La grande sfida

Clima, ambiente, energia: l’urgenza di cambiare 

Intervista a Roberto Buizza

(a cura di Monica Pierulivo)

 
1.     Il cambiamento climatico ormai è una realtà, non si può più negare e anche gli avvenimenti di questi ultimi giorni, piogge intense e territori devastati dagli allagamenti, ne sono una dimostrazione incontrovertibile. Il fenomeno è sempre più evidente nel Mediterraneo e in Europa in generale dove sembra che sia più visibile rispetto ad altre regioni del mondo. Qual è la situazione reale?

Non solo il cambiamento climatico è una realtà, ma noi, specie umana, continuando ad emettere gas serra a causa del continuo utilizzo di combustibili fossili (carbone, olio combustibile, metano) stiamo causando un’accelerazione del riscaldamento. Negli ultimi 100 anni abbiamo assistito ad una variazione del clima molto veloce, ad un riscaldamento medio globale di 1.5oC in circa 100 anni, mentre nel passato variazioni naturali di questa ampiezza avvenivano su migliaia e/o decine di migliaia di anni. Sottolineo inoltre che negli ultimi anni abbiamo assistito ad un’accelerazione del riscaldamento: mentre tra il 1980 ed il 2000 la temperatura media globale è salita di circa 0,11oC ogni 10 anni, tra il 2010 ed il 2022 è cresciuta di 0,25oC ogni 10 anni: quindi più del doppio.
Mai prima di quest’ultimo secolo l’uomo era stato in grado di modificare il clima della Terra. E mai come oggi siamo certi che il continuo utilizzo dei combustibili fossili sia la causa principale del cambiamento degli ultimi 150 anni, e che il loro uso continuo causerà cambiamenti ancora più drammatici. Le variazioni naturali del sistema Terra possono al massimo spiegare il 15-20% delle variazioni del clima: il resto è tutto ad opera dell’uomo.
Parlando di variazioni regionali del clima, il primo punto da sottolineare è che anche se il riscaldamento è globale e diffuso, certe aree del globo si scaldano di più di altre: l’area mediterranea è una di queste aree, assieme ai Poli. In quest’area il riscaldamento dall’era pre-industriale è di circa 3,5 gradi, quindi più intenso di un fattore di circa 2,5 del riscaldamento medio globale. Il motivo è la configurazione geografica della nostra regione, con un mare che ha uno scambio limitato di acqua e di calore con l’oceano Atlantico, e che quindi in generale è più caldo che l’Atlantico. Un mare circondato da terre emerse che nei periodi estivi si scaldano sempre di più anche perché la vegetazione è sempre più sotto stress (sia a causa del riscaldamento che della riduzione delle piogge), e quindi contribuisce sempre meno a limitare il riscaldamento superficiale.

2.      Questi eventi estremi da cosa sono causati?

Gli eventi estremi sono quelli che causano danni e morti, ed un clima più caldo è caratterizzato da un aumento dell’intensità e della frequenza di eventi estremi di temperatura, siccità o alluvioni.
Iniziamo a parlare di alluvioni, quali quelle che continuano a colpire il territorio italiano. L’aumento della frequenza e dell’intensità degli eventi estremi è legato principalmente a due fenomeni, causati dal riscaldamento globale.
Prima di tutto, il fatto che un’atmosfera più calda è in grado di generare fenomeni sempre più intensi, trasformando l’energia potenziale che ha immagazzinato (sotto forma di calore) in energia cinetica (vento, moti verticali che causano fenomeni temporaleschi sempre più intensi).
In secondo luogo, il fatto che un’atmosfera più calda può accumulare e trasportare una quantità maggiore di vapor d’acqua. Vapor d’acqua che, se condensato all’interno delle nubi, può dar luogo a precipitazioni più intense. Infatti, studi scientifici riportano che si osservano precipitazioni sempre più intense ma concentrate in un numero minore di eventi. Il fatto che l’atmosfera sia più calda, e più energetica, contribuisce a questo tipo di fenomeni.
Parliamo quindi di ondate di calore e di siccità. Questi eventi sono legati più direttamente al riscaldamento del mare e delle terre ferme, che come detto prima è circa 2,5 volte più intenso per la regione mediterranea che a livello globale.
Se guardiamo al futuro, le previsioni dicono che, se non si riducono le emissioni di gas serra da subito e molto velocemente, nella nostra regione osserveremo ondate di calore sempre più frequenti ed intense, ed in generale una riduzione delle piogge che avrà un impatto negativo sostanziale sull’accesso all’acqua, ed in particolare, sull’agricoltura. Allo stesso tempo, quando pioverà avremo più frequentemente eventi sempre più intensi.

