La cultura della memoria come bene comune: riflessioni dai territori

di Paolo Coppari

Basta sfogliare un dizionario per rendersi conto del ricco e complesso corredo di parole e locuzioni che ruotano attorno alla voce “memoria”: ricordare, rammentare, rimembrare, rievocare, sovvenire, commemoraree via dicendo; una fitta rete di parole legate da rapporti di sinonimia, analogia e affinità logica a questa voce-guida che, grazie a ognuna di esse, si arricchisce di nuovi sensi e sfumature semantiche. Perché la memoria, una parola-slogan abusata e logorata, spesso banalizzata o sacralizzata, è un argomento estremamente complesso e, in quanto tale, affascinante, sia che si tratti di memoria individuale, oppure collettiva.

Da questo punto di vista, un fertile terreno di sperimentazione e di osservazione è stato il progetto dei Cantieri Mobili di Storia (CMS) che, sin dai mesi immediatamente successivi ai sismi del 2016, hanno operato nelle zone appenniniche e interne del Maceratese, cercando di coniugare memorie personali e di comunità, collocandole in una trama storica. Sono state promosse a tal fine molte iniziative per la messa in sicurezza delle memorie territoriali, con una difficile e paziente opera di “riparazione” dello spaesamento e della perdita del senso di appartenenza da parte delle comunità devastate dai terremoti.

È la fine del 2018, quando i CMS iniziano a realizzare il progetto “Scrivere per Ricostruire”; grazie alla preziosa collaborazione della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari (LUA), vengono attivati in molti centri delle aree interne maceratesi veri e propri cantieri di scrittura, con la volontà di raccogliere racconti biografici e autobiografici: una sorta di “granaio della memoria” per capire non tanto la dinamica degli eventi legati al sisma, quanto piuttosto il modo in  cui le comunità hanno cercato di rielaborali e interpretarli; in quanto tali, queste memorie possono diventare fonti e oggetto di riflessione storica. Le recenti pubblicazioni sul terremoto dell’Irpina del 1980 costituiscono esempi illuminanti di questa “storia della memoria”, della sua utilità e delle sue potenzialità.

Vale la pena a tal proposito di sottolineare due aspetti di questo lungo e sofferto percorso progettuale che è iniziato non già con l’immediata raccolta delle testimonianze, ma con un corso di formazione laboratoriale per ricercatori-biografi di comunità; ai partecipanti i docenti della LUA hanno trasmesso conoscenze e competenze di base per la progettazione, trascrizione e condivisione dei colloqui con i rispettivi narratori: in poche parole, per prendersi cura delle loro storie di vita. Nulla insomma è stato lasciato all’improvvisazione, anche grazie a una complessa macchina organizzativa che ha coinvolto una fitta rete di scuole, enti e associazioni del territorio.

Sulla scia di questa esperienza, sono nate (e stanno nascendo) in alcuni paesi dell’entroterra maceratese associazioni e gruppi di ricerca (anche in ambito scolastico) che vogliono prendersi cura delle memorie di comunità; pur operando in modo autonomo, essi dialogano costantemente con i Cantieri Mobili di Storia a cui chiedono un supporto storico e metodologico. Vale la pena di ricordare che in questo ambito non esiste un modello unico e valido per tutte le situazioni: nelle varie realtà in cui operiamo, cerchiamo sempre di sperimentare modalità di costruzione attiva e partecipata della memoria, per dare la possibilità alle comunità di raccontarsi con forme e procedure autonomamente scelte.
Se volessimo trarre delle riflessioni da queste nostre esperienze, potremmo dire che per evitare le sue frequenti derive nostalgiche, consolatorie e identitarie, la memoria individuale e collettiva ha bisogno di periodici innesti, come quelli che abbiamo sperimentato in questi anni. Il primo è con la storia, con le conoscenze del passato dei territori, entro cui collocare e ricomporre la trama delle memorie personali e di comunità. Sono questi i materiali che i CMS hanno usato per le loro iniziative nelle zone del doposisma: la memoria e la Storia o, meglio, la memoria storica come preferiamo chiamarla.

