche e politiche; c’è un periodo dopo in cui ci troviamo in assenza di una narrazione egemonica dominante della realtà, che può anche rappresentare una grande occasione per creare qualcosa di nuovo, con elementi di grande difficoltà.
Ad esempio la fine della civiltà degli Aztechi e la colonizzazione spagnola provocarono per quelle popolazioni un periodo di Medioevo che venne mantenuto artificialmente a lungo. Il colonialismo in genere impone dei Medioevi, momenti in cui la realtà condivisa non è più data e per tante persone questa situazione viene tenuta in vita artificialmente, perché vengono trattate in condizioni d’inferiorità, impossibili da accettare.
In altre circostanze, per quanto difficile, può anche essere invece un’occasione per ricostruire un mondo nuovo.
Che cosa resta dei mondi che muoiono, quando finiscono? Ovviamente gli eventi storici non avvengono quasi mai da un giorno all’altro. Succedono nel lungo periodo, si sovrappongono l’uno all’altro. È un po’ come il paradosso del mucchio di cui parlava Zenone: una pietra non è un mucchio, due pietre non sono un mucchio, cinque pietre neppure ma cinquecento sì. Qual è il punto in cui si può parlare allora di un mucchio di pietre?
Allo stesso modo le epoche finiscono in un momento imprecisato. Quando finiscono rimane qualcosa della precedente, quello che rimane effettivamente e naturalmente sono gli escrementi, il cadavere del mondo che veniva prima. Poi nel modo in cui si rapportano, in cui si relazionano con le persone che vengono dopo, alcune di queste cose possono diventare delle rovine, degli elementi che aiutano a nascere mondi che cercano di nascere. Con un certo tipo di lascito culturale si può pensare di lasciare dietro di sé una catastrofe ambientale oppure delle rovine, cioè qualcosa che possa aiutare a creare una realtà completamente diversa dalla propria. Non si può essere sicuri ma questo è probabile.

3.     In Cultura profetica il mondo di oggi viene definito come modernità occidentalizzata, una cultura legata molto all’economia capitalistica, della quale stiamo osservando una profonda crisi. Se lo scopo del libro è quello di indirizzare un messaggio a chi verrà dopo di noi, quale sarà il lascito culturale da comunicare e in che modo potremo farlo?

Per quanto riguarda l’epoca contemporanea il capitalismo è sicuramente uno degli elementi caratterizzanti ma non è l’unico aspetto per definirla. C’è stato un momento in cui la nostra realtà è stata indicata ad esempio come epoca nucleare, in cui ci si poteva auto annientare quasi istantaneamente, oppure, guardandola dal punto di vista ambientale, come il tardo Antropocene, oppure come un’epoca con un rapporto particolare con la tecnica e la tecnologia o anche come un‘epoca di nuovi autoritarismi. C’è quindi anche il capitalismo ma non solo, ed è importante caratterizzare in maniera un po’ più ampia perché ci sono dei casi, come ad esempio quello della Cina, in cui è più complicato definire in maniera ortodossa se si tratta di un paese capitalista vero e proprio, anche se condivide effettivamente molto con altri paesi capitalisti.
Rispetto alla propria epoca, un modo che in generale può funzionare nel pensare la propria eredità culturale è di non identificarsi troppo con il proprio tempo, di non essere contemporanei. Tutte le epoche sono contemporanee a sé stesse. Abbiamo la caratteristica di essere totalmente inclusi all’interno del nostro presente, e facciamo fatica a concepire che ci saranno altri mondi dopo di noi, che non necessariamente saranno l’apocalisse rappresentata nei film americani con gli Zombie.
Ci saranno altri mondi che potranno essere completamenti diversi dal nostro; questo non vorrà dire la fine dell’Universo, vorrà dire la fine del nostro mondo che potrà non essere necessariamente umano. Quindi distaccarsi dalla contemporaneità è fondamentale; questo porta a considerarsi come il passato, che è un altro esercizio interessante.
Il tempo naturalmente è una nostra convenzione, è un modo di misurare; in merito a questa convenzione noi abbiamo stabilito delle definizioni cronologiche: passato, presente e futuro, definizioni che si muovono nel tempo. Ogni momento è del futuro, del presente, appartiene al passato, ma a seconda di dove li guardi. Dal punto di vista di un’epoca precedente oggi è ancora il futuro, dal punto di vista dell’epoca che verrà oggi è già il passato. Non sono definizioni oggettive. 
L’identificarsi come il passato può essere tipico ad esempio dell’esperienza genitoriale. Avendo una persona più giovane dopo di te, ti accorgi che stai vivendo non solo il futuro, non solo il presente, ma quell’istante è il passato di tuo figlio e se lo ricorderà come tu ti ricordi del tuo passato, in quel momento stai agendo dentro il passato. Questo cambia la prospettiva, e porta a valutare la qualità di quello che stiamo facendo in maniera completamente diversa, la posta in gioco è diversa, così come la qualità, le azioni del passato riecheggiano con un’altra modalità, un altro modo di restare, di contribuire a una vita. Questi sono gli esercizi di base per cominciare a pensare come comunicare con altre epoche. Questo porta anche a dei cambiamenti culturali importanti.
Un altro aspetto importante è che quando si cerca un mondo nuovo, non si cerca la verità, si cerca l’utile che è molto diverso. Per lasciare un’eredità culturale che sia veramente di aiuto, vale la pena anche di “mentire”, non dire la verità su quello che siamo stati noi veramente, se questo è inutile. Ancora una volta questo si può ritrovare nella pratica genitoriale. Un genitore ha cura di presentarsi nel miglior modo possibile ai propri figli, non per malignità ma a fin di bene. A cosa serve la totale verità su sé stessi? La prima cosa che serve in realtà è un supporto nei confronti di chi cresce.
 
