Se le scuole fanno storia, memoria e patrimonio. Un fertile terreno per esercitare il mestiere dello storico

di Alberto Barausse

La scuola italiana non è solo l’occasione per riflettere sulle sfide che la società deve affrontare per formare le future generazioni nei sistemi complessi, ma rappresenta anche l’ambito attraverso il quale ripensare il passato a partire dalle domande del presente.
Ma come ci è stata tramandata la rappresentazione della scuola del passato? Che visioni di società le classi dirigenti e quelle popolari hanno espresso nel corso dei secoli che ci hanno preceduto? Che cosa hanno studiato gli alunni e gli allievi delle nostre scuole? In quali condizioni hanno esercitato la professione insegnante i tanti maestri e maestre, o le tante professoresse e professori che hanno animato le aule scolastiche? Ed oggi attraverso quali forme la memoria della scuola condiziona la rappresentazione storica delle nostre scuole? 
Sono, queste, solo alcune delle domande che oggi gli storici si pongono per ripensare alla storia delle nostre istituzioni scolastiche. 
Nel farlo non possiamo tener conto di come sia cambiato il modo di fare la storia della scuola e di come sia mutato il mestiere dello storico delle nostre istituzioni scolastiche. 
 

Fino a qualche decennio fa, almeno fino agli anni Settanta ed Ottanta del secolo scorso, era difficile incontrare l’interesse degli storici per le vicende della scuola italiana. Raramente la scuola è stata la palestra per misurare i mutamenti sociali, economici o culturali da parte degli storici di professione. Per molto tempo, lungo tutto il Novecento, è stata esercitata una forte egemonia da parte della cultura di matrice idealista che amava analizzare più la storia delle idee pedagogiche piuttosto che le caratteristiche dello sviluppo dei processi di scolarizzazione, delle culture prodotte all’interno delle nostre scuole, dell’articolazione dell’offerta formativa, della evoluzione dei curricula disciplinari, della condizione del corpo docente o di quello dirigente

Ancora più rare erano le incursioni degli storici volte ad esplorare la quotidianità scolastica. 

Si sono succedute diverse stagioni a partire dalla seconda metà del secolo scorso, che hanno visto dapprima gli storici generalisti provare a rompere l’antico schema paradigmatico dell’idealismo culturale. Prima cercando di mettere in luce alcuni passaggi importanti nella storia del sistema scolastico italiano, soprattutto dal punto di vista delle politiche scolastiche definite dalle élite dirigenti tanto nell’Italia liberale, quanto in quella fascista o repubblicana; poi approfondendo i fattori che hanno contribuito a individuare la scuola e i processi di scolarizzazione delle élite o i processi di alfabetizzazione delle classi subalterne come elementi fondamentali per una più corretta interpretazione di certi fenomeni chiave della nostra storia sociale ed economica. 

Ma grazie anche all’apporto degli storici dell’educazione più attenti a recepire la grande lezione della scuola storiografica delle Annales, ed a raccogliere le suggestioni provenienti dal confronto storico internazionale, proprio a partire dagli ultimi decenni del Novecento sono state promosse nuove indagini destinate ad aprire nuovi capitoli nella storia della nostra scuola. 

Non solo è emersa la necessità di avviare dei percorsi di ricerca per mettere in luce le dinamiche della scolarizzazione collocate tra le spinte centralistiche del ministero e le applicazioni a livello periferico territoriale, ma si è aperta una nuova finestra su quella che Dominique Julia, uno storico francese, definiva la “scatola nera” della scuola, la specifica cultura prodotta dalle scuole

Per tante generazioni dal secondo Ottocento, i libri letti a scuola sono stati gli unici testi ad alimentare la cultura scritta destinata ad integrare, prima, e a soppiantare poi quella orale. Ma solo recentemente si è scoperta l’importanza di studiare e conoscere che cosa si leggeva nelle scuole dell’Italia liberale o di quella fascista. Solo in anni più recenti si è capita l’importanza di intrecciare la ricostruzione delle componenti destinate ad alimentare il tessuto delle culture scolastiche con lo sviluppo delle imprese editoriali, artefici primi di una lenta e progressiva produzione di massa dei libri per la scuola. Ed insieme ai libri si sono moltiplicate le incursioni per individuare i cambiamenti nelle pratiche didattiche e nelle discipline scolastiche, da quelle per acquisire gli strumenti della lettura e della scrittura, a quelli dell’aritmetica e della matematica, delle scienze naturali o della storia e della geografia. 

I quaderni scolastici, insieme ai registri di scuola, ai diari degli insegnanti, alle testimonianze orali, hanno allargato lo spettro delle fonti destinate ad aprire fronti innovativi ed inediti sulla complessa storia delle nostre scuole. Fino a diventare un vero e proprio patrimonio, quello storico scolastico, fatto di molteplici elementi, materiali ed immateriali, destinati ad essere valorizzati dalle stesse istituzioni scolastiche secondo una prospettiva “etnologica” ed “archeologica”. 

Ed ecco, allora, che accanto ai beni culturali prodotti dalle scuole e custoditi negli archivi scolastici o negli archivi comunali e statali (che conservano registri, quaderni, disegni, verbali, fascicoli personali degli insegnanti ect.) gli storici hanno riscoperto l’interesse per nuovi ambiti di ricerca, dalla storia degli edifici storici delle scuole, sia ottocenteschi come quelli delle scuole rurali del primo Novecento; a quello per lo sviluppo dei processi di scolarizzazione nei contesti migratori e coloniali, nell’ambito mediterraneo o delle Americhe. E ancora quello per i sussidi didattici come l’alfabetiere mobile realizzato da Vittorio Carli per le scuole elementari, il planetario prodotto dalla ditta Paravia per l’insegnamento di geografia nelle scuole secondarie ottocentesche, la collezione di mineralogia e di geologia prodotta per le scuole, come i modelli per l’istruzione del corpo umano del prof. Bock. Un patrimonio attraverso il quale, oggi, possiamo ricostruire anche la memoria scolastica, ossia la rappresentazione della scuola che si è voluto trasmettere attraverso i canali diversi della produzione culturale. 

Dalle forme della memoria collettiva prodotta dall’industria culturale (il cinema, la TV, la letteratura, le illustrazioni), a quella individuale trasmessa attraverso i diari, le memorie autobiografiche o le interviste orali, per arrivare alle forme della memoria scolastica pubblica dove le lapidi, i monumenti, le targhe, la titolazione della viabilità a uomini e donne che hanno inciso nella storia delle nostre scuole  rappresentano artefatti-reperti che, insieme ai francobolli, le monete e le medaglie, le fotografie, arricchiscono il patrimonio culturale delle scuole custodito nei luoghi più improbabili e dimenticati delle nostre scuole e delle nostre città e che attendono solo di essere scoperti e valorizzati (memoriascolastica.it). 

Non solo attraverso i centri specialistici universitari e le reti transnazionali di ricerca, ma anche mediante le iniziative che le stesse scuole con i musei della scuola presenti nei territori, possono promuovere.