Il secondo innesto è rappresentato dalla conoscenza e dallo scambio di buone pratiche con altri territori. Numerose sono state le occasioni da noi create per favorire una rete di condivisione e di cooperazione tra esperienze in atto per la rinascita di comunità lacerate da catastrofi naturali e per il recupero della memoria storica, con la presenza di attivisti, ricercatori e associazioni che operano nelle aree interne dell’Italia Centrale, in contesti molto diversi tra loro. “Terre e memorie in movimento”: è questo il titolo che non a caso abbiamo voluto dare alle nostre iniziative.

È importante – lo abbiamo già sottolineato- che le comunità sappiano raccontarsi, anziché diventare l’oggetto della narrazione degli altri. Ma per sapersi raccontare (ed è questo il terzo innesto) c’è bisogno anche di solidi strumenti di lavoro e di competenze: le stesse che ci vengono richieste da parte dei gruppi e delle associazioni che stanno sperimentando percorsi originali di recupero e valorizzazione delle memorie locali.

Occorre insomma costruire una cultura della memoria, frutto di tante interazioni, per conoscerne appieno le potenzialità e avvalersene in modo consapevole. Essa ci aiuta all’ascolto degli altri e quindi è un esercizio di condivisione e di apertura; è un antidoto alla semplificazione e alle immagini stereotipate (quelle dell’unica narrazione): le memorie infatti sono plurali e diverse le une dalle altre; la memoria genera partecipazione e relazioni fra le nuove e le vecchie generazioni; ci permette di reagire alla cancellazione delle catastrofi, spesso operata dalla storia ufficiale, e di mantenere viva l’attenzione al tema della prevenzione. La memoria, infine, rafforza il senso di appartenenza ai saperi del territorio e ai suoi valori.
 
Come si può capire da queste brevi note, le nostre riflessioni – avviate subito dopo gli eventi del 2016 - non riguardano soltanto le comunità appenniniche del doposisma, ma anche tutte quelle realtà urbane che vogliano contrastare il senso crescente di spaesamento della nostra società. La costruzione di un comune patrimonio di memoria può aiutare infatti le persone a riconnettersi in maniera sempre più consapevole con i luoghi dell’abitare e con i loro paesaggi umani e storico-culturali; può creare un tessuto sociale ricco e dinamico, che è la condizione necessaria per affrontare i problemi e cercare in modo collaborativo le possibili soluzioni.
 
Ecco perché la cultura della memoria deve essere inclusa tra i beni comuni immateriali, quei beni cioè che hanno una funzione sociale, che sono il risultato di processi sociali e ci permettono di lottare contro i mali sociali. Di questi beni occorre prendersi cura con l’attivazione di progetti che prevedano, oltre alla loro salvaguardia, anche una gestione condivisa e partecipata. Si tratta di un percorso ancora tutto in salita, perché spesso anche nelle nostre realtà si preferisce proteggere e “sigillare” le memorie, anziché metterle in movimento; tuttavia, non mancano esempi a livello locale e nazionale che si muovono in quest’ultima direzione.
 
Tuttora in corso nelle nostre zone sono i progetti che ruotano intorno alla parola-chiave di “mappe di comunità”; si tratta di prodotti cartografici con cui gli abitanti di un territorio hanno la possibilità di rappresentare il proprio patrimonio materiale e immateriale, insieme alla fitta rete di rapporti e relazioni che intorno a esso si è creata. Ne consegue che queste mappe non sono un semplice inventario, ma un processo socioculturale o, meglio, un percorso collettivo di partecipazione e di coinvolgimento degli abitanti di un territorio.

Altrettanto interessanti sono gli esperimenti di creazione – su impulso di associazioni, istituzioni politico-culturali e altri soggetti - di piccoli archivi di comunità, composti da fotografie, documenti familiari, testi scritti e registrazioni audio-video a cui tutti possono contribuire: una sorta di memoria popolare per arricchire la storia di un territorio e le sue trasformazioni.

