Stato di natura e matriarcato animale

di Patrizia Lessi

Ci dice Aristotele nella Politica, ben otto libri dedicati nel IV secolo a.C. all’amministrazione della Polis, che a scomporre l’intera società in parti sempre più piccole si arriva al suo nucleo fondante e non ulteriormente divisibile, vale a dire la famiglia. Per Aristotele è impensabile andare oltre nell’analisi di ciò che costituisce il vivere dell’umanità sulla Terra. Non ha senso parlare di uomo e donna come entità distinte. È la famiglia la cellula primigenia di ogni società (o meglio, di quella greca, che per Aristotele equivaleva a dire di tutte le altre conosciute e non). Una cellula organizzata secondo una rigorosa gerarchia alla cui base stanno animali e schiavi, sopra i figli dei padroni di casa, seguiti dalla donna fin tanto che il figlio maschio è piccolo e ha bisogno delle cure materne, perché fattosi autonomo e capace di ragionare può salire al vertice occupato da chi comanda, il padre.
 
Si penserà che non ci sia nulla di così originale nella teoria del grande filosofo, se non fosse per la scelta di corroborarla con quelle che oggi definiremmo prove scientifiche. Occorre infatti scorrere le pagine di un altro testo aristotelico, Sulla generazione degli animali, per comprendere il perché la gerarchia familiare sopra descritta sia giusta in quanto stabilita in natura: a distinguere il maschio dalla femmina non sono soltanto i connotati sessuali (genitali, mammelle) ma il fatto che quest’ultima abbia un organo interno mobile che se non chiamato a compiere il proprio dovere può autonomamente spostarsi dentro al corpo creando problemi. L’utero, il problematico organo femminile, viaggiando può infatti colpire gli altri organi creando scompensi fisici ed emotivi alla femmina di qualsiasi specie.
Questo è il motivo principale per cui la donna non può governare la famiglia, dunque l’insieme delle famiglie che creano la società. La mobilità dell’utero la rende instabile, non sempre padrona di sé, isterica. Non lo dicono la filosofia, né la cultura, ma la natura, universale e impermeabile al mutare delle leggi e dei costumi umani. Per richiamare l’utero nella locazione opportuna si prescriverà, basandosi sugli scritti di Aristotele, il contatto diretto e continuativo col fallo maschile, l’unico strumento in grado di trattenerlo e di fargli adempiere un compito che non vorrebbe, la fecondazione.
Dal momento in cui questa avviene i mesi della maternitá sono il teatro di guerra fra il principio maschile che lotta per venire al mondo e quello femminile che desidera solo il piacere. Se prevale il primo dopo nove mesi nascerà un bambino; in caso contrario verrà al mondo una femmina, un essere umano con le capacità razionali non del tutto complete.
Di quanto letto fino ad ora si potrebbe sorridere. Eppure, queste pagine e le speculazioni che successivamente sono state fatte su di esse costituiscono il vulnus del nostro credere che una condizione sociale sia giusta e non modificabile perché voluta così dalla natura. È in questa relazione stretta fra l’origine naturale di un fatto culturale e la costituzione di una società che va messo a fuoco uno dei fondamenti dela teoria (e della pratica) del Patriarcato. Poiché il tema del mese è però il mondo animale può essere interessante osservare che la Natura fa un po’ come le pare e sull’organizzazione sociale è alquanto variabile e poco propensa al modello unico.

Esistono infatti realtà matriarcali in cui è la femmina dominante a guidare il proprio gruppo.
Vale a dire che non ci sono solo l’Ape Regina e il povero Fuco spesso citati più per compiangere il secondo che per analizzare la struttura matriarcale delle femmine. Dai dati del WWF, delle circa 80 specie animali con un’organizzazione sociale complessa esiste una percentuale, seppur non elevata, di organizzazioni matriarcali trasversali alle specie. Non solo api e formiche, dunque, ma anche mammiferi e roditori.
Ci sono ad esempio gli elefanti africani e asiatici. A ricoprire il ruolo di leader è la femmina più anziana. È lei a decidere dove e quando spostarsi per cercare cibo e acqua o quale strategia usare per sfuggire ai predatori. Le mandrie di elefanti sono composte principalmente da femmine adulte che sono tutte imparentate e si aiutano a vicenda ad allevare i cuccioli. E gli elefanti maschi? Essendo più grandi e forti delle femmine possono procacciarsi e difendersi da soli. Per questo motivo i giovani maschi o stanno per conto loro o si aggregano in piccoli gruppi attorno a un maschio anziano che li prepari alla vita in autonomia. L’accoppiamento avviene solo se la leader della comunità dà il suo assenso.
Anche le iene maculate hanno una leader a guidarle. Le decisioni riguardanti il gruppo vengono prese dalle femmine. I maschi sono collocati alla base di questa gerarchia sociale, vale a dire in fondo, e selezionati in base alle qualità fisiche per la difesa e l’accoppiamento.
È una femmina a stabilire quando il gruppo dei lemuri deve mangiare, dormire, viaggiare o combattere contro altri gruppi. Essendo il diritto di governare trasmesso per via matriarcale sono le femmine a dominare sui maschi della loro specie.
Nei suricati la femmina dominante sceglie dove far scavare le tane e discute con le leader degli altri gruppi su come spartire il territorio.
Per concludere questa breve carrellata fatta di alcuni esempi vale la pena rammentare che il leone è sì il “Re della foresta” ma non del proprio branco dove vige il matriarcato e i branchi sono per lo più composti da femmine imparentate fra loro che vanno a caccia mentre il maschio rimane a controllare prole e branco.
Gli elefanti, i lemuri o i leoni non devono essere semplicemente interpretati come i protagonisti di narrazioni aneddotiche sulla stranezza della natura. La natura non è strana, sembra semplicemente così a noi.
Quella che dobbiamo cominciare a smantellare prima ancora di parlare di Matriarcato e Patriarcato è l’errata convinzione che certe regole non possano essere messe in discussione perché attribuite a un primigenio ordine naturale fatto a immagine e somiglianza di quello culturale.
Lo notò molto bene il filosofo inglese Thomas Hobbes che nel 1600 scrisse riguardo l’idea che la cellula primaria per natura della società fosse la famiglia. Hobbes notò saggiamente che del cosiddetto stato di natura in cui possono aver vissuto gli esseri umani noi non sappiamo niente. Possiamo solo supporre che l’uomo e la donna si siano trovati ad affrontare la Natura e i suoi pericoli completamente da soli e che nella relazione degli gli uni con le altre abbiano trovato una prima chiave della sopravvivenza della specie. Cosa poi è venuto dopo è storia della nostra cultura. E la cultura cambia, cambiano le leggi e i valori. Non si tratta banalmente di stabilire cosa sia meglio fra Matriarcato o Patriarcato. Il passo è più importante e faticoso, ma vale la pena provare a farlo.