4.     Facendo riferimento ad alcuni momenti storici fondamentali, nel saggio si parla del 1648, Pace di Vestfalia e fine della guerra dei Trent’Anni, come il momento di nascita delle moderne relazioni internazionali in cui si sancisce il concetto di sovranità, con la piena autonomia di ogni Stato sul proprio territorio. Che significato ha la nascita di questo concetto?
 

Il principio di sovranità lo considero soprattutto dal punto di vista metafisico, nel senso di ogni cosa chiusa in sé stessa e ben organizzata in una griglia che non lascia interstizi tra le cose. Se si lasciano degli interstizi questi vengono considerati come il nulla, dietro il linguaggio con il quale cataloghiamo le cose c’è il nulla. Il silenzio è il nulla. Questo è molto specifico di una certa epoca. Per esempio nel Medioevo, in quella che io chiamo epoca teocratica, nel silenzio non c’era il nulla, c’era Dio, così come per i popoli dell’Amazzonia dietro il mondo non c’è il nulla.
Il fatto che dietro le distinzioni linguistiche ci sia il nulla è molto specifico e porta a tutta una serie di problemi che conosciamo bene. Se per esempio il mondo è composto da tante entità linguistiche ben definite, ad esempio gli Stati, chi si trova a cadere in mezzo agli interstizi tra gli Stati, chi non appartiene più a uno Stato, o non è più riconosciuto, o perde la cittadinanza, finisce fagocitato dal nulla.
È esattamente così che trattiamo generalmente grandi quantità di persone che si spostano da un luogo all’altro del globo. Il tentativo che io faccio, non scrivo di politica ma di filosofia, in particolare di filosofia della cultura con un taglio particolare, è quello di considerare come una serie di elementi che fanno parte della nostra vita politica si basino non sulla cattiveria degli uomini ma su certe idee, su certe visioni di come è strutturata la realtà, che portano come conseguenza quasi necessaria un certo tipo di comportamento.
Quando si dice “There is no alternative”, non è per cattiva fede, è lo sviluppo di una certa idea della realtà. Per modificare quindi quella struttura bisogna intervenire a un livello molto più basso, al livello della costruzione della realtà.