3.     Che cosa si sta facendo realmente per ridurre le emissioni di gas serra?

L’unico modo per contenere il riscaldamento futuro, e quindi gli impatti negativi su popoli ed ecosistemi, è di ridurre da subito e sostanzialmente le emissioni di gas serra. L’Unione Europea sta giustamente spingendo affinché si raggiunga una riduzione delle emissioni del 55% rispetto ai valori del 1990 entro il 2030, e quindi si raggiunga l’obiettivo di zero-emissioni nette entro il 2050. Considerando il primo obiettivo al 2030, alcuni Paesi, quali ad esempio la Germania o la Gran Bretagna, è estremamente probabile che lo raggiungeranno.
L’Italia è invece, purtroppo, lontana dal raggiungere questo obiettivo: per ottenerlo dovrebbe ridurre le emissioni di almeno il 7% l’anno, ma negli ultimi 10 anni (2013-2022) le ha ridotte solo dello 0.5%. Occorre quindi che adotti immediatamente un processo di decarbonizzazione che sia 10-15 volte più efficace e veloce: ma, purtroppo, non c’è alcuna volontà a procedere lungo questa linea. Anche a livello globale la situazione è pessima, anzi ancora più drammatica, dato che le emissioni globali continuano a crescere.

4.     Dal punto di vista energetico, il nucleare insieme alle rinnovabili può costituire un'alternativa reale?

Risponderò a questa domanda tenendo conto che dobbiamo ridurre le emissioni di gas serra al più preso e da subito, e raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette entro il 2050 per limitare l’impatto del riscaldamento climatico sulle generazioni future. Quindi la priorità delle azioni dei governi e privati dovrebbe essere di investire e promuovere gli investimenti per raggiungere questo obiettivo di zero emissioni nette al più presto. È errato rinviare la data da cui non si potranno più comprare macchine a motore tradizionale o non si potranno più usare combustibili fossili sempre più nel futuro, ed invece investire in tecnologie nuove che, forse, saranno operative tra una decina di anni, se funzionano.
Riprendendo la domanda, ci aspettiamo che in un futuro con produzione elettrica de-carbonizzata, ogni Paese avrà una combinazione diversa delle fonti a zero emissioni di gas serra (solare, eolico, idroelettrico, geotermico e nucleare) che dipende da vari fattori: la sua posizione geografica, le competenze tecniche della sua forza lavoro, la sua economia. Quindi il nucleare avrà un suo ruolo in certi Paesi, ma non in tutti.
Torniamo quindi ad oggi, al 2024. Penso che i Paesi che hanno già impianti nucleari funzionanti, dovrebbero continuare ad usarli. Per quel che riguarda nuovi impianti, dobbiamo inoltre tenere presente che il costo dell’energia prodotta con impianti nucleari è circa 10-15 volte più alto che non quello con impianti solari, eolici o idro. Inoltre, i tempi di costruzione sono in media circa 8-10 anni, in alcuni casi anche 15-20 anni. Non possiamo aspettare questo tempo a decarbonizzare: dobbiamo decarbonizzare ora, e non perdere alcun tempo se vogliamo evitare impatti negativi legati al cambiamento climatico ancora più sostanziali nel futuro.
Quindi per l’Italia, che non ha impianti nucleari e che è situata in un’area ideale per la produzione di energia con impianti solari, una tecnologia economica e perfettamente funzionante, il nucleare potrebbe forse avere spazio nel futuro, ma oggi il Paese deve accelerare la realizzazione di impianti di produzione solare ed eolica.
La priorità del nostro Paese dovrebbe essere di investire in infrastrutture che facilitino la mobilità elettrica e la produzione di energia con impianti solari, eolici e idro. L’obiettivo primario dovrebbe essere di arrivare nel più breve tempo possibile (idealmente entro il 2030) a produrre il 70-80% dell’energia di cui ha bisogno con solare, eolico ed idroelettrico. Le tecnologie per questa trasformazione esistono, funzionano, e sono economicamente a costi più bassi. Una volta che si è avviato l’implementazione di questo programma di trasformazione che porti il Paese a raggiungere gli obiettivi del 2030 e 2050, possiamo valutare se, ed in che percentuale, l’energia nucleare di nuova generazione potrebbe aiutare il Paese o no.
L’errore che si sta facendo è di parlare molto del possibile ruolo del nucleare, e usare questa possibilità come scusa per rimandare il processo di de-carbonizzazione del trasporto e della produzione elettrica, anche sotto la spinta di lobby potenti che spingono per l’uso continuo di olio combustibile e gas metano, o di motori a combustione. Mentre in realtà dovremmo parlare del fatto che mancano le politiche e gli investimenti per decarbonizzare ora. Abbiamo tecnologie economiche che funzionano per il trasporto elettrico e per la produzione di elettricità. La priorità dovrebbe essere di ridurre il più velocemente possibile la dipendenza da carbone, olio combustibile e gas metano, e trasporto basato su mezzi a combustione.

