Il confine per cui ho lottato tanto e tra poco non mi servirà più
di Ilic Copja
Secondo una definizione, “il confine è una linea o una zona di separazione e al contempo di contatto tra due aree geografiche naturali o politiche”. Su questa prima parte della definizione siamo sostanzialmente d’accordo. Il problema sorge leggendo la seconda parte, che riguarda cosa delinea e come viene istituito: “Essa rappresenta il limite tra due proprietà controllate da entità diverse e può essere definita legalmente dalle autorità competenti. I confini possono essere naturali, come ad esempio quelli che seguono elementi del paesaggio, o artificiali, stabiliti in base ad eventi storici o trattati”.
La parte piu problematica è chi li definisce questi confini. Nel corso della storia umana spesso i confini tra Paesi, Stati ed Imperi sono stati definiti con trattati dopo delle guerre: alla fine chi ha vinto definisce i propri confini e quelli del vinto. Ciò rispecchia il famoso detto di Winston Churchill: “La storia viene scritta dai vincitori”.
Negli ultimi due secoli vi sono state tre ‘fasi’ del confine: i confini nazionali, la chiusura dei confini e il confine comunitario. L’Albania, la mia terra d’origine, queste tre fasi le ha passate in periodi diversi e con rilevanza diversa. Andrò ora a fare un percorso storico delle prime due per poi soffermarmi sulla terza, che è quella attualmente in corso.
Nel XIX secolo l’Albania non esisteva come Stato indipendente e di conseguenza non aveva confini. Durante la Conferenza di Berlino, 10 Giugno 1878, il Cancelliere tedesco Otto Von Bismark definì l’Albania “solo un espressione geografica”. I nazionalisti albanesi volevano creare uno Stato albanese prima autonomo per poi arrivare all’indipendenza, che includesse tutti i territori in cui la maggioranza della popolazione parlava albanese. Trovatosi in mezzo a una guerra di espansionismo, il percorso indipendentista dell’Albania fu travagliato, sanguinoso e molto lungo. Con l’inizio del nuovo secolo, quando la situazione nei Balcani si trasformò in una vera ‘botte di polvere da sparo’ (secondo l’espressione di un ambasciatore Austro-Ungarico), la dissoluzione dei territori Balcanici dell’Impero Ottomano (Rumelia) sembrava scontata e l’unica variabile era: Albania Stato indipendente, si o no? E se sì, quali saranno i confini? Qui entra in gioco l’Italia, che ha usato la propria influenza diplomatica per la costituzione dello Stato albanese. L’indipendenza venne riconosciuta solo un anno dopo, esattamente il 30 novembre 1913, essendo stata proclamata unilateralmente a Valona il 28 Novembre 1912. Il problema era sempre la definizione dei confini e si trovò la soluzione grazie ad un compromesso delle Sei Grandi Nazioni nella Conferenza di Londra. Questi confini sono stati messi in discussione più e più volte fino al 1945. I territori del neonato Stato albanese sono stati considerati merce di scambio durante e dopo la Prima Guerra Mondiale; con l’entrata in scena degli Stati Uniti d’America e della dottrina dell’allora presidente Woodrow Wilson per l’autodeterminazione dei popoli, e grazie anche all’astuta politica del governo albanese istituito dopo il Convegno di Lushnja, si riuscì a legittimare uno Stato albanese indipendente con i confini del 1913.
Durante il ventennio fascista le storie dell’Italia e dell’Albania si intrecciano di nuovo. Prima l’Italia è il ‘grande fratello’ del giovane Stato albanese ed ha un ruolo importantissimo nello sviluppo e nella modernizzazione economica e sociale dell’Albania, per poi trasformarla in una propria colonia per cercare di far risorgere l’Impero Romano. Durante la Seconda Guerra Mondiale per pochi anni, tra il 1941 e il 1944, gli Albanesi accarezzarono il sogno di istituire ‘la Grande Albania’, ‘l’Albania Etnica’, grazie alle promesse dell’Asse. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale i confini dello Stato albanese ritornarono a quelli degli ultimi cambiamenti, quelli del 1913 con l’aggiunta dell’isola di Sazan.
Durante il periodo comunista ci fu la chiusura dei confini, con un isolamento dell’Albania dal mondo occidentale. L’Albania piano piano uscì anche dagli organismi del campo socialista, quali il COMECON e il Trattato di Varsavia, per seguire il proprio obiettivo finale, ‘costruire il comunismo con le proprie forze’, obiettivo che è miseramente fallito. L’Albania fu l’unico Stato europeo a non sottoscrivere la Carta di Helsinki che creò l’OSCE nel 1975; quando cadde il muro di Berlino il 9 Novembre 1989 e di lì a poco si sarebbe disgregato tutto il Blocco Comunista con a capo l’Unione Sovietica, l’Albania si troverà sola, debole e indifesa. Alla fine anche in Albania venne eletto un governo democratico dopo le elezioni parlamentari del 22 marzo 1992, ma oramai era troppo tardi, il treno preso dalle ex Repubbliche sovietiche e da quelle dell’Est Europa verso l’Occidente era già partito e noi non eravamo a bordo.
