Lavoro e Società InGenere
Formazione, servizi e nuovi modelli organizzativi per ridurre il Gender Gap
Intervista a Nicola Sciclone
diretto IRPET Toscana
di Marco Bracci
L’IRPET http://www.irpet.it (Istituto Regionale per la Programmazione Economica della Toscana) di cui Lei è direttore da poche settimane ma presso il quale presta servizio e svolge ricerca da molti anni, è da sempre attento allo studio della condizione economica e lavorativa delle donne in Toscana, e più in generale all’analisi delle varie dimensioni tramite cui il cosiddetto Gender Gap si manifesta. A questo proposito, quali elementi e dati è importante comprendere, e quali riflessioni ne scaturiscono?
Per motivare l’attenzione che Irpet dedica da sempre al tema delle donne, rispondo partendo anche io da una domanda. E’ utile avere un approccio di genere nell’analisi economica e sociale? La risposta è sì, perché nonostante evidenti miglioramenti rispetto al passato continuiamo ad osservare uno squilibrio del lavoro di cura, dei familiari e della casa, nella ripartizione fra i generi. Inoltre le donne scontano, in generale, minori opportunità di partecipazione al lavoro e di carriera.
Cito due numeri: il tasso di attività delle donne (66%) è 12 punti più basso rispetto a quello degli uomini (78%) e il divario resta simile nei tassi di occupazione (61% rispetto a 73%).
Il titolo di studio incide significativamente sulla propensione ad attivarsi e trovare lavoro. Questo significa che il divario si ridimensiona nelle classi di età meno adulte, significativamente più istruite della popolazione over 50. Nelle fasce d’età centrali la Toscana si avvicina alla media europea, ma permane comunque una distanza di genere evidente se prendiamo in considerazione i paesi scandinavi, la Germania e la Francia.
Inoltre l’occupazione femminile è concentrata nell’insegnamento, nei servizi sanitari e sociali, nei servizi alla persona e domestici, che rappresentano mediamente un insieme di professioni a remunerazione meno elevata. Cioè le donne sono più presenti nelle occupazioni dove i salari sono più bassi anche per gli uomini. Le donne scelgono, o sono indotte a scegliere, le professioni che offrono minori opportunità in termini retributivi e di carriera. Laddove questo non accade e competono con gli uomini, subiscono infine lo svantaggio legato alla consistente adesione al part-time rimanendo minoritarie nelle posizioni apicali.
Nel rapporto 2019 “La condizione economica e lavorativa delle donne” (l’ultimo disponibile) a cura di Natalia Faraoni e Donatella Marinari – entrambe ricercatrici presso IRPET – è sottolineato che “il superamento dei divari di genere, infatti, non è un problema delle donne, ma una questione politica, relativa a quale società vogliamo tendere nei prossimi decenni”. Da economista e “tecnico” condivide questo approccio? Può spiegare ai lettori di Nautilus come l’analisi di tali processi abbia un’importanza, per così dire “politica”?
Condivido l’affermazione che il divario di genere non sia solo un problema delle donne. Dobbiamo acquisire la consapevolezza che il mantenimento degli attuali squilibri penalizza la società nel suo insieme. Faccio due esempi. Il primo riguarda la demografia. Il tasso di fecondità è legato al tasso di occupazione femminile. In Toscana le donne occupate fanno più figli delle donne non occupate. Qual è il problema dei problemi in Toscana, e non solo? La denatalità. Ecco allora un buon motivo, per ridurre il gender gap.
Secondo esempio. Le donne in posizione di leadership possono esprimere una visione diversa rispetto a quella maschile. Non sempre, evitiamo i fanatismi, necessariamente migliore. Ma diversa. E la diversità è un fattore di arricchimento. Che ritengo vada coltivato. Perché l’agenda delle priorità di governo è sicuramente migliore se scaturisce da una pluralità eterogenea di valori, idee, obiettivi. Un difetto tipico del nostro sistema politico, ma anche del mondo imprenditoriale, è la visione troppo spesso sbilanciata sul breve periodo. Il contributo delle donne al potere potrebbe allora essere quello di promuovere uno sguardo orientato alle politiche di più lungo respiro, da un lato, e di manifestare una più spiccata sensibilità per i temi della coesione sociale, dall’altro. Non fosse altro, per opposizione, al fallimento espresso in entrambe le dimensioni dalla classe dirigente maschile.
Le barriere di genere riguardano un fenomeno fondamentale, vale a dire la difficoltà di raggiungere le pari opportunità sul lavoro. In che modo ciò si manifesta in Toscana nell’ambito pubblico, privato e in quello imprenditoriale?
In Toscana come altrove, il problema principale credo che sia il ritorno al lavoro dopo la maternità. Cioè il condizionamento che ciò ha sulla carriera delle donne. Certo c’è il tema della iper femminilizzazione di alcune professioni, ma il tasso crescente di istruzione delle donne più giovani, anche nelle discipline scientifiche, dovrebbe in prospettiva attenuare questo problema. Resta invece complicato conciliare – nell’occupazione alle dipendenze private - la maternità con la carriera.
L’IRPET produce e pubblica le Note sugli effetti economici del Covid-19, agili e puntuali analisi che toccano molteplici ambiti del tessuto socio-economico toscano, e negli ultimi diciotto mesi si è occupato a più riprese di scattare delle fotografie in movimento sulla condizione economico-lavorativa delle donne. In particolare, cosa è possibile rilevare a proposito dell’occupazione femminile e della conciliazione vita-lavoro? Pensa che i cambiamenti in atto abbiano effetti di lungo periodo?
Con riferimento alle opportunità occupazionali, la pandemia ha ridotto l’occupazione delle donne più di quella degli uomini. Perché le donne sono più occupate nei settori (i servizi) più esposti alla crisi. Con riferimento alla distribuzione del carico di cura, dobbiamo distinguere, a seconda di come dentro ogni nucleo familiare si è configurata la modalità di svolgimento del lavoro. Nel caso in cui il lavoro da remoto, quasi sempre da casa, ha coinvolto anche gli uomini, le ore di cura a loro carico potrebbero essere aumentate, ma ciò dipende dalle modalità di divisione del lavoro interne alle coppie. Le prime analisi rilevano che i padri hanno dedicato più tempo ai figli, ma non, per esempio, alle attività domestiche. Nei casi in cui il lavoro da remoto, da casa, ha coinvolto in modo esclusivo le donne, l’impegno a loro carico è stato più gravoso, dovendo esse gestire contemporaneamente sia l’attività lavorativa sia la cura dei figli.
Infine, in qualità di Direttore di IRPET, avendo un punto di vista ampio sulla situazione economica, e mirando al futuro, quali strumenti a livello economico e legislativo dovrebbero essere implementati per proseguire nel processo di modernizzazione della condizione economica, lavorativa e di vita delle donne in Toscana?
Penso a tre assi di intervento prioritario. Investire nelle infrastrutture sociali, non solo gli asili nido, ma tutto il sistema scolastico che potrebbe essere più integrato con servizi territoriali come ludoteche, attività sportive. Ma anche i servizi assistenziali e sanitari per disabili ed anziani, a partire dall’assistenza domiciliare e residenziale. Potenziare gli incentivi all’imprenditoria femminile e promuovere modelli organizzativi all’interno dei luoghi di lavoro più rispettosi di una reale conciliazione. Estendere e rendere obbligatorio il congedo di paternità per bilanciare i carichi di lavoro all’interno della coppia.