5.     Qual è il livello di prevedibilità della meteorologia?

La risposta dipende dai fenomeni che vogliamo prevedere. Prima di tutto, lasciatemi sottolineare il fatto che le previsioni sono sempre affette da incertezza: più i fenomeni sono intensi e localizzati, e più è difficile prevedere i loro dettagli. Inoltre, più l’intervallo temporale della previsione è lungo, e maggiore è l’incertezza.
Oggi abbiamo metodi probabilistici, basati su insiemi di 25-100 previsioni singole disegnate per stimare l’incertezza, che ci aiutano a prevedere l’incertezza delle previsioni. Grazie a questi metodi abbiamo fatto enormi progressi ed oggi siamo in grado di utilizzare previsioni meteo anche se sono incerte (se siete interessati a sapere di più su come vengono realizzate le previsioni meteo, e sulla predicibilità di diversi fenomeni, vi segnalo il mio libro su “Weather Prediction”, pubblicato nel dicembre 2023 da Oxford University Press).
L’incertezza sarà sempre presente: non sarà mai possibile emettere delle previsioni completamente accurate, ad esempio sia in termini di localizzazione dei fenomeni, e/o della loro intensità e/o del loro tempismo. Ma continua ricerca e sviluppo ci porterà ad una riduzione delle incertezze, e quindi ad avere a disposizione informazioni più accurate. Se guardiamo agli ultimi 30 anni di previsioni probabilistiche ad insieme, vediamo che ogni 10 anni di ricerca e sviluppo portano ad un guadagno di predicibilità di circa 1,5 giorni. Quindi tra 10 anni, le previsioni a 6,5 giorni saranno accurate come quello di oggi a 5 giorni. Ovvero se oggi riusciamo a prevedere fenomeni temporaleschi intensi e localizzati 2 giorni prima, tra dieci anni dovremmo riuscire a prevederli 3,5 giorni prima.
Se vogliamo parlare di fenomeni più specifici, oggi uragani tipo Milton (che ha colpito la Florida), vengono previsti accuratamente 7-10 prima. Eventi di precipitazione a grande scala, tipo le alluvioni che hanno colpito l’Italia negli ultimi mesi, vengono previste 10-15 giorni prima, anche se spesso le previsioni sottostimano l’intensità degli eventi stessi. Mentre eventi estremi di precipitazione legati a fenomeni temporaleschi locali, a scala spaziale più piccola, vengono previsti solo 2-3 giorni prima. Ondate di calore che coprono aree molto vaste, a volta l’intera penisola italiana, e durano a volte anche 2-3 settimane, vengono previste con sufficiente accuratezza 3-4 settimane prima.

6.        Insieme ai nubifragi è possibile prevedere anche le epidemie?
 
Non sono un esperto di epidemiologia, e quindi per avere una risposta più precisa suggerisco di sentire il loro parere. Ma dalle interazioni che ho avuto con loro, soprattutto con un modellista di epidemie greco durante il Covid, posso segnalare che esistono modelli complessi che utilizzano approcci probabilistici in grado di prevedere le pandemie. Per i dettagli sulle loro capacità, rimando a loro.  
Anche in questo settore, come nella meteorologia, la qualità delle previsioni dipende dalle osservazioni disponibili sullo stato del sistema (in questo caso la salute dei cittadini, e degli animali), e dalle qualità dei modelli e dei sistemi predittivi. 
In meteorologia, da 50 anni raccogliamo e ci scambiamo in tempo reale moltissime osservazioni che coprono l’intero globo. Oggi, ogni giorno vengono raccolte e scambiate circa 800 milioni di osservazioni dell’atmosfera e degli oceani. Grazie a queste osservazioni siamo quindi in grado di stimare accuratamente lo stato dell’atmosfera su tutto il globo, e quindi di prevedere se e come lo sviluppo di fenomeni lontani potrebbe influenzare il meteo locale. 
Mi chiedo se nel campo delle epidemie vengano scambiati in tempo reale un numero sufficiente di osservazioni accurate per inizializzare i modelli utilizzati per prevedere l’evoluzione futura giorni, settimane o mesi in anticipo. Come in meteorologia, mi aspetto che anche per le pandemie certi tipi possano essere più facilmente prevedibili che altre. Quindi la mia visione è positiva, che sia possibile realizzare dei sistemi di previsione probabilistica di epidemie che ci aiutino a gestirle.