La scelta delle donne
La memoria al femminile dei fratelli Cervi
di Anna Bigi
Dei sette fratelli Cervi si è scritto molto, il loro sacrificio è entrato a pieno titolo nella storia della Resistenza e dell’antifascismo[1]. Il loro padre, Alcide, è conosciuto in Italia e non solo come Papà Cervi.
Ma se è stato possibile raccontare la storia di questa famiglia è soprattutto perché le loro compagne hanno deciso di proseguire la loro vita nella scia delle scelte compiute “dai loro uomini”. Del ruolo svolto dalle donne di casa Cervi sia durante la Resistenza che dopo, ci si è occupati poco, eppure è evidente quanto queste quattro donne che hanno condiviso con i loro mariti un tempo brevissimo siano state fondamentali sia nel sostenerne l’impegno resistenziale che nel trasmetterne la memoria già molto prima che “entrassero nel mito”.
[1] I fratelli Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio e Ettore Cervi, antifascisti e contadini emiliani, furono fucilati dai repubblichini fascisti agli albori della Resistenza, il 28 dicembre 1943 a Reggio Emilia.
Cruciale è stata la scelta di rimanere, tutte insieme, nel podere dei Campirossi, nella bassa pianura di Reggio Emilia, in direzione di Parma.
Margherita, vedova di Antenore, nella sua raccolta di memorie “Non c’era tempo di piangere” racconta che la mattina in cui a casa arrivò la notizia della Liberazione le cognate andarono in paese “poi passarono davanti alla nostra casa con la sfilata che in testa portava il quadro dei nostri uomini. (…). C’era la liberazione tanto desiderata ma nel cuore era rimasto tanto, tanto dolore.”
Non abbiamo riscontri documentali che questo sia realmente accaduto, ma poco importa ai fini del nostro racconto. Penso a queste quattro donne che nel momento in cui finalmente potrebbero pensare ad una nuova vita, in un paese libero, rimangono nel grande podere, in affitto, con i bimbi piccoli e lo suocero. Già dalla fine del 1943 si erano fatte carico della conduzione del sito dividendosi compiti e responsabilità, ma allora c’era la guerra…
Adesso possono scegliere. Eppure restano. La casa che anche dopo la Liberazione viene incendiata più volte e intuiscono che ci sia chi, a partire dal padrone di casa, li voglia mandare via di lì.
Il padrone di casa pare avesse il timore che quattro donne ed un vecchio non potessero curare la casa e coltivare adeguatamente il terreno.
In realtà in paese correva voce che si volesse mandare via la famiglia per “cancellare” il ricordo del sacrificio dei 7 Fratelli, dei valori che avevano contrassegnato la loro vita; fare sì che il loro impegno, le loro lotte cadessero lentamente nell’oblio.
Ed è per questo che Margherita, Iolanda, Irnes e Verina insieme ad Alcide decidono di restare.
Margherita ha vissuto con Antenore 10 anni, Iolanda con Gelindo 9, Verina con Aldo 4 di cui solo uno all’interno della famiglia, Irnes con Agostino 3.
Eppure sono un’unica famiglia alla base della quale è posto, come prima, il rispetto. Sanno di poter contare per la conduzione della casa e del podere sull’aiuto del cugino Massimo Cervi, e sulle famiglie delle cognate Diomira e Rina già sposate fuori casa.
Restano per mantenere vivo il ricordo “dei loro uomini” e soprattutto fare della loro casa un punto di riferimento per chi si riconosce nei valori della libertà, della democrazia, per chi crede nel valore delle proprie ed altrui potenzialità e si spende per coltivarle.
Ed è questa decisione che rende possibili le successive narrazioni, compresa la costruzione del “mito”.
Maria Cervi sostiene che la sua famiglia abbia fatto due scelte di libertà.
La prima quando da mezzadri sono diventati affittuari, scelta che hanno fatto non solo per emanciparsi dai vincoli dei contratti “fregaroli” della mezzadria ma anche per essere liberi di sperimentare le tecniche di coltivazione e di allevamento apprese sui libri.
La seconda quando hanno deciso di opporsi al regime fascista dando vita alle prime azioni di Resistenza.
Ecco allora a me viene da pensare che al valore di queste scelte, del loro significato, Margherita, Iolanda, Irnes e Verina hanno “vincolato” le loro vite. Forse anche per dare un senso al dolore che aveva attraversato le loro vite e quelle dei loro figli?
E da subito arrivano a casa persone che vogliono saperne di più di questa storia, incredule che i fascisti possano davvero aver ucciso 7 fratelli in un solo colpo. E vengono ricevuti normalmente mentre si svolgono le faccende di casa.
Pian piano anche il racconto della storia degli “uomini” entra nelle normali attività quotidiane. Jolanda, (mancata nel 1965) e Verina preferivano ruoli più defilati, mentre ad Irnes che nelle elezioni amministrative del 1946 è stata eletta nel Consiglio Comunale di Gattatico erano frequentemente affidati i ruoli più politici di rappresentanza. A Margherita, in qualità di rez’dora capitava spesso di affiancarsi ad Alcide quando incontrava i visitatori. E si alternavano, insieme a Diomira, ad accompagnare Alcide nelle manifestazioni a cui era sempre più spesso invitato.
E chi le ha conosciute ricorda come con quanto orgoglio si sentissero parte di questa storia, responsabili nel mantenere e promuovere, anche con il loro racconto, la necessità dell’impegno di ciascuno per mantenere, difendere e fare progredire la democrazia a caro prezzo conquistata.
È dalla loro scelta e dal loro impegno che dobbiamo ciò che oggi Casa Cervi: un luogo di promozione della cultura antifascista, un luogo che unisce ricerca storica ed emozione della memoria.
[1] I fratelli Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio e Ettore Cervi, antifascisti e contadini emiliani, furono fucilati dai repubblichini fascisti agli albori della Resistenza, il 28 dicembre 1943 a Reggio Emilia.
Nota bibliografica:
Alcide Cervi, I miei sette figli, a cura di R. Nicolai, Einaudi, 2014 (ed. orig. 1955)
Margherita Agoleti Cervi, Non c’era tempo per piangere, CGIL, 1994
Laura Artioli, Con gli occhi di una bambina. Maria Cervi, memoria pubblica della famiglia, Viella, 2020.