Stanno nascendo, seppure in via sperimentale, progetti di cura collettiva degli archivi pubblici (in primo luogo quelli comunali e scolastici), come beni comuni di cui tutti possano avere il diritto e il dovere di occuparsi. La scommessa - davvero affascinante e, in quanto tale, da seguire con attenzione - è quella di includere i cittadini, attraverso i cosiddetti patti di collaborazione, nella cura e valorizzazione di questi beni archivistici, spesso colpevolmente trascurati dalle amministrazioni competenti: una progettualità che trova del resto ispirazione nei principi della Convenzione di Faro (2005) ratificata in Italia nel 2020, così come nell’articolo 118 della nostra Costituzione.

In questa direzione – quella cioè di rafforzare la conoscenza del patrimonio storico-culturale e di rendere partecipi e attive le comunità che l’hanno ricevuto in eredità - notevoli possono essere le risorse del web: basti pensare all’ecosistema Wikimedia a cui i Cantieri Mobili di Storia hanno dedicato un apposito corso di formazione laboratoriale, per sperimentarne le capacità collaborative e le potenzialità educative.

La memoria - come abbiamo cercato di argomentare in queste pagine - è un bene pubblico o, meglio, può diventarlo se dialoga con la storia delle comunità; se genera partecipazione, relazioni e collaborazioni; se sa trasformarsi in un’officina di idee e progettualità, anziché configurarsi come una statica collezione di reperti memoriali. L’esperienza pluriennale dei CSM ci permette, da questo punto di vista, di osservare in ampie zone del Maceratese un processo in atto con l’avvio di esperienze innovative, ma anche con le inevitabili difficoltà e battute di arresto, che possono costituire comunque un’utile occasione di riflessione.
 
 
Bibliografia- Sitografia
·       Paolo Coppari, Coltivare la memoria, coltivare le comunità. Esperienze territoriali tra la costa adriatica e le terre alte del maceratese: il progetto dei Cantieri Mobili di Storia, in Maddalena Chimisso e Augusto Ciuffetti (a cura di), Il lavoro tra passato e futuro. Fragilità e opportunità di un patrimonio nei territori interni dell’Italia contemporanea, Rubbettino, Soveria Mannelli 2024.
·       Paolo Coppari, Marco Moroni, Terre e memorie in movimento. Le aree interne viste dai Cantieri Mobili di Storia, in “Prisma Economia Società Lavoro”, Franco Angeli, anno XV,n. 1, 2024.
·       Chiara Caporicci, Paolo Coppari, Silvana Nobili (a cura di), Quando arriva primavera. Biografie e storie di comunità negli Appennini del doposisma, affinità elettive, Ancona 2022.
·       Paolo Coppari, Antonietta Petetti, Nelle mie montagne che cambiano ogni giorno. Autobiografia di comunità dell’Alto Nera, Zefiro, Fermo 2022.
·       Gabriele Ivo Moscaritolo, Memorie dal cratere. Storia sociale del terremoto in Irpinia, editpress, Firenze 2020.
·       Gabriella Gribaudi, Francesco Mastroberti, Francesco Senatore (a cura di), Il terremoto del 23 novembre 1980, Editoriale Scientifica, Napoli 2021.
·       Nicholas Tomeo (a cura di), Vocabolario delle aree interne.100 parole per l’uguaglianza dei territori, Radici edizioni, Capistrello 2024.
·       Paolo Piacentini, In cammino per un nuovo umanesimo, Pacini Editore, Ospedaletto 2024.
·       Labsus Laboratorio per la sussidiarietà https://www.labsus.org/; https://www.labsus.org/2010/06/beni-comuni-il-significato-delle-parole/
·       https://www.ilmondodegliarchivi.org/la-memoria-come-bene-comune-un-percorso-di-partecipazione-cittadina-alla-cura-degli-archivi-pubblici-sardi/
·       Pierluigi Feliciati, Progettare insieme alle comunità la narrazione del patrimonio colpito dal terremoto: le potenzialità dell’ecosistema Wikimedia nel contesto universitario/ Developing cultural heritage storytelling together with communities: the potentiality of Wikimedia ecosystem at university,in “Il Capitale Culturale.Studies on the Value of Cultural Heritage”, n.22,2020.  https://doi.org/10.13138/2039-2362/2423