Curare gli animali

Le origini della veterinaria

di Rossano Pazzagli

1.     Bestie per l’agricoltura e per la guerra

Fu essenzialmente tra ‘700 e ‘800 che la medicina degli animali da arte empirica venne trasformandosi in scienza veterinaria, con la progressiva definizione di un profilo professionale nuovo – quello del veterinario – formato in apposite scuole che, ufficialmente istituite, contribuiscono al processo di standardizzazione e omogeneizzazione delle conoscenze. Questo percorso richiese, tuttavia, un arco temporale abbastanza lungo, compiendosi definitivamente solo nel corso del secolo XIX, quando la disciplina veterinaria cominciò a muovere i primi passi in Italia.

Un ruolo importante, per lo sviluppo dell’interesse verso la salute degli animali, fu giocato dalle grandi epidemie che imperversarono in tutta Europa dal XV al XVIII secolo. Le epizoozie, che spesso accompagnavano le epidemie di peste, colpivano duramente il patrimonio zootecnico e alimentavano il sospetto della trasmissione all’uomo. Oltre che su motivi di ordine sanitario, la salvaguardia del patrimonio zootecnico si basava su ragioni economiche e militari: da un lato la necessità di uno sviluppo dell’allevamento, specialmente bovino, in funzione dell’agricoltura e dell’alimentazione, in particolare sospinto dall’incremento demografico e dal nuovo ruolo riconosciuto all’allevamento nei processi di rivoluzione agraria; dall’altro la necessità, da parte degli Stati, di eserciti sempre più efficienti ed equipaggiati in quella che è stata chiamata “l’età degli eserciti permanenti”, in particolare in relazione ai mutamenti che soprattutto nel ‘700 riguardarono la cavalleria, con la necessità di disporre di un corpo specializzato addetto alla cura del parco animale.
La maggior parte delle prime scuole veterinarie fu fondata proprio sulla base delle esigenze militari di accudire i cavalli degli eserciti, anche se non mancano casi in cui l’insegnamento veterinario venne istituito con l’intento di studiare le malattie e le epidemie del bestiame per aiutare il commercio e migliorare l’economia. Animali da lavoro (agricoltura e trasporti), animali da macello, animali da guerra: su questi tre ordini di motivazioni si fondavano le prime risposte istituzionali alla necessità di curare il bestiame.

2.     I maniscalchi e le prime scuole
 
Prima dei veterinari, per lungo tempo la cura degli animali fu esercitata dai maniscalchi. Il maniscalco (che significativamente veniva chiamato anche mulomedico) apprendeva il mestiere per tradizione orale e su base pratica, anche se non mancavano, già nel medioevo, opere canoniche come l'Artis veterinariae di Publio Renato Vegezio (450-510 d.C.), che fu il primo libro di veterinaria ad essere stampato nel ‘500 (Basilea, 1528 e 1554, Venezia, 1563), il Liber marescalciae di Lorenzo Rusio di Roma (1288-1347), il Mariscalcia dei cavalli del calabrese Giordano Ruffo, maniscalco egli stesso.

 Al maniscalco, che aveva il compito specifico della ferratura delle bestie, si aggiungeva il frenaduro, a cui competeva l’allestimento dei morsi dei cavalli. Queste figure professionali non si limitarono mai alla ferratura e alla preparazione dei morsi, ma tesero ad occuparsi spesso anche della cura delle bestie e di alcune pratiche chirurgiche, come la castrazione degli animali. In età moderna questa competenza allargata diventa sempre più evidente, fino a portare la veterinaria nell’orbita della medicina. 

