Cosa intendiamo oggi col termine lavoro?
Ciò che facciamo per vivere? Il mestiere che ci permette di mangiare e pagare le bollette? Il dovere opposto al piacere?
La Costituzione italiana fonda tutta la Repubblica sul lavoro. Perché? Che valore ha avuto dal passato fino ad oggi il concetto di lavoro nella nostra cultura?
Nella Grecia classica lavoravano i poveri, gli schiavi, coloro che dovevano prestare il proprio corpo per delle funzioni, rinunciare al possesso delle proprie braccia, delle mani, della schiena per fare cose evitate da chi, a quel possesso, non doveva rinunciare, essendo il cittadino in grado di contribuire alla grandezza e alla bellezza della Polis, qui intesa non solo come città, ma come Stato, cultura, mondo. A rendere disprezzabile il lavoro era inoltre la fatica fisica, lo sforzo costato per portare a termine un compito utile. Quella fatica fatta col corpo non poteva essere elevata al livello di quella utilizzata per pensare, ideare cose, meditare.
Anche nella Bibbia si sancisce col lavoro la condanna dell’umanità all’inizio della propria esperienza terrena. Nel Genesi, Dio decreta che Adamo e i suoi discendenti dovranno vivere lavorando la terra da cui sono stati tratti. Ciò di cui l’umanità è fatta, la consistenza stessa del mondo, diventa contemporaneamente sostentamento e limite dell’esistenza umana.
Non fa eccezione la donna condannata a dare la vita con il dolore e la fatica, vincolata così al lavoro dall’atto fisico di generare. La Terra, per dare frutti, dovrà essere coltivata, come la donna inseminata in un' ineluttabile lotta per la sopravvivenza individuale e della specie.
La cristianità assimila il concetto distinguendo le arti liberali dalle meccaniche: mentre le prime possono essere svolte da persone libere che hanno avuto il privilegio di studiare, le seconde sono destinate ai servi della gleba, ai poveri. Qui la differenza fra lavoro intellettuale e lavoro manuale si fa più articolata perché il primo può richiedere fatica fisica, ma soltanto legata all’ingegno, come nel caso dell’artigianato o della medicina. Per questo motivo l’esaltazione della vita activa fatta nel Rinascimento riguarda solamente i mestieri che richiedono creatività, studio, conoscenza.
Occorre superare il ‘400 perché il concetto di lavoro manuale si modifichi e cominci ad assumere una dignità pari a quella del lavoro intellettuale. Galileo nobilita con la scienza sperimentale il lavoro di coloro che gli costruiscono gli strumenti o fanno osservazioni per migliorarne il funzionamento sulla base dell’obiettivo da raggiungere. Più tardi Leibniz esalterà il lavoro dei contadini, dei marinai o dei mercanti in grado di vitalizzare una società iniettandovi novità, scoperte, invenzioni.
Si può dire che sia l’avvento della scienza sperimentale a dare un nuovo valore al lavoro inquadrandolo come una dimensione necessaria all’umanità per esprimersi pienamente. Successivamente Hegel mette in luce il lavoro nel suo aspetto di medium fra umanità e natura perché noi agiamo sul mondo attraverso delle cose. La natura dura e cruda è lavorata attraverso idee, strumenti, costruzioni che la rendono compatibile con noi, che fanno del mondo il nostro mondo.
Una realtà non già data come quella del Paradiso terrestre, ma edificata a nostra misura. Da qui l’idea di Marx sul fatto che l’umanità crei da sola i propri mezzi di sussistenza diventandone schiava. Il vincolo alla macchina e alla produzione di massa crea così le basi per il concetto di alienazione che esprime la dissoluzione del sé nell’atto forsennato e reiterato di produrre.
Da un’altra angolazione Nietzsche spinge lo sguardo dall’Europa al Nuovo Mondo in cui l’esaltazione dell’operosità propria del calvinismo americano getta le basi per l’idea di performatività tanto in discussione al giorno d’oggi. Non è un caso che la riflessione attuale si stia concentrando, fra i vari aspetti, sulla riduzione del valore del lavoro a quello di performance, di raggiungimento immediato del risultato a qualsiasi costo.
Un atteggiamento che ha valicato i confini dell’ambito lavorativo per impregnare il senso del nostro vivere in società.