Quando le fonti orali sono importanti: una brevissima panoramica
di Giovanni Contini
Le fonti orali si sono rivelate molto utili quando utilizzate insieme alle fonti coeve agli eventi, scritte, orali o visive.
In alcuni casi illuminano oscurità o falsità contenute nei documenti prodotti in situazioni ambigue e incerte, che si riflettevano nel testo.
In altri casi, non di rado, ampliano le informazioni ricavabili dalle fonti tradizionali. E sempre forniscono il punto di vista particolare dei soggetti della storia, permettendoci di capire non solo cosa era avvenuto, ma anche cosa le persone pensavano che stesse accadendo, allora, e spesso pensano ancora oggi.
Ci sono però ambiti per i quali le fonti orali sono indispensabili, perché uniche o perché capaci di mostrare una verità opposta, o comunque infinitamente più ricca, rispetto a quella fornita dalle fonti scritte.
Penso, ad esempio, alla ricca esperienza di vita delle famiglie mezzadrili, che i libri colonici conservati allo scrittoio della fattoria riescono a descrivere solo in minima parte.
O al lavoro dei minatori e dei cavatori, che i documenti prodotti dalle direzioni aziendali descrivono come duro, brutale e semplice (quindi da retribuire poco per questo) mentre le fonti orali ce ne danno un’immagine opposta: i lavoratori, spesso per proteggersi la vita, avevano infatti sviluppato una sofisticata capacità di leggere la struttura della montagna che avevano di fronte, una vera professionalità: dovevano sapere all’istante come comportarsi davanti al fronte di coltivazione, appena dopo l’esplosione delle mine, la “volata”. La parete infatti era composta di materiali sempre diversi: sapere iniziare l’armatura e la messa in sicurezza del fronte appena sgretolato dalle esplosioni partendo dal lato più pericoloso salvava, letteralmente, la vita.
Nel caso delle miniere di lignite i lavoratori, divenuti esperti di come il minerale poteva reagire, segnalavano (inutilmente) che determinati metodi di coltivazione “a risparmio”, i “franamenti”, costruivano certamente pericolosissimi spazi che sarebbero stati occupati dal mortale grisou.
Partendo da queste conoscenze legate alla sicurezza, generate dalla paura di perdere la vita, i minatori poi le ampliavano, diventavano molto professionali nel “leggere” la struttura del suolo da coltivare.
Nelle miniere di mercurio, per esempio, le stesse direzioni che disprezzavano (proprio nel senso di dargli un prezzo basso) il lavoro dei minatori mostravano poi un grande interesse riguardo al loro parere sulla possibile localizzazione delle vene di minerale da estrarre. Partendo da una serie di indizi, infatti, i minatori avevano imparato ad associare determinate formazioni minerali alla presenza del cinabro, dal quale si ricavava il mercurio. Il loro parere riusciva, spesso, a risparmiare molto nelle trivellazioni esplorative.
Un altro ambito che vede le fonti di memoria come uniche è quello relativo alle “visioni del mondo locali”, cioè alle narrazioni che determinate comunità legate a una monocultura hanno sviluppato circa la loro storia.
Così paesi che hanno visto la crescita di un vigoroso distretto industriale (penso a Santa Croce sull’Arno) hanno elaborato un giudizio collettivo che spiega il successo partendo solo dalla buona qualità delle relazioni tra paesani, che si sarebbero fidati incondizionatamente gli uni degli altri. Così facendo dimenticano i molti casi nei quali la fiducia non venne premiata e le storie aziendali terminate nel fallimento, e dimenticano anche il ruolo fondamentale del mercato del cuoio e della pelle conciata, che conosce una crescita intermittente ma costante nel corso del tempo, e che evidentemente prescinde dal tipo di relazioni che i paesani intrattenevano.
Viceversa un’attività molto antica e radicata nel paese di Scarperia, la fabbricazione di coltelli a serramanico, decade a partire dall’Unità. Questo avviene per una serie di vincoli esterni al paese: concorrenza di altri distretti dove si meccanizza un processo di fabbricazione che rimane primitivo a Scarperia; progressiva sparizione dei clienti che acquistavano i coltelli, i mezzadri; progressivo inasprimento delle norme che regolavano la forma e l’utilizzo dei “ferri taglienti” (causa spesso di sanguinose liti nelle osterie). Tuttavia anche in questo caso si viene costruendo una spiegazione dell’insuccesso partendo quasi unicamente dalle qualità morali degli abitanti i quali, si dice, sarebbero sempre stati incapaci di fidarsi gli uni degli altri, e propensi invece a farsi una concorrenza spietata e sleale. E questo nonostante che anche a Scarperia uno spirito di collaborazione si fosse manifestato più volte, ma senza successo, per poi essere dimenticato.
Queste memorie collettive (che erano anche bilanci della storia dei due paesi) sono interessanti non perché siano vere, ma perché ci fanno capire come realmente le due comunità affrontarono i loro problemi. Incapaci di valutare il peso e l’importanza dei vincoli esterni si basarono su un giudizio interno alla comunità, cioè sull’affidabilità dei loro rapporti di lavoro e d’impresa. Questo ebbe effetti pratici, ma di tipo opposto: a Santa Croce il racconto della fiducia ben riposta aiutò a fidarsi e a prosperare, mentre a Scarperia il racconto della fiducia tradita portò al fallimento anche di tentativi coraggiosi e intelligenti, che avrebbero potuto invertire il trend negativo, almeno in parte.
Questo tipo di memoria collettiva aiuta chi oggi voglia comprendere le vicende economiche dei due paesi, dove la scarsa alfabetizzazione rendeva difficilissimo riconoscere vincoli esterni e rendeva possibile solo riconoscere gli effetti delle interazioni tra paesani, positive o negative.
La memoria condivisa, con questi limiti, appare come la sola risorsa di chi doveva scegliere. E’ un fatto che ci aiuta a comprendere il vero contesto sociale e culturale all’interno del quale si prosperò o si visse una crisi assai dura.
Vorrei poi dire che a mio parere non ci sono oggi motivi per limitare la registrazione delle nostre interviste al solo audio, vista la disponibilità di ottimi dispositivi in grado di registrare anche in video. La videoregistrazione riesce infatti a mostrare il luogo dove l’intervista avviene; la mimica del volto di chi parla, che talvolta rafforza ma può anche smentire quanto si viene dicendo; i gesti del lavoro artigiano e contadino; i commenti dei testimoni di fronte a fotografie e video, ma anche i disegni che possono essere eseguiti per descrivere in modo più esatto quanto si viene raccontando: luoghi, percorsi tra luoghi diversi, operazioni lavorative che non possono essere mostrate direttamente ma solo narrate e descritte.
Termino dicendo che quanto ho appena scritto si fonda sulla mia particolare esperienza di ricerca, anche se altri studiosi hanno rilevato procedimenti simili nel formarsi della memoria individuale e collettiva. Ma non si deve dimenticare che se, come si è detto, ogni intervista richiede un’ermeneutica particolare per chi voglia decifrarla, così ogni storico che utilizzi la fonte orale mette in gioco la sua soggettività nel confronto con la soggettività del testimone che intervista.
La stessa persona, per questo, fornirà una narrazione diversa a seconda di chi la intervisti.