Una città nel mare

di Michele Mazzi
Città. Che cosa evoca in voi la parola “Città”? Pensateci un attimo. Le prime associazioni che a me vengono in mente, quelle tre o quattro parole che ti appaiono in testa prima ancora di mettersi a pensare, sono: “cemento”, “palazzi”, “strade” e “traffico”. Senza alcuna accezione negativa, sia chiaro; più una visione architettonica, come se la mia mente si avvicinasse in elicottero al trigger del brainstorming. Subito dopo, messo a fuoco l’argomento, il mio cervello passa su un secondo piano ed ecco che si focalizza sull’aspetto sociale e relazionale proponendomi parole come “relazioni”, “persone”, “chiese”, “piazze” (queste due ultime intese come storici punti di aggregazione e socialità). Non so voi, ma questo è quanto accade a me.

Provate adesso a pensare a “Città di mare”. Mentre la mente sta ancora focalizzando la parola “città”, che in fondo sarebbe l’oggetto principale della locuzione, l’occhio la voce o il pensiero cosciente raggiungono le due parole successive, e qui si manifesta il mistero in tutta la sua potenza. Come un gigantesco magnete, la semplice parola “mare” cambia completamente l’immagine che si sta formando nella mia mente orientandola imperiosamente verso sé stesso, esattamente come l’ago di una bussola, per quanto solidale con essa, è sottomesso al nord magnetico; scompaiono strade e palazzi, e le prime parole divengono “porto”, “orizzonte” e “azzurro”, mentre in seconda battuta appaiono in me gli odori di alghe, di nafta mista ad acqua di mare (l’inconfondibile odore del porto) e, infine, la battigia. Non di una determinata spiaggia, ma quella nanometrica ed inafferrabile linea di contatto in costante movimento che unisce e separa il mare da ciò che gli umani calpestano, sia essa su una spiaggia, su uno scoglio, un molo o una nave.

L’aggettivo “di mare” non qualifica la città, la rimpicciolisce e la posiziona per sempre tra tutte le città di mare del mondo, piccoli spettatori affacciati sul più grande dei teatri del pianeta.

Ebbene, Piombino è una Città di Mare. Ma non una qualsiasi, appartiene ad una élite: abbiamo l’Isola davanti. E non solo una.

Vi sarà sicuramente capitato di visitare altre città di mare, magari di dormirvi in albergo o in appartamento, e di aprire la finestra al mattino per (ovviamente) guardare il mare. Senza un’isola davanti, anche solo in lontananza, non vi manca qualcosa? A me l’assenza di un’isola fa lo stesso effetto di una pietanza senza sale o di un frozen yogurt perfettamente guarnito. Bello sì, ma manca sempre qualcosa. So che è così per molti, lo so da scambi facebook con altri Piombinesi viaggiatori.

Non so perché agli altri faccia questo effetto, ma ho provato a ragionare su perché accada a me; da sempre, per l’umanità, il mare è luogo di viaggi attraverso l’ignoto se non verso di esso. Mai uguale a sé stesso, superficie brillante su chilometri di mistero, è pura incertezza; viene attribuita a Platone la frase “vi sono tre tipi di uomini: i vivi, i morti e chi va per mare”; anche la certezza della morte è traballante. Studi oceanografici, previsioni meteo, dispositivi di telefonia mobile scalfiscono solo in parte, e solo per chi vuole, la grandiosità dell’elemento.

Ebbene, un orizzonte piatto e vuoto è capace di arrestare per un momento anche il più grande ed esperto degli esploratori che dovrà comunque cercare per il proprio cammino un punto di riferimento, siano gli astri, una bussola o qualsiasi altro aiuto.

L’isola davanti è sempre lì, segna una direzione geografica, ci conferma la nostra posizione e, novella colonna d’Ercole, rimanda a dopo le nostre preoccupazioni per quel che sarà il mare aperto.

Altre isole, sempre più sfumate, sembrano voler compensare la distanza con la loro altezza e rassicurarci sulla benevolenza del fato nei confronti di qualunque viaggio si voglia intraprendere.

E questo è il palcoscenico in cui ogni piombinese passato, presente o futuro ha vissuto, vive o vivrà piccole o grandi avventure salate, come accade ad ogni abitante di città di Mare almeno una volta nella propria vita.

In fondo per una grande impresa non è necessario cercare oceani più grandi, basta usare navi più piccole.