Confini di Maremma, Maremma di confine

di Tiziano Arrigoni


La Maremma toscana è stata per secoli territorio “altro” rispetto al resto della regione, sia dal punto di vista fisico che demografico.[1] Una vasta area costiera, dominata in buona parte da paludi e boschi, che l'opera di bonifica secolare ha cercato in qualche modo di normalizzare e rendere produttiva, anche attraverso politiche di immigrazione stagionali o definitive.
Se accettiamo la differenza che esiste in lingua inglese fra confine e frontiera (border e frontier) non possiamo non applicare il secondo significato alla Maremma , almeno dalla seconda metà del Settecento.
La frontiera ha infatti implicazioni non solo spaziali, ma anche sociali, in quanto “è in continua evoluzione, non è un dato certo”ed è quindi un concetto “che accetta più facilmente di essere modificato” nel momento in cui si modificano le condizioni fisiche e sociali del soggetto, in questo caso la Maremma.[2]
Non è un caso che le suggestioni legate alla bonifica leopoldina della prima metà dell'Ottocento facessero riferimento ad un'altra frontiera, molto più vasta e complessa, come quela del West degli Stati Uniti dove si intendeva ridurre a modello capitalistico avanzato un territorio ancor selvaggio. Così in Maremma si dovevano sconfiggere le paludi, favorire l'immigazione, portare le infrastrutture stradali e ferroviarie.
La Maremma venne quindi considerata una frontiera all'interno della Toscana e quindi mobile, secondo quanta terra veniva strappata alla palude e all'incolto e  i suoi abitanti erano visti come dei veri e propri pionieri.[3]
Anzi il carattere rude e selvaggio degli abitanti della Maremma diventatava lentamente uno stereotipo, fino a creare una “maremmanità” , il mito del maremmano, uomo dei boschi e della natura simile a personaggi che avevano caratterizzato l'immginario romantico dell'Europa dell'Ottocento come gli abitanti della Corsica o dell'Andalusia.
Identità che poi si concretizzò nel grande latifondo, in parte riconvertito a mezzadria nella seconda metà dell'Ottcento, ma che conservava vaste aree di incolto, boschi e paludi.
Come scrisse Mario Mirri nel 1966: “la Maremma è una zona eccentrica rispetto al resto della Toscana, con caratteristiche e problemi propri; qui, probabilmente, a parte l'esperimento non riuscito di Ricasoli è avvenuto un duplice processo, o di diffusione della mezzadria, o di diffusione del pascolo naturale, in grandi zone e grandi proprietà, per l'allevamento del bestiame: penso a certi quadri del Fattori”.[4]
Non a caso gli 'eroi' idealizzati della Maremma divennero personaggi particolari, direi di 'frontiera', come i butteri, anche attraverso episodi ingigantiti come la sfida a Buffalo Bill.
Fu con l'idea di 'redenzione rurale' fascista , con la normalizzazione paeaggistica, che scomparve ogni idea di 'frontiera' interna e poi con  la democratica Maremma “aperta ai venti e ai forestieri” vagheggiata da Luciano Bianciardi che si batteva contro gli stereotipi della maremmanità, fino allo sviluppo del turismo balneare.
Tuttavia quest'area rimaneva ancora una delle zone meno densamente popolate d'Italia ed ecco aprirsi negli ultimi decenni una nuova idea di frontiera: di fronte al turismo di massa, che interessa anche la Maremma, ecco che si può vedere un ambiente generalmente ben conservato ed un'agricoltura di qualità che sembrano costituire una nuova frontiera per far conoscere a livello internazionale una Maremma, che negli ultimi due secoli, ha conosciuto cambiamenti radicali.

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[1] Per un ampliamento del tema rimando al mio Come in America. La Maremma e la frontiera, Piombino, La Bancarella 2008.
[2]P.ZUNINI, Significati del confine. I limiti naturali, storici, mentali, Milano, B.Mondadori 2000, pp.XVII, 14.[3].
L.BINDI, Bandiere, antenne, campanili. Comunità immaginate nello specchio dei media, Roma, Meltemi 2005, pp.126-130.[4]
M.MIRRI, La storiografia italiana del secondo doooguerra fra revisionismo e no, in Fra storia e storiografia. Scritti in onore di Pasquale Villani, Bologna, Il Mulino 1994, p.102