Fruttuoso è lo studio della storia

di Giuseppe Restifo

“Comprendere non ha nulla di passivo”, diceva Marc Bloch: chi studia la storia opera scelte e distinzioni, ovvero analizza la realtà che si propone di indagare. Così si affronta l’indispensabile e fruttuosa ginnastica dello studio del passato, poiché esso soltanto ci permette di misurare fino in fondo gli esiti contemporanei delle vicende che ci hanno preceduto.

“Lo storico deve liberamente lavorare alla frontiera, sul confine, un piede di qua, uno di là. Lavorare utilmente”. Egli appare per certi versi allora come un “lavoratore socialmente utile”, in quanto si potrebbe definire, con Lucien Febvre, la funzione sociale della storia come l’organizzazione del passato in funzione del presente. Infatti è impossibile comprendere il tempo in cui viviamo senza conoscere quanto l’ha preceduto; nessun dubbio sussiste sul fatto che il presente sia inintelligibile senza un certo studio del passato.

Per ogni problema storico affrontato occorre una molteplicità di fonti, di documenti e tecniche: questo è stato compreso bene; di fronte alla ricchezza dei contenuti, si può essere disposti a cooperare, a lavorare ora da soli e ora in équipe, espressione dei nuovi tempi. Nuovi tempi richiedono nuovi approcci storici e buone domande possono aprire nuovi campi di ricerca.

L’evoluzione della storiografia deriva in larga misura da un processo intrinseco a tutte le discipline umanistiche e ampiamente visibile in molti settori della cultura. Le premesse fondamentali stanno nella storia stessa della storiografia, che permette di “sentire” e di “toccare” la realtà storica. I lavori storici recano implicita la convinzione che il passato possa essere descritto attraverso il racconto storico, e che il metodo più adatto consista nel realizzare una descrizione dettagliata delle azioni, delle idee e dei sentimenti degli uomini.

Una nuova storia non si afferma, rispetto alla storia tradizionale, senza una “battaglia” intellettuale e culturale. Nel caso dei più giovani storici, autori di tanti saggi, colpisce un approccio che si può definire “spontaneo”: per la gran parte di loro si tratta della prima pratica storiografica, ma subito emerge come essi considerino i loro risultati come un prodotto della “sudata” conoscenza del passato, restando fedeli al realismo e alla verità. Alla verità, che per gli storici non è soltanto una categoria logica o sociale, bensì anche una categoria morale, come presupposto della loro onestà.
Se il progresso economico, più in generale la modernizzazione e l’avanzamento civile, come sostiene Joel Mokyr, dipendono dall’innovazione nella conoscenza, all’interno di una società che dovrebbe essere creativa, capace di condividere e rendere accessibile la conoscenza e di applicarla alla soluzione dei suoi problemi, qui ed ora siamo messi male, ma non senza speranze. Lo studio dà un’altra possibilità alla ricerca storica, una possibilità riguardante, piuttosto che lo stato attuale, l'avvenire.
E poi c’è il conforto del riscontro sociale. Prendiamo il caso di un paese e di un territorio delle grandiose aree interne italiane, quelle che sono state ignorate nell’ultimo secolo. Da Capizzi, paese interno della Sicilia più interna, al confine delle provincie di Catania, Enna, Messina e Palermo, al confine più lontano delle città, sale una domanda sociale: come facciamo a rafforzare la nostra identità di Capitini? Sottotitolo della domanda: per evitare di essere spazzati via dalla globalizzazione, dall’attuale fase del capitalismo italiano e internazionale.
Mettersi a studiare la storia è la principale risposta; e poi produrre studi storici su quell’insediamento, peraltro plurisecolare; infine disseminare i risultati della ricerca.
All’uscita del volume “Capizzi fra Tre e Seicento” una parte della comunità capitina fu presa da grande curiosità: voleva sapere cosa mai uno storico “esterno” avesse da dire sul suo paese. In concomitanza con i festeggiamenti di San Giacomo, protettore di Capizzi, venne organizzata la presentazione del volume all’interno del suo Santuario, “location” piuttosto singolare ma ricca di significato. L’autore porta 50 copie e dice alla confraternita incaricata della loro distribuzione che il libro non è in vendita: deve essere data una copia solo a chi lascia un’offerta per San Giacomo. La diffidenza verso una cronologia così “lontana” viene assolutamente superata: la colletta per la festa del Protettore è un successo.
 
“Da questo libro ho imparato tante cose che da capitino non sapevo”: questo il commento, fra i tanti, di Antonello Bonanno Conti, rinomato scultore nativo di Capizzi.
Il libro circola pure nei bar Bocchio e Spagna del paese, luoghi della socialità una volta, tanto tempo fa, riservati agli uomini, ma ora frequentati pure da donne e ragazze. La disseminazione sta funzionando, con la speranza che la consapevolezza della propria storia porti all’accettazione della sfida del “contemporaneo” mettendo da parte la rassegnazione alla “ineluttabile” marginalizzazione. Il recupero dell’identità locale, messa a confronto con il “globale”, passa pure attraverso la valorizzazione dello studio e della ricerca storica.