5.     È quindi fondamentale mutare il nostro ruolo, ma anche la nostra prospettiva sul mondo. Nel libro si parla della necessità di uscire dal ruolo di conservatori ostinati del mondo presente. La tradizione stessa ha a che fare più con il movimento che con l’archiviazione di pratiche passate. Qual è il significato della tradizione?

Il mio libro è totalmente tradizionalista, ma in senso opposto rispetto a quello che intendiamo normalmente, nel senso che vedo positivamente la trasmissione di utili e buone cose tra le generazioni, cioè un dialogo intertemporale. La tradizione è infatti consegnare, tramettere delle cose. Come funziona ? Tu mi dai uno strumento e io lo uso, decido io come viene utilizzato, non lo decidi tu. La  volontà di chi utilizza la tradizione è fondamentale, e può reinventare completamente ciò che viene trasmesso. Quindi nella volontà di chi consegna, non ci deve essere il tentativo di incastrare in anticipo, ma anzi di liberare lo strumento dando la possibilità di utilizzarlo nella maggiore varietà di modi possibili, senza prevedere il modo in cui sarà utilizzato. Naturalmente abbiamo dei giudizi di valore, però alla base della tradizione c'è un enorme rapporto di libertà, come nell’insegnamento.  Nell’insegnamento c’è un grande rapporto di libertà tra io che ti dico una cosa cercando di invogliarti in una certa direzione, e tu che hai la voglia di prenderla e che puoi reinventarla totalmente. Questo non è automatico. Spesso abbiamo la tendenza a consegnare strumenti in maniera già chiusa a priori e quindi in qualche modo a non offrire una foresta ma un giardino di cemento dove non cresce niente. Questa non è tradizione. Del resto anche guardare al passato e cercare di mantenere la realtà in maniera morta, tra l’altro cosa impossibile, vanifica lo sforzo di chi è venuto prima di noi e ci ha consegnato qualcosa di utile, rendendo inutile, se non dannoso, questo passaggio. Questo è il rischio di un certo tradizionalismo.

6.     Nel capitolo secondo, intitolato “Altrimondi”, si dedica un paragrafo al “teatrafarmaco”, un farmaco composto di 4 elementi, preso a prestito dalla tradizione epicurea, che identificava in 4 principi la miglior cura possibile per far fronte all’ansia e alla paura di trovarsi a vivere in un mondo in costante divenire. È composto di quattro figute essenziali: il metafisico, lo sciamano, il mistico e il profeta. In cosa si differenzia il profeta dalle altre tre?

