Porti senza mare

Navigazione e approdi nelle acque interne 

di Rossano Pazzagli


Verso la fine di marzo del 1720 i "populi del piano e comunità di Buggiano", nella ricca Valdinievole tra Lucca e Pistoia, si rivolsero al granduca di Toscana per lamentare gli "arbitrj a' poveri abitanti" compiuti dalle guardie del marchese Feroni impedendo "che i navicelli non carichino vino a' particolari al Porto del Capannone, e questo è contro l'uso antico e inveterato che detto Porto è stato sempre per commodo universale". Era uno degli aspetti della privatizzazione del territorio che si andava affermando nel corso dell’età moderna, che ci consente di fare luce sull’importanza storica della portualità interna in Toscana.
I porti interni, realizzati lungo fiumi, canali, laghi o paludi, erano veri e propri terminal di un sistema infrastrutturale che a lungo ha costituito quella che Fernand Braudel chiamava la “grande trama del mare”, un mare che continuava a far sentire la sua influenza e il suo valore fin nell’entroterra, anche a molta distanza dalla costa. In alcuni casi questi porti disponevano di strutture integrate e complesse, ma più spesso consistevano in semplici approdi in legno con un piazzale adiacente per la manovra dei carri e lo stoccaggio del materiale trasportato; spesso gli scali erano contigui al corso dell’Arno (come nel caso del porto fiorentino di Signa), ma in molti casi si trovavano distanti diverse miglia dall’arteria principale. Nella moltitudine di porti in terra che costellavano il bacino idrografico dell’Arno, i principali erano quello di Altopascio, nel Padule di Bientina, e quelli delle Case e del Capannone nei punti più interni del Padule di Fucecchio. Essi si raccordavano con l’asse centrale rappresentato dall’Arno tramite canali, laghi e paludi, opportunamente resi idonei alla navigazione. Tra le imbarcazioni impiegate per i trasporti commerciali, ma anche per lo spostamento delle persone, il più comune era il navicello, un barcone agile e resistente con la chiglia piatta, la prua rialzata e le fiancate larghe e basse, che in genere misurava tra 12 e 20 metri di lunghezza e fino a tre di larghezza, con una stazza che poteva raggiungere le 25 tonnellate. Nel ‘700 in un cantiere aperto a Limite sull’Arno venne iniziata la costruzione in serie dei navicelli da parte dell’imprenditore Domenico Picchiotti, detto Beco: da qui uscirono molte delle centinaia e centinaia di navicelli che solcando il fiume e i suoi affluenti approdavano nelle località e poi – attraverso il canale dei navicelli costruito tra Pisa e Livorno – raggiungevano il grande porto labronico.
Con i porti interni esisteva anche una cantieristica interna.
I poveri abitanti che protestavano nel 1720 avevano ragione. In effetti, il porto del Capannone (oggi nel comune di Ponte Buggianese, in provincia di Pistoia) costituiva un punto nevralgico nella geometria dei circuiti commerciali che mettevano in collegamento quest'area ricca e vitale con il bacino dell'Arno e quindi con Livorno ed il suo porto, vera proiezione internazionale dell'intera economia toscana, un “palcoscenico mediterraneo”, come lo ha definito Olimpia Vaccari in questo numero di Nautilus.
La progressiva privatizzazione del Capannone, incorporato nell'imponente patrimonio di Bellavista concesso dal granduca Cosimo III a Francesco Feroni nel 1673, non poteva non entrare in contrasto con gli interessi complessivi dell'economia territoriale. Lo stesso avvenne nella parte orientale della Valdinievole dove il marchese Bartolommei era divenuto proprietario dell'altrettanto importante Porto delle Case. Si affermò così, nel corso del ‘700, un diritto d'imbarco o di sbarco, che poteva essere acquisito solo con il pagamento di una "fida" al proprietario. Il porto del Capannone rivestì per tutto il ‘700 e anche nella prima metà dell'’800 un ruolo importante come scalo commerciale per i prodotti in arrivo o in partenza dalla Valdinievole.