Proprio alla formazione di maniscalchi si rivolsero dunque, in via prioritaria, le prime esperienze di istruzione veterinaria che furono avviate in Europa a partire dalla seconda metà del ‘700: nel 1761 Claude Bourgelat, un avvocato a cui D’Alembert aveva affidato la compilazione delle voci sul cavallo per l’Encyclopedie, fondava a Lione la prima scuola veterinaria e quattro anni dopo apriva, sempre in Francia, la seconda: quella di Alfort. Sul finire del XVIII secolo in tutta Europa si cercava di trarre profitto dall'esperienza pilota delle scuole veterinarie francesi, utilizzando spesso i loro allievi come docenti nelle diverse realtà regionali. Così fu anche in vari Stati italiani con la prima scuola veterinaria avviata in Piemonte nel 1769, alla Venaria presso Torino. Nella Repubblica di Venezia venne istituito nel 1773 un Collegio Zoojatrico, mentre dal 1790 cominciarono le lezioni in una scuola di veterinaria a Milano che diventerà poi Istituto Veterinario. Durante la dominazione napoleonica, nel 1807‑1808, l'istituto milanese venne riorganizzato sotto forma di collegio e ad esso furono riunite le altre scuole veterinarie esistenti nel Regno d'Italia: Padova, Ferrara e Modena, tutte nate sul finire del ‘700. Dopo il 1834 l'Istituto veterinario, pur restando a Milano, entrerà a far parte dell'Univer­sità di Pavia con il compito di formare quattro categorie di individui: dottori in veterinaria, veterinari equini, ferratori o maniscalchi e, dal 1843, veterinari comunali. Anche nell’Università di Bologna, intanto, era stata istituita nel 1783 unalettura di veterinaria.

 

1.     Il veterinario, una nuova professione

 

In Toscana non c’erano, invece, veri e propri corsi o insegnamenti di veterinaria, se si escludono la cattedra di zoologia e anatomia comparata nel Museo di Fisica e Storia naturale di Firenze e il tentativo di istituire una condotta veterinaria da parte del Comune di Pisa. Fu soprattutto il susseguirsi di epidemie bovine a far emergere il problema della carenza di personale specializzato per curare il bestiame, in particolare i bovini, che rivestivano un ruolo importante nell’economia poderale della mezzadria. Ma nella Toscana dei primi dell’800 erano ancora i maniscalchi che si impegnavano nella cura empirica degli animali.

L’insegnamento veterinario fece la sua comparsa verso la metà dell’800 nell’ambito dello sviluppo dell’istruzione agraria. Nelle scuole agrarie fondate da Cosimo Ridolfi prima a Meleto Val d’Elsa (1834) e poi a Pisa (1840: Istituto Agrario Pisano, primo nucleo della futura Facoltà di Agraria) la veterinaria era una materia chiaramente presente nei piani di insegnamento. Intanto, nel 1839 una cattedra di veterinaria venne istituita nell’ambito della Facoltà di Medicina, da cui verrà staccata nel 1859 per essere aggregata alla Facoltà di Scienze.

L’inserimento della veterinaria nell’ordinamento e nei programmo delle nuove scuole agrarie, sorte specialmente tra gli anni ’30 e ’40 in vari stati italiani (Ferrara, Sandigliano, Milano, Vicenza, Pesaro, ecc.) emerge come un fenomeno abbastanza generalizzato, per poi diventare, dopo l’Unità d’Italia, oggetto delle politiche pubbliche dello Stato. il veterinario aveva conquistato una precisa identità professionale. Non si trattava più di un’arte tramandata di padre in figlio per mezzo dell’esperienza, ma di una professione costruita nelle scuole e codificata sul piano normativo, fino al sorgere di scuole specialistiche e alla comparsa di forme di istituzionalizzazione della professione, come l'istituzione del veterinario provinciale e comunale (1888), dei veterinari di confine e di porto. Alla fine dell'800 l'incertezza su chi doveva curare gli animali era ormai superata ed una nuova professione si era affermata.

 

Nota bibliografica

G.B. ERCOLANI, Ricerche storico-analitiche sugli scrittori di veterinaria, Torino, Ferrero e Franco, 1851 

G. COCCONI, A. LEMOIGNE, Sullo stato dell’istruzione veterinaria in Italia nel 1861, Parma, 1861

L. SPERANZA, Agronomi e veterinari: azione collettiva e struttura del mercato, in Le libere professioni in Italia, a cura di W. Tousijn, Bologna, Il Mulino, 1987

Atti del III  convegno nazionale di storia della medicina veterinaria, a cura di A. Veggetti, Brescia, Fondazione iniziative zooprofilattiche e zootecniche, 2001

R. PAZZAGLI, Vecchie e nuove professioni: maniscalchi e veterinari tra età moderna e contemporanea, “Ricerche storiche”,  XXXVI, 2006, n. 2, pp. 219-236.