Stavo provando a immaginare quale tipo di messaggio possa funzionare per passare da un mondo all’altro, per immaginare un mondo da capo. Un’operazione che è sempre qualcosa di unico ma ha delle difficoltà che tendono a ripetersi.
Il mio libro precedente, “Magia e tecnica”, è un libro di metafisica con il quale ho cercato di parlare per figure, un po’ come si fa con i tarocchi, perché sono convinto che sia uno stile  efficace per trasmettere dei concetti. Ho quindi assegnato delle figure a diversi modi di vedere la realtà. Diversi modi, tre in particolare, che io propongo di unire e di tenere insieme, per quanto non possano teoricamente funzionare insieme: lo sciamano, il mistico e il metafisico. Quest’ultimo rappresenta chi ha un rapporto di ordine rispetto alla realtà, sistema le cose secondo il principio della sovranità che in questo caso non è totalmente da accantonare, anche se provoca delle conseguenze. Queste conseguenze negative vengono in qualche modo rilanciate dallo sciamano che ha una visione molto più fluida di come si costruisce la realtà, e a loro volta vengono rilanciate dal mistico che invece ha una visione in negativo, che non dà luogo a nessun mondo, sospendendo a priori la battaglia mondana per imporre un ordine al disordine, si dimentica del mondo e quindi anche dell’imperativo di aiutare la creazione di nuovi mondi. Poi però c’è un altro elemento importante, che è lo stile. Lo stile deve avere delle caratteristiche un po’ peculiari, io l’ho incarnato nella figura del profeta, un modo particolare di parlare alle persone, secondo il quale si balbetta, nel quale non si fa un discorso chiuso, ma si fa un discorso di senso compiuto lasciando sempre delle interruzioni e degli spazi, in qualche modo dei silenzi. Questo aiuta la proiezione dell’altro ma fa anche intendere che parte del discorso è il silenzio. Il profeta intende il discorso riunendo insieme cose che non potrebbero stare insieme, in cui ogni figura si lega a un’altra in maniera tale da mettere in questione la differenza e il taglio tra l’una e l’altra, con una certa fluidità, riconducendosi allo sciamano, in cui i concetti si concatenano fluendo uno dietro l’altro. Definisco questo stile come il grottesco.
Un altro elemento è il fatto che il profeta parla come se non stesse parlando lui o lei ma come se “venisse parlato”, non tanto perché quello che dice è la verità ma semplicemente perché è un punto in cui si ascolta. Si ascolta in maniera particolare, si fraintendono le cose, in modo tale da poter ricavare da questo fraintendimento delle parole,un intendimento di ciò che è ineffabile. Questa è la condizione particolare del profeta. Invita a un rapporto con il pubblico particolare, non prevede la partecipazione del pubblico ma l’estinzione del pubblico. Si estinguono sia l’artista sia il pubblico.
Il processo culturale dunque è un processo di esperienza che avviene all’interno della persona, non all’esterno e in questo ha degli elementi simili alla cultura psichedelica. L’oggetto è semplicemente funzionale a una cosa che avviene all’interno. È difficile dire se una persona che ha un’esperienza psichedelica o mistica, sia spettatore. In qualche modo è sia teatro che spettatore. Ha un modo particolare di lavorare con la memoria, che è un altro aspetto di rilievo, e di intendersi come figura culturale in quanto terapeuta, ovvero compagno. Il compagno ha una valenza di solidarietà, di chi aiuta, ma anche nel senso novecentesco del termine di chi ti accompagna verso una speranza di un mondo migliore. E qui c'è un richiamo alla grande speranza che animava i grandi movimenti socialisti dell’800 e del ‘900, questa speranza di poter fare meglio. Un  compagno quindi anche in questo senso.

6.     Qual è l’idea di futuro che emerge dalla cultura profetica? Il nostro futuro non sarà uguale a quello che ci immaginiamo, sarà un’altra storia, non sarà una linea retta infinita che va avanti in una certa direzione.
 
È un po’ come in un film, in una storia, se il film finisce bene o finisce male dipende quando lo interrompi. Il futuro si muove in maniera sinusoidale ovviamente, quindi si può pensare che ci porti va un certo punto verso magnifiche sorti e progressive e  contemporaneamente a un altro punto, ci porterà verso la catastrofe. Quindi il messaggio è che il futuro è una definizione totalmente di prospettiva, così anche il presente e il passato.
Da un certo punto di vista quello che invito a fare è di astrarsi dal futuro e di cercare invece rispetto a ciò che verrà e ciò che è stato, un senso di continuità.
l fatto di ritrovarsi tutti quanti, nel passato, nel presente e nel futuro, a dover affrontare una situazione che di per sé è sfidante, trovarsi a nascere senza ricordarsi da dove, in una situazione assurda in cui si è in un corpo mortale che invecchia, soffre e muore senza sapere cosa succederà dopo, senza sapere il perché si è in vita, è una situazione violentissima, e nascere è effettivamente la caduta nel tempo.
Tutti quanti condividiamo questa difficoltà e dobbiamo creare dei mondi che allevino il dolore e ci consentano di aiutarci a vicenda, perché siamo veramente nella stessa barca.
Questo si può fare se ci si astrae dalle definizioni temporali, se si sente una solidarietà di fondo e si prova a sentire questa vicinanza extra temporale, perché ogni vita e ogni cosa che esiste, il suo esserci, è fuori dal tempo. C’è una solidarietà ontologica di base tra tutte le cose che esistono e i quanto tali esistono eternamente, quindi quello che dico è di non preoccuparsi troppo del futuro ma preoccuparsi immediatamente, nell’istante simultaneo dell’eternità in tutte le cose che esistono, di aiutarsi come se fossimo una sola esistenza.