Il naufragio del piroscafo Utopia del 1891 

Tra scarsità di conoscenza, mood politico condizionante e asfittica ricerca delle fonti


di Gianni Palumbo

 
Nella storia dell’umanità nomade, errante, che migra per tanti e differenti motivi, ogni naufragio - antico o recente - è causa di dolore.
Dolore generato anteriormente dalla drammaticità dell’evento, sovente premonitore di sottrazione di vite umane; evento che disarciona esistenze, seppellisce vite, sottrae al mondo di chi esiste. Nei naufragi avvenuti durante l’epoca delle grandi migrazioni, uno, in particolare, è stato mediamente dimenticato, quello del piroscafo inglese SS Utopia della compagnia Anchor Line che il 17 marzo del 1891, con a bordo oltre 800 migranti di terza classe (tranne tre viaggiatori “di cabina”), quasi tutti italiani, si inabissa poco prima delle colonne d’Ercole[1]
Il piroscafo Utopia, dopo anni di viaggi tra Glasgow e gli States viene sottratto alla navigazione per la quale era stato concepito e, montato un motore al posto delle vele, viene aggiunto a servizio esclusivo del mercato dei migranti nel Mediterraneo. L’Utopia naufragherà durante una drammatica tempesta, all’ingresso del porto di Gibilterra, causando quasi 600 vittime[2].
Di questo naufragio esiste una scarna bibliografia: pochissimi libri (ciascuno con un parziale apparato bibliografico di riferimento), quasi nessun approfondimento. Pensiamo invece al più noto Titanic: circa duemila i libri editi, migliaia di articoli di approfondimento, analisi dettagliate, multiformi e articolate che hanno scandagliato gli ambiti più reconditi, addentrandosi in anfratti impensabili.
Se, in generale, è sostanziale e veritiero ciò che afferma Augusta Molinari – ovvero che il viaggio transoceanico è un oggetto di indagine difficile da definire, “un oggetto di indagine storica sfuggente […] un aspetto importante della storia del trasporto marittimo, della storia economica, della storia delle élite politiche-economiche e culturali. Ma è una storia di navi, più che di emigranti. Di interessi economici, più che di vite” e inoltre “il viaggio di emigrazione resta a tutt’oggi […] uno degli aspetti meno studiati delle migrazioni storiche italiane[3] – è altresì evidente che tale vulnus, tale scarsità, è determinata dal viaggio inteso con una natura di “cammino” e non di “luogo” da cui ne è conseguita la difficoltà di acquisizione del viaggio di emigrazione come oggetto di indagine storica, relegandolo al racconto, quindi alla condizione di soggetto letterario, si pensi, per esempio, a “Sull’Oceano” di Edmondo De Amicis.

Insomma, del viaggio migratorio in quanto tale, vi è sostanziale scarsità di informazioni tanto da essere stato mediamente adombrato nella pur corposa storiografia delle migrazioni.

