Viaggiare?
di Marco Giovagnoli
Agli inizi degli anni Ottanta del Novecento, in quello che sarà il suo ultimo lavoro (incompiuto a causa della sua morte), Italo Calvino fa riflettere il suo protagonista senza nome sulle motivazioni del viaggio. Siamo nel racconto che dà il titolo al libro, Sotto il sole giaguaro, dedicato al gusto (il libro era un progetto sui cinque sensi, che si è fermato all’odorato e all’udito, oltre a quello del racconto in questione), in un Messico lussureggiante di stimoli e di luoghi da conoscere. Ma è proprio su questo che si appunta il pensiero di uno dei due viaggiatori – l’altra è la sua compagna di viaggio e di assaggi, Olivia – sulla ratio, oggi, di spostarsi per vedere luoghi che “senza muoverti dalla tua poltrona” si possono conoscere con la televisione (e non eravamo ancora nell’era social). L’unico, valido motivo per il Nostro è spostarsi per assaggiare (“inghiottire il paese visitato, nella sua fauna e flora e nella sua cultura”, con una sfumatura antropofaga che si capirà bene nel prosieguo del racconto) il cibo, nella sua immensa ed irreplicabile diversità e pregnanza di significati (non vale andare in quelli che oggi noi chiamiamo ‘ristoranti etnici’ sotto casa, perché, dice il narratore, falsano talmente tanto la realtà che “equivalgono non a un documentario ma una ricostruzione ambientale filmata in uno studio cinematografico”). Quell’inghiottire un luogo ci sembra avere una valenza ‘positiva’, di completa immedesimazione simbolica e dunque preziosa. Ci sembra anche di poter dire che nulla in Calvino si riferisce agli effetti nefasti dell’esperienza di viaggio, quelli socio-ambientali, per i quali, anche, potrebbe essere speso il medesimo termine, ‘inghiottire’, riferito ai territori e alla motivazione oggi più in evidenza del viaggio, quella turistica.
Quando Marco D’Eramo riprende in un capitolo del suo Il selfie del mondo il tema del viaggio enogastronomico, pur non citando mai il Calvino di Sotto il sole giaguaro ne riecheggia alcuni temi, a partire dall’idea che – al di là dell’interazione puramente visiva – quello dell’assaggiare i cibi (“l’unica interazione […] che si fa carne, consistenza, pastosità”) diventa forse la principale maniera per ‘degustare’ una cultura.
Ma come Calvino si interrogava sulla motivazione del viaggio nell’era catodica, qui ci si interroga sul suo senso nell’era dello spostamento di massa, finalmente alla portata di tutti – di tutti quelli con un documento in mano e un portafogli accettabile – proprio per il fatto di trovarci nell’era della rivoluzione mobiletica.
Il fatto che il coltissimo saggio di D’Eramo abbia richiesto al suo estensore un lunghissimo tempo di realizzazione, ne determina anche un curioso andamento ondivago (che l’autore dichiara apertamente in conclusione) che lo traghetta dall’iniziale fortissima insofferenza per l’universo concentrazionario turistico nell’epoca dello spostamento di massa, quando finalmente lo spostarsi per turismo diviene democratico proprio perché alla portata di tutti, al finale mea culpa per il peccato di elitismo nell’aver riproposto, nel criticare la follia del turismo massificato, una sorta di nostalgia per i bei tempi andati, quando a svagarsi in giro per il mondo erano solo quelli, i pochi, che se lo potevano permettere e ne facevano (nella famosa interpretazione di Pierre Bourdieu) un elemento di distinzione.
Insomma, l’epoca del viaggio universale, compulsivo, massificato fa male all’ambiente e alle società (come non pensare alle recentissime ‘rivolte’ nelle località turistiche spagnole come le isole Canarie o Barcellona – che pure tanto devono all’interesse turistico – con manifestazioni di piazza, insulti e spuzzi di pistole ad acqua contro i turisti?) ma, dice D’Eramo, in questa visione “i turisti sono sempre gli altri” reintroducendo, in questo modo, una visione classista dello spostarsi, riservato a pochi (tra i quali quelli ostili al turismo di massa, che soli apprezzano la ‘qualità’ dell’atto turistico) e guardando con malcelata pietà ed evidente intolleranza la restante brulicante massa umana in movimento. Dice D’Eramo: “Solo a poco a poco è montata [nella scrittura del saggio] l’insofferenza, irritazione verso i sottintesi classisti, a volte francamente reazionari, che serpeggiano nelle critiche più radicali, più di sinistra, più anticapitaliste”.
Viaggiare o non viaggiare, dunque? Il dilemma quasi shakespeariano è di difficile se non impossibile (inutile?) soluzione. Spostarsi è sempre stato un qualcosa di connaturato al genere umano anzi, verrebbe da dire, la causa stessa del suo successo come specie sul pianeta. Lo si è fatto per necessità, per calcolo economico, per scienza o cultura ma anche per curiosità; oggi lo si fa sempre più per divertimento, con accesso, tempistiche e raggio di movimento una volta impensabili.
Lo fa anche Milordo, il protagonista immaginario del viaggio sulle orme del Gran Tour di Goethe in Italia, 100 anni dopo, nel 2786.
Il lettore di Viaggio nell’Italia dell’Antropocene, di Telmo Pievani e Mauro Varotto, si trova spiazzato tra un racconto consueto – un viaggio organizzato di un turista nordeuropeo alla scoperta delle bellezze del giardino del Mediterraneo – e un mondo che via via si disvela al turista, che evidentemente già lo vive, e al lettore odierno, che invece si trova di fronte all’effetto spiazzante di un Paese semisommerso dall’acqua, con città sott’acqua (ma visitabili!), o arretrate verso le terre ancora emerse, una vita sotterranea e notturna a causa del calore insopportabile, paesaggi tropicali e/o desertici, vie di comunicazione sopraelevate o subacquee, terra bruciata, palazzi e monumenti famosi issati su piattaforme sopra l’acqua e ‘imbalsamati’ contro le impervie condizioni ambientali, ma comunque ‘oggetto del desiderio’ del viaggiatore.
Nel mondo del global warming si viaggia ancora, osservando in parte gli esiti che l’epoca degli spostamenti compulsivi ha anche determinato. Alzando l’asticella dell’orrore sopra il livello della nuova consuetudine: si mangiano meduse fritte, il mare lo si gode da dietro un vetro dei mezzi di trasporto e le Pompei si sono moltiplicate. Viaggiare, spostarsi, una attitudine che accompagna l’umanità da sempre e, come nel lavoro distopico di Pievani e Varotto, la accompagnerà anche nel futuro, qualunque esso sia.
Abbiamo citato:
Calvino I., Sotto il sole giaguaro, Mondadori, Mi, ed. 2009
D’Eramo M., Il selfie del mondo, Feltrinelli, Mi ed. 2019
Pievani T., Varotto M., Viaggio nell’Italia dell’Antropocene, Aboca, Ar 2021
ed evocato:
Bourdieu P., La distinzione, Il Mulino, Bo ed. 2001