Elogio della scarsità
“Se ciò che hai/ fosse quello che ti resta/ da un naufragio/ sopra un'sola deserta.../ Grideresti di gioia/ di avere una coperta,/ di avere pelle addosso/ ed un bottone d'osso/ e un berrettino rosso,/ una cannuccia,/ un temperino nelle tue mani”.
Così Renato Rascel esaltava la scarsità in una canzone degli anni Settanta ispirata al Padre Brown di Chesterton, un autore convinto che la felicità e la cultura siano nemiche dell’abbondanza. La gioia della conquista rispetto alla noia di avere tutto, il piacere della scoperta rispetto alla paralisi di trovarsi impacciati di fronte a pareti fitte di libri, dischi e dvd.
La rete è una miniera infinita di testi, film e musiche a nostra disposizione: solo le canzoni che possiamo trovare su Internet sono più di 30 milioni ed è stato calcolato che, per ascoltarle tutte, dovremmo campare 228 anni senza mai dormire e sempre con l’orecchio incollato al web.
Le opere d’arte che i grandi musei italiani, dagli Uffizi a quelli di arte contemporanea, non possono esporre per mancanza di spazio e giacciono invisibili nei magazzini sono quasi 5 milioni.
Quando eravamo bambini avevamo la possibilità di vedere in televisione due film la settimana (il unedì su RaiUno e il mercoledì su RaiDue): oggi tra le piattaforme on demand e le centinaia di canali ci sentiamo assediati dalla fiction. Tutto questo, anziché galvanizzarci, rischia di trasmetterci un senso di stanchezza, una spossatezza inquieta da Occidente al tramonto, un’estenuata nevrosi da società borghese satolla e appannata dopo una scorpacciata di civiltà.
La nostra produzione contemporanea di libri, film, musica, è spesso di qualità ma di rado ha il dono della freschezza. Siamo spenti dall’eccesso di offerta.
Abbiamo biblioteche molto più ricche dei nostri antenati, però siamo lettori superficiali e distratti: Dante o Petrarca avevano assai meno libri di noi, ma li sapevano a memoria, li possedevano nel senso più profondo del termine.
Noi abbiamo tutto e non possediamo nulla. Temiamo il naufragio che invece potrebbe salvarci, come quello della canzone di Rascel: “Avresti un piffero dai suoni strani/ per fare il verso ai gabbiani,/ sapessi che bellezza, /sapessi che ricchezza,/ sapessi che allegria e così sia”.