Fra terra e mare:
il porto adriatico di Termoli
di Lucia Checchia
Se provassimo a guardare al mare con occhi più attenti non vedremmo una lunga distesa di acqua salata, ma uno “spazio storico” costituito da un intricato sistema di strade, sia di mare che di terra; un complesso sistema di circolazione costituito da innumerevoli nodi tra loro interconnessi: i porti.
La nascita di un porto, a prescindere dall’esistenza o meno di strutture artificiali, era legata innanzitutto alle condizioni geomorfologiche di un luogo ed era favorita dalla presenza di un “territorio abitato” nelle vicinanze.
Ogni porto doveva essere dotato di servizi utili ai naviganti e garantire la presenza di cantieri navali e magazzini per lo stoccaggio delle merci. I porti erano presidiati da Autorità portuali che, oltre ad occuparsi del controllo della situazione sanitaria, ovvero delle misure di isolamento, profilassi e prevenzione, sorvegliavano la criminalità e il rispetto delle disposizioni commerciali. Ma il porto era anche, e soprattutto, un luogo di incontro, di raduno di mercanti e pescatori, una sorta di “porta” aperta verso il mare, un rifugio e una risorsa al tempo stesso.
Nel passato, per una piccola regione come il Molise, il mare ha rappresentato un importante elemento di strutturazione economica e sociale, contribuendo al processo di territorializzazione nel lungo periodo, soprattutto quando, in seguito alla forte crescita demografica che investì il Regno di Napoli nel corso del Settecento, le campagne molisane divennero nuovi mercati di riferimento per il commercio del grano. In quegli anni, gli approdi di Termoli e Campomarino insieme alla foce del Fortore, divennero luoghi di scambio molto frequentati. Essi furono in grado di rispondere alla continua e crescente domanda di frumento, sia da parte di Napoli sia, in subordine, di altri centri della costa del Regno.
Dopo la rivoluzione industriale il tema dei porti divenne un punto focale sul quale i governi centrali cominciarono a concentrare la propria attenzione.
L’evoluzione della domanda di trasporto, l’espansione del commercio su rotte lunghe e le innovazioni tecnologiche avevano infatti portato a profondi cambiamenti nell’ambito della navigazione e del trasporto marittimo e le grandi navi richiedevano rifugi sicuri, in seni di mare profondi. Dopotutto, per un Regno le cui coste si estendevano per “1144 miglia italiane”, il mare era sicuramente la più agevole via da percorrere, le navi il miglior mezzo di trasporto, porti e scali strumenti indispensabili per assicurare il ricovero dei navigli e agevolare l’imbarco e lo sbarco delle merci. È però da sottolineare che nel passato termini come marina, approdo, spiaggia, caricatoio, scaro, seno, cala, rifugio, non denotavano situazioni distinte tra loro o comunque non necessariamente di ordine inferiore al porto. Ancora fino ai primi decenni dell’800, a Termoli, le imbarcazioni con un maggior pescaggio dovevano ancorarsi nei pressi della foce del fiume Biferno, mentre i navigli più piccoli venivano tirati a secco nel seno di Ovest, l’insenatura a sinistra del borgo. Durante il decennio francese, proprio in quella zona, venne attrezzato un piccolo cantiere navale ubicato sotto le mura, sulla spiaggia del Pozzo Dolce, utilizzato sia per costruire nuove barche da pesca sia per riparare quelle danneggiate che giungevano da fuori.
Seppur privo delle infrastrutture, che sempre più apparivano necessarie, il porto di Termoli continuò comunque a svolgere un ruolo di primaria importanza nei flussi commerciali della Provincia. Nonostante i molti progetti redatti, e talvolta anche approvati, investimenti significativi sul porto si realizzarono, però, solo nel corso del ‘900. L’attuale porto di Termoli, realizzato ad est del borgo antico, è un porto turistico, commerciale, industriale e da pesca. I suoi tre moli ospitano: i cantieri navali (molo nord), un piccolo porto turistico (molo sud), un attracco per i pescherecci, i mezzi della Guardia costiera e della Guardia di Finanza, un attracco per le navi che trasportano passeggeri alle Isole Tremiti e, solo nei mesi estivi, in Croazia, con un flusso annuo di passeggeri che si aggira attorno alle 240.000 unità.
La flotta peschereccia si compone di 68 unità (10 draghe, 35 strascico, 23 piccola pesca). Sono inoltre attivi anche quattro impianti di mitilicoltura. Dopo l’ingresso nella Zona Economica Speciale (ZES) Adriatica, condivisa con la Regione Puglia, da giugno 2022 l’approdo termolese è entrato a far parte dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Meridionale insieme ai porti di Bari, Brindisi, Manfredonia, Barletta e Monopoli. All’Autorità Portuale spetterà il ruolo strategico di indirizzo, programmazione e coordinamento del sistema dei porti rientranti nell’area di competenza. Si tratta di un passo molto importante che consentirà alla regione di riappropriarsi della propria storia e di ribadire, ancora una volta, l’importanza del porto come motore per lo sviluppo socioeconomico.
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Bibliografia
Braudel, Fernand, Il Mediterraneo. Lo spazio e la storia, gli uomini e la tradizione, Newton & Compton Editori, Roma, 2002
Checchia, Lucia, Dal campo al mare. Il sistema portuale di Termoli e il grano del Molise tra Settecento e primo Novecento, in: Glocale. Rivista molisana di storia e scienze sociali, nn. 16-17/2022
Bicocchi, Julie, Tra terra e mare. Dialoghi sul porto, oggi, FrancoAngeli, Milano, 2017
Carrino, Annastella, and Biagio Salvemini, Porti di campagna, porti di città. Traffici e insediamenti del Regno di Napoli visti da Marsiglia (1710-1846), in: Quaderni Storici, vol. 41, n. 121, 2006, pp. 209-54, http://www.jstor.org/stable/43779530.