Sul naufragio dello Steamship Utopia la verità ufficiale è chiusa nella trincea dell’evidenza di un tragico incidente determinato dall’impatto, durante una tempesta di inequivocabile gravità, con l’ariete sottomarino della corazzata Anson della Royal Navy, ancorata al porto di Gibilterra nel momento del tentativo di ingresso del piroscafo in rada.
Del naufragio di Utopia, avvenuto nel trentesimo Anniversario dell’Unità d’Italia, si è detto poco, e tale scarsità di informazioni è frutto di una verità ufficiale avvolta dalla nebbia della memoria, aggrappata alla cronaca dell’epoca, troppo spesso semplificata e condizionata dalla situazione politica di fine Ottocento. La ricerca della verità, al tempo del disastro marittimo, risultò un percorso asfittico e fu catapultata dai tribunali alla consapevolezza delle famiglie dei naufraghi che non poterono nemmeno recuperare i corpi delle vittime rimaste prive di giustizia, giudicando dai blandi risarcimenti ottenuti.
Per scoprire ulteriori motivazioni del disastro, occorre disarcionare la barriera perimetrale di quel sentiero obbligato per una narrazione univoca, sapientemente condizionata dall’establishment militare che rappresentò, complice le avverse condizioni metereologiche, tra le cause del disastro, quella fondamentale. L’inadeguata e carente ricerca di visioni e di analisi da possibili angolazioni differenti ha co-generato la limitatezza del riverbero della notizia che è stata condizionata fortemente dalla cronaca del tempo.
Quest’ultima, fagocitata a sua volta, negli ultimi lustri, dall’ossessionante ritmo del world wide web, ha poi finito per riverberarsi attraverso una costante riproduzione di mancanze e di errori frutto di superficialità e disattenzioni (classico è l’esempio di una fotografia di un naufragio che si ripete costantemente sul web ma che non concerne il naufragio di Utopia, pur essendo narrato in tal senso [Sic!]).
Ho provato nell’arco di oltre un lustro, con la finalità di verificare le fonti, senza l’ansia di pubblicare informazioni inedite, ad addentrarmi in numerosi archivi, in Italia, in diversi Paesi Europei e negli Stati Uniti, per riorganizzare la memoria di quel naufragio, ancorandola alle fonti originarie, svelando pezzi di verità emersa, faticosamente, tra la coltre di nebbia che il tempo vi ha costruito intorno per oltre un secolo. E per farlo ho dovuto creare ulteriore penuria di informazioni, sottraendo e disancorandomi da quanto fino ad allora era trapelato; scegliendo di spogliare la vicenda da quasi ogni architettura pregressa, tralasciandone, a tratti, il sistematico costrutto delle poche notizie che, per oltre un secolo, sono state flebilmente tramandate. Ciò ha rappresentato un passo indietro arduo, necessario, il solo battesimo che ha permesso di osservare la realtà da una visuale ampia, includendo nel racconto ufficiale scarno, anche drammatiche contraddizioni adombrate dal ricamo spumoso di una verità comoda per l’epoca, ma fin dall’inizio impalpabile, per consentire l’approdo a un senso di giustizia per i naufraghi, annegati o sopravvissuti. Tale lavoro di sottrazione dal barbaglio fino ad allora trapelato e di successiva ricostruzione analitica è dentro un saggio di prossima pubblicazione.
Ecco, quindi, che la scarsità di notizie, ribadita con più o meno enfasi, articolando sapientemente gli aggettivi della cronaca del naufragio, ha determinato il riverbero, nel corso di circa centotrenta anni, di una verità parziale del fatto storico, facendo pernio sugli aspetti emotivi che da soli pare bastino, talvolta, a giustificare anche la grave mancanza di verifica delle fonti.
Chi ha avuto interesse a tenere nascosta la verità è stata essenzialmente la classe dirigente italiana il cui ruolo, dentro la politica degli equilibri coloniali del XIX secolo, benché marginale - o forse proprio per questo - rispetto agli interessi inglesi e francesi, risultò di fondamentale importanza per il prosciogliemento della Compagnia di navigazione britannica, del Capitano del piroscafo e, indirettamente, della stessa Corona inglese, dalle proprie responsabilità. Al contrario, creare un precedente diplomatico sarebbe stato, quanto meno, arduo. Pertanto, a difendere la Compagnia britannica fu un pool di avvocati di assoluto prestigio, tra questi il già Presidente del Consiglio italiano, Francesco Crispi, il quale, anni prima, era stato l’artefice di una legge[4], “la legge di polizia”, di stampo emergenziale, sull’emigrazione italiana e che solo nel 1901 sarà finalmente sostituita da un nuovo apparato legislativo che riconoscerà lo status di passeggero, di viaggiatore, all’emigrante, fino al tempo di Utopia considerato al pari di una merce in viaggio durante il transito e la migrazione oceanica. Non è un caso, infatti, che il riferimento per le procedure giudiziali, all’epoca dei fatti, era ancorato nei meandri del diritto mercantile.
Ecco, quindi, come le poche ricerche agite e la carenza di adesione alle fonti, ribaltatasi nella cronaca che si è riverberata nel tempo, hanno condizionato il modo in cui la storia del naufragio si è mal ancorata alla memoria e alla conoscenza di un fatto, benché drammatico, ancora in gran parte ignoto alla consapevolezza degli italiani che vivono, ormai costantemente, della cronaca di naufragi sulle coste del Mediterraneo.

[1] Palumbo Gianni, A 130 anni dal naufragio del piroscafo “Utopia” - web magazine: Volerelaluna. La politica punto e a capo, marzo 2021. https://volerelaluna.it/migrazioni/2021/03/17/a-130-anni-dal-naufragio-del-piroscafo-utopia/
[2] Palumbo Gianni, 1891, quando i naufraghi eravamo noi - quotidiano il Manifesto del 17 marzo 2021, p.16.
[3] Molinari Augusta, “Le traversate delle migrazioni storiche italiane tra evento e racconto”. História, São Paulo, v. 36, 2017.
[4] Dolores Freda – Governare i migranti. La legge sull’emigrazione del 1901 e la giurisprudenza del Tribunale di Napoli. G. Giappichelli Editore, Torino 2017