Musica e storia
Piccola guida all'ascolto per storici e scrittori
di Stefano d’Atri
Recentemente, a conclusione del mio viaggio letterario nei territori della pasta tra Settecento e Ottocento, confessavo di non aver «viaggiato solo con l’aiuto delle parole ma, come è mia abitudine, mi sono fatto accompagnare dalla musica, da sempre fedele compagna di scrittura. Johann Sebastian Bach, quasi sempre» (d’Atri).
La musica è la mia fedele compagna di scrittura sin dai tempi dell’Università. Mi aiuta a concentrarmi, mi rilassa nei momenti difficili, mi consiglia - per parafrasare Marc Bloch - la direzione di marcia. E quando sono in difficoltà mi rifugio nel mio porto sicuro, ovvero nelle Variazioni Goldberg di Johann Sebastian Bach interpretate da Glenn Gould (la prima versione, però, quella del 1956!): mi guidano fuori dalle acque agitate e mi conducono dove il mare è più tranquillo, dove posso navigare con sicurezza. Sempre.
Non so se altri storici scrivono ascoltando musica. Credo proprio di sì (ne conosco più di uno). Sicuramente lo fa Alessandro Vanoli, che non solo ha dedicato un libro alle Note che raccontano la storia, che ha in quello che lui definisce «lo scarso dialogo tra gli storici e la musica» una delle sue motivazioni (Vanoli), ma che costruisce il suo racconto delle stagioni in 4 libri in cui la musica partecipa diventando parte del racconto stesso.
Ma quale la causa dello scarso dialogo di cui parlava Vanoli? Sicuramente, se gli storici hanno imparato ad utilizzare le immagini per indagare la società e la cultura del tempo (da Emilio Sereni a Peter Burk di strada ne è stata fatta), con i suoni, invece, «siamo parecchio indietro» (Vanoli). Perché? Forse perché noi storici siamo un po’ conservatori e non sempre ci piace addentrarci in sentieri che non conosciamo. Può darsi perché possediamo le registrazioni di musiche solo per il periodo contemporaneo. O forse solo per semplice ignoranza (nel senso etimologico del termine).
Ma, a ben vedere, molte volte la musica incrocia la grande – e la piccola – storia. A iniziare dalla straordinaria vicenda di Eleonora d’Aquitania, figura femminile centrale nell’Europa medievale, al contempo oggetto e soggetto musicale, recentemente raccontata in bellissimo romanzo da Clara Dupont-Monod. O Wolfgang Amadeus Mozart, il cui proverbiale genio musicale (e orecchio assoluto) crea non pochi problemi alla Curia Pontificia - «in una Roma refrattaria a ogni Illuminismo» (Cardinali) - alla vigilia dei grandi cambiamenti del XVIII secolo.
Per non parlare di quando c’è chi inizia a pensare che è arrivato il tempo in cui scrivere musica non basta, ma è necessario prendere nelle proprie mani il destino politico del proprio paese. È quello che accade nel 1991 quando Frank Zappa – probabilmente uno dei più grandi musicisti del XX secolo (e non solo) - si candida alla Presidenza degli Stati Uniti: se un attore poteva divenire presidente degli Stati Uniti e un drammaturgo presidente della Cecoslovacchia, perché no un musicista rock? E del resto, «potrei mai fare peggio di Ronald Reagan?» (Miles). Così come anni prima, nel 1964, aveva fatto un gigante della musica jazz, Dizzie Gillespie che, se eletto, avrebbe nominato un governo composto da soli musicisti che prevedeva, tra gli altri, Duke Ellington Segretario di Stato, Charlie Mingus Segretario alla Pace, Miles Davis Direttore della Cia (e Malcom X Procuratore Generale!).
Ecco allora che la musica non è più solo accompagnamento o contesto, ma diventa essa stessa parte dei processi storici. Li accompagna e a volte li descrive e/o li precede, meglio di altre forme d’arte: come non pensare a Bob Dylan? Ma la musica può fare di più e in certi periodi, lo ha fatto, diventando tout court motore della rivoluzione (Vanoli). E senza dimenticare la sua importanza per l’affermazione di identità altre, a servizio di rivendicazioni culturali in contrapposizione alle narrazioni nazionali. Come è avvenuta per la musica celtica, vero e proprio strumento per rivendicare una «differenza celtica» e per ridare spazio a una cultura che sembrava consegnata alle nebbie del passato. E per questo dobbiamo ringraziare, prima di tutti, il grande musicista (e non solo) bretone Alan Stivell.
Insomma, pubblica o privata, la musica sembra essere la compagna di viaggio ideale della storia. Di chi la fa e di chi la scrive. Nel mio piccolo sicuramente lo è. E sempre lo sarà.
Per concludere: sarete curiosi di sapere cosa ho ascoltato per scrivere queste note, vero?
Eccovi accontentati: Bill Evans, 1970 In Norway; The Kongsberg Concert (Elemental Music 2024) e Die Kunst der FugeBWV 1080 (Tatiana Nikolayeva, registrato dal vivo a Helsinki nel 1993, First Hand Records 2020). E una volta, lo confesso, mi è scappato di sentire alcuni brani live dei miei amatissimi Fleetwood Mac!
Piccola bibliografia di riferimento
I libri che propongo in questa sede non hanno sempre un’attinenza diretta con il testo. Sono, piuttosto, un mio contributo a leggere storie che hanno a che fare con la musica. Direttamente o indirettamente.
G. Cardinali, Il giovane Mozart in Vaticano. L’affaire del “Miserere” di Allegri, Palermo 2022
Colussi, Pinna, Santoro, Susanna, Musica celtica. Bretagna, Scozia, Irlanda: musica, poesia e tradizione popolare, Perugia 1980
S. d’Atri, La pasta è un sentimento che mi difetta. Territori della pasta e viaggiatori tra Settecento e Ottocento, Scafati 2024
C. Dupont-Monod, La rivolta, Firenze 2023
B. Miles, Frank Zappa, Milano 2007
A. Vanoli, Note che raccontano la storia. I suoni perduti del passato, Bologna 202
E per accompagnare la lettura: Johann Sebastian Bach, Goldberg Variationen BWV 988, Glenn Gould (1956).
Buona lettura. E buon ascolto