La riva bianca e la riva nera

di Guido Morandini

 
…sono di un paese vicino a lei
però sul fiume passa la frontiera
la riva bianca la riva nera...

Questa canzone di Iva Zanicchi fu un successo nell’estate del 1971 e divenne a modo suo una canzone antimilitarista, soprattutto nella versione spagnola tradotta in  La orilla blanca, la orilla negra.
Nell’Europa continentale, dove i confini sembrano più marittimi che terrestri, può sembrare assurdo trovare al suo interno un fiume che è tutto un confine e le sue rive sono un susseguirsi di bianco e nero.
Parlerò di un’esperienza di navigazione fluviale durata tre estati (dal 2017 al 2019) che, partendo da Valenza in Piemonte, mi ha portato con una barca fino in Ucraina.  2500 km di acque interne, uscendo una sola volta dall’acqua per attraversare il confine alpino tra Trieste e Lubiana, navigando con una piccola barca a remi il Po, i canali veneti, le lagune di Venezia, Caorle, Marano e Grado e poi il fiume Sava , il Danubio e infine il suo delta sul Mar Nero.
L’esperienza significativa fu la navigazione della Sava, un fiume che nasce in Slovenia al confine con Italia e che prima della guerra civile Jugoslava era tutto all’interno di un unico stato. Oggi questo fiume tranquillo e navigabile che a Belgrado dopo 950 km si getta nel Danubio, attraversa almeno sei realtà politico-amministrative diverse (Slovenia, Croazia , Serbia, Il distretto di Brčko, Federazione di Bosnia ed Erzegovina, Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina)
Ogni volta che dal centro del fiume con la barca ti avvicinavi a una sponda non sapevi in quale Stato ti trovassi. Gli stessi abitanti erano significativamente segnati dalla loro storia politica.  A volte incontravi piccole comunità serbe in territorio Croato, oppure villaggi croati o bosniaci in territori amministrati da Serbi. I segni della guerra erano ancora ben visibili, nelle case abbandonate, dall’insistenza dei simboli religiosi di appartenenza. Dovevi avere il passaporto pronto ma in mezzo al fiume nessuno ti fermava e ti chiedeva niente. Scorrevi con l’acqua. Per cui la barca è scivolata via fino al confine rumeno con l’Ucraina.
Qui avvenne un fatto significativo. Navigando nel delta del Danubio dopo giorni tra canali e canneti, io e i miei compagni di viaggio sbucammo nel ramo del fiume che confina con l’Ucraina. Perché là volevamo arrivare. Incredibilmente in mezzo al nulla dietro un fitto canneto apparve un posto di frontiera rumeno posizionato su uno zatterone. Il funzionario della polizia di frontiera rumena, cortese ma deciso, ci chiese:
-        da dove venite?
-        Dall’Italia!
-        E nessuno vi ha fermato?
-        No, sui fiumi nessuno ci ha chiesto niente.
-        Va bene ma qui finisce l’Europa (intendeva la Comunità europea) e in barca non potete continuare. Per entrare in Ucraina dovete attraversare la frontiera terrestre oppure uscire in mare e poi entrare di nuovo nel Danubio nel ramo extraeuropeo.

L’acqua che scende dalle Alpi e alimenta la Sava ci avevano portato liberi fino a lì, ma la politica degli Stati ci aveva fermato.

Un secondo episodio significativo avvenne dove la Sava segna il confine tra Croazia e Serbia.
Domenica pomeriggio io e Angelo (mio compagno di viaggio insieme ad Alessandra) stavamo remando in piedi, tranquilli discorrendo un poco; al centro del fiume su una barca due giovani pescavano silenziosi. Ad un certo punto sentimmo gridare dalla barca:
- Siete Italiani? Io parlare latino!
Ci avvicinammo, uno dei due ragazzi poco più che ventenne mi disse, in un italiano stentato, che aveva studiato latino a Roma per un anno e che adesso continuava a praticarlo in un collegio di Zagabria. Era croato, suo padre era un eroe di Vukovar, la città che aveva resistito agli attacchi serbi durante la guerra civile nella ex Jugoslavia. Mi informò che poco più a sud lungo il corso del fiume c’era un presidio di Carabinieri italiani che controllavano il flussi di migranti provenienti dalla “via danubiana” per entrare in Europa. Continuai a parlare con il giovane per capire le ragioni della sua scelta di imparare il latino e alla fine credetti di aver capito: per lui ero croato e cattolico, la lingua latina, poco utile per comunicare, era il confine identitario che aveva alzato per difendersi dal “dilagare del mondo “straniero”. Lì sul fiume che i Greci consideravano non un affluente ma il secondo estuario del Danubio, l’acqua non scendeva ma saliva verso l’Istria (Istro era il nome greco del Danubio) e quindi andava fermata con una diga solida e antica che non sapeva di globalizzazione come l’inglese, ma aveva il suono antico e liturgico del latino.

Fig. 1 La barca tra i canneti del Danubio
Fig 2 La barca sul braccio sud del delta del Danubo
Fig. 3 Meandri storici sul Mississipi
Fig. 4 Fine fiume