Nel frattempo l’Europa occidentale era andata avanti durante quegli anni, superando la nozione stessa dei confini. Alla fine degli anni Ottanta del Novecento si andava progettando una entità sovranazionale e una ‘cancellazione’ dei confini nazionali. Questo era un progetto partito da lontano, con il Trattato di Roma del 1957 e con la creazione della Comunità Economica Europea, mentre nel 1985 venne istituita la Convenzione di Schengen. Da lì in poi tutto cambierà nel panorama internazionale europeo: con la Convenzione di Schengen non si parlerà più di ‘confini interni’ ma solo di quelli ‘esterni’. L’Italia aderisce a questa convenzione nel 1990, mentre invece l’Albania è riuscita solo nel 2010 ad avere la liberalizzazione dei visti. La Convenzione di Schengen fu accompagnata dal Trattato di Maastricht nel 1992 e poi nel 2009 venne perfezionata l’attuazione del Trattato di Lisbona, il trattato per il funzionamento dell’Unione Europea.
L’ultimo governo comunista di Ramiz Alia alla fine degli anni Ottanta del Novecento iniziò un lungo, travagliato e doloroso percorso di avvicinamento dell’Albania alla Comunità Economica Europea, poi divenuta Unione Europea. Tutto iniziò di nuovo da lì, dai confini, con il cambiamento delle leggi per chi tentava di superarli illegalmente e la possibilità dei cittadini albanesi di andare a visitare i propri parenti all’estero. I successivi anni Novanta costituirono un periodo travagliato e sanguinoso per l’Albania, con diverse crisi interne ed esterne le quali, oltre a procurare decine di morti e una profonda crisi economica e sociale, misero in discussione anche i suoi confini sino al punto di rischiare di farle perdere l’indipendenza. Questi anni furono importanti per l’ingresso dell’Albania in organizzazioni comunitarie come l’OSCE e far adeguare la legislazione albanese a quella europea. Il processo di avvicinamento è proseguito ancora più spedito con il nuovo millennio, grazie anche al miglioramento della situazione sociale ed economica, per giungere infine alla liberalizzazione dei visti per i cittadini albanesi nel 15 dicembre 2010. Lo scorso giugno l’Albania ha conseguito il ‘pass’ per avviare le pratiche per l’ingresso nell’Unione Europea.
Durante questo lungo tragitto partito da lontano, l’Albania ha accantonato il proprio nazionalismo e irredentismo per cercare di far parte della grande famiglia europea. L’Unione Europea adesso è una entità politica, sociale ed economica ben consolidata con istituzioni proprie. Di essa fanno parte ad oggi 27 Stati entrati in periodi storici differenti con differenze storiche, economiche e culturali. Tra i primi atti di questi Stati nell’entrare in questa sorta di ‘Super Stato’ va annoverato quello di eliminare i confini tra di loro e accantonare le mire nazionaliste ed espansioniste. Il motto dell’UE è ‘uniti nella diversità’.
L’Albania ha dovuto lottare per quasi un secolo per definire e mantenere i propri confini: oggi sta facendo di tutto per entrare in questa nuova comunità e, una volta entrata, dovrà ‘rinunciare’ proprio a quegli stessi confini. L’affermazione dell’Albania come nazione è stata anch’essa sanguinosa ed è stato necessario quasi un secolo, dalla metà del XIX secolo fino al 1920: con l’entrata prossima in UE dovrà accantonare i propri nazionalismi e magari anche l’orgoglio di essere albanese, per trasformarlo in orgoglio di appartenenza all’Europa.
Vorrei concludere richiamando il filo conduttore del libro di Benedict Anderson Le comunità immaginate, dove si mette in chiaro come tutte le comunità create nel corso dei secoli erano immaginate, su qualsiasi fondamenta fossero costruite. In questo caso l’unica cosa che non aveva previsto bene Anderson è che l’allora CEE, oggi UE, sarebbe diventata essa stessa una comunità che avrebbe cancellato i confini culturali, fisici e politici di più di 400 milioni di persone. L’Albania e gli Albanesi devono prepararsi in un futuro prossimo a questa nuova realtà, ad essere parte di una comunità multietnica e multiculturale dove non si dovrà pensare a “Io” ma a “Noi”.
Anderson B., Comunità immaginate. Origini e diffusione dei nazionalismi, Laterza, Roma-Bari 2018
Biagini A., Storia dell'Albania. Dalle origini ai giorni nostri, Bompiani, Mi 1998