In difesa di una storia del turismo


di Annunziata Berrino

In queste settimane di tarda primavera e inizio estate del 2022 il turismo ha ripreso la sua corsa dopo due lunghi e difficili anni di pausa, causata dal Covid-19. Si parla di effetto rimbalzo, di over tourism, di numero chiuso, di questioni balneari e di tanto altro.

Il turismo: un fenomeno complesso della modernità occidentale, sintesi puntuale e talvolta anticipatrice di pratiche, modelli, mode, tendenze; un fenomeno di cui ciascuno di noi si sente legittimato a parlare, così come si può parlare di che tempo farà, dell’amore, di internet… esprimendo giudizi in cui turismo di massa, turismo mordi e fuggi, turismo buono e cattivo sono denominazioni e classificazioni gettate lì.

Giudicare il turismo è un esercizio che in Italia è nato assieme al turismo stesso; è un esercizio che appassiona e nel quale il pensiero è così corto da non lasciar vedere che giudicare il turismo è giudicare se stessi.

Il turismo siamo noi, verrebbe di sintetizzare.

Eh già, la storia di questo fenomeno, che a breve compirà due secoli e che ha visto la luce in Europa e, tra gli altri luoghi, nella Penisola italiana, spiega a chiare lettere che guardare al turismo significa non solo guardarsi allo specchio, ma guardarsi a uno specchio che riflette di noi anche l’invisibile: i desideri, gli immaginari, i bisogni, le ansie, le speranze. Può dunque essere prudente evitare di giudicare.

Sono tanti i caratteri forti che segnano la narrazione, veri e propri stereotipi difficili da mettere in discussione persino negli ambienti scientifici. Per citarne qualcuno: interpretare il Grand Tour a proprio piacimento, come una facies nobile del più commerciale turismo e stirandola fino alle soglie del Novecento, laddove nessun viaggiatore, a partire dal Settecento, si sarebbe mai sognato di definirsi grand tourista; parlare di spa come di un acronimo latino, senza valutare altre provenienze e radici del lemma; guardare con strabismo al solo fastoso termalismo di belle époque, quando il fenomeno era a un passo dall’agonia, senza guardare al grande straordinario fenomeno delle località di acque e bagni di primo Ottocento, che tanto ha contribuito a costruire un’identità europea; fare partire il turismo da Thomas Cook, senza chiedersi cosa ci fosse prima e ignorando il precedente, altrettanto straordinario, fenomeno del viaggio da diporto dei traveller, che consacrò l’Italia alla bellezza e alla cultura; esaltare il primato mondiale del turismo italiano del 1970, guardando ai numeri e chiudendo gli occhi sulla realtà dei territori turistici del Paese; infine, per arrivare all’attualità, evitare accuratamente di parlare di governo del turismo.

Dunque, due secoli di narrazione che producono una comunicazione falsata, che alimentano di banalità i discorsi politici, che trasmettono in ambito educativo una storia vuota. Basta vedere come viene spiegato e divulgato l’eccezionale fenomeno del sito Unesco di Alberobello.

Ecco, la storia del turismo fa i conti con tutto questo, mentre la pratica turistica, nel suo vitale bisogno di storie e narrazioni, si ritrova a mani vuote, costretta ad attingere e riproporre stereotipi banali che non fanno pensare e crescere nessuno, né i turisti, né le comunità che ospitano i turisti.

È un gap che produce una perdita secca di economia, che potrebbe invece giovarsi di interpretazioni aggiornate e coerenti. La pratica turistica è uno spazio potente di formazione e di educazione, utilizzata da sempre per diffondere e omologare i consumi, per uniformare i comportamenti, per veicolare e rafforzare identità collettive. La stessa forza e resistenza degli stereotipi a cui abbiamo accennato, ne è la prova.

La storia del turismo cerca dunque di ricostruire e interpretare un carattere di quell’Occidente moderno, che oggi è al centro di tante riflessioni. 
Seguire l’evoluzione delle pratiche da una parte e delle vicende delle comunità e dei territori che hanno partecipato all’organizzazione dei servizi al turismo, aiuta a capire quanto sia importante risalire ai caratteri sociali del tempo, e quanto lo sia fino a oggi e come tale conoscenza debba essere alla base di governo e politica del turismo.