Dove finivano i canali, o dove cessava il loro tratto navigabile, cominciavano le strade, che mettevano in relazione i porti con le campagne e i centri urbani dell’entroterra. L'attenzione per questi collegamenti si rivela costante nella documentazione storica, soprattutto a partire dall’età di Pietro Leopoldo. Verso la fine del Settecento, ad esempio, il vicario di Bellavista proponeva di selciare la via che dal Porto del Capannone portava a Borgo a Buggiano e a Pescia, che diventava impraticabile nelle stagioni piovose, mentre era necessaria per il commercio di “grani, segali e vino". Oltre al vino, dunque, anche i cereali percorrevano, sui navicelli, le acque del Padule per raggiungere Pisa e soprattutto Livorno. L'importanza dello scalo aveva fatto sì che intorno ad esso si sviluppasse un complesso architettonico polifunzionale, in grado di rispondere alle esigenze di immagazzinamento di grano e vino, di costruzione e manutenzione di navicelli e altri tipi di piccole imbarcazioni, di residenza del personale incaricato della sorveglianza, ecc.. Il tutto descritto nel catasto del 1789 come "Casamento con granai, cantine, abitazione del sottofattore, forno, piaggione con buche da grano, tettoie per costruzione dei piccoli battelli e per ricovero dei navicelli, con terra soda attorno". Accanto all'edificio si trovava infine una piccola chiesa.
La presenza del “piaggione” con le buche da grano caratterizzava entrambi i principali porti interni (Altopascio e Capannone) e testimoniava l’importanza del commercio dei cereali tra Livorno e la Toscana interna. Le buche da grano, prototipo dei nostri silos, erano cavità ricavate in materiale di riporto, rivestite di mattoni e foderate di paglia, e costituivano un diffuso sistema di conservazione dei cereali nell'area mediterranea.
Ancora negli anni '30 dell'Ottocento il Capannone, dove esisteva una dogana di terza classe, svolgeva la funzione di "luogo di sbarco nel canal maestro dell'Usciana sul lembo settentrionale del Padule di Fucecchio". Ma nel XIX secolo molte cose erano ormai cambiate o in corso di cambiamento. L'applicazione ai trasporti dell'energia a vapore e in particolare lo sviluppo delle ferrovie, che in Toscana si realizza a partire dagli anni '40 dell'Ottocento, in via prioritaria proprio lungo i due assi paralleli (e interconnessi) del Valdarno e della Valdinievole, provoca l'irreversibile declino della navigazione fluviale imperniata sull'Arno, spinge alla disoccupazione le famiglie dei navicellai, determina l'abbandono dei porti interni e la riconversione o la decadenza delle strutture annesse. Alla fine dell'’800 lo scalo esisteva ancora, tanto che nel 1895 alcuni abitanti della zona chiedevano al comune di massicciare il tratto di strada "che conduce al Porto detto del Capannone [che] è in istato non molto praticabile, essendo sterrato con buche profonde da costituire un pericolo per i carri e barrocci che nella stagione di primavera e d'estate devono transitarvi per condursi al porto suddetto a caricarvi i fieni, falaschi ed altro...". Ma si trattava ormai di un approdo legato esclusivamente alle esigenze interne del Padule e non più a circuiti commerciali più vasti ed importanti: fieni e falaschi – appunto – avevano preso il posto di cereali, vino, spezie, tessuti e altre merci.
Quella dei porti interni è in gran parte una storia da fare, utile per rileggere il territorio e cogliere una delle tante facce della transizione dal “commodo universale” (cioè dal bene pubblico) all’interesse privato, oltre a fornirci indicazioni per il recupero di un patrimonio nascosto in chiave didattica, scientifica e culturale.

Nota bibliografica

-        Vallis Arni # Arno Valley: la Toscana dal fiume al mare tra eredità storiche e prospettive future, a cura di M.L. Ceccarelli Lemut, F. Franceschini, G. Garzella, O. Vaccari, Pisa, Pacini, 2019
-        U. Mugnaini, Approdi, scali e navigazione del fiume Arno nei secoli, Pisa, Felici, 1999
-        M. Pacini, Tra acque e strade. Lastra a Signa da Pietro Leopoldo al Regno d’Italia, Firenze, Olschki, 2001.
-        R. Pazzagli, La circolazione delle merci nella Toscana moderna. Strade, vie d’acqua, porti e passi di barca nel bacino dell’Arno, in “Società e storia”, 99, 2003, pp.1-30.
Le frasi riportate nel testo tra virgolette sono riprese da documenti conservati nell’Archivio Comunale di Buggiano (Pt) e nell’Archivio di Stato di Firenze.