“SPAZIO ai giovani!”: si tratta dell’espressione più usata delle generazioni adulte, specie quelle ricche e benestanti, nel loro ingannevole lasciar intendere il poter retrocedere di qualche passo dalle proprie posizioni, per dare qualche piccolo e sorvegliato ruolo alla generazione più giovane.
Basta scrivere l’espressione “spazio ai giovani” su qualche motore di ricerca, per registrare la sua esponenziale potenzialità di indicizzazione sulla rete, in campi più diversi. Ma qual è nella realtà lo spazio che le generazioni adulte riservano ai giovani?
Nell’ambito politico lasciamo perdere. Lì ci sono ruoli solo per quelli che accettano di farsi addomesticare. In un’Italia che sta attraversando la fine della democrazia, il criterio fondante delle oligarchie dei partiti è esclusivamente, e non da ora, quello della fedeltà.
Nel mondo del lavoro e dell’università, non sembra che la situazione sia migliore. Se volessimo guardare alla regione dove abito, le Marche, tra il 2020 e il 2021 oltre sedicimila under 35 se ne sono andati a vivere stabilmente all’estero o in altre realtà italiane. In una terra di poco meno di un milione a mezzo di abitanti, più dell’1% della popolazione è migrato altrove; è come se fosse sparita d’improvviso una città grande come Porto San Giorgio, senza che se ne accorgesse o curasse qualcuno. Quando, al contrario, questo è un dato per cui le cosiddette classi dirigenti regionali non dovrebbero prender sonno la notte.
Quali spazi rimangono liberi per la Generazione Z? Quello della strada e, collegato a questa, gli ambienti delle Questure o dei Commissariati.
La strada è tornato ad essere lo spazio della radicalità, oggi più che mai legata al tema della giustizia sociale e climatica.
In Italia, espressione della Rete internazionale A22, è il collettivo Ultima Generazione, che con la pratica della disobbedienza civile nonviolenta, da quasi due anni blocca le strade, colora con sostanze lavabili i palazzi del potere politico ed economico, i monumenti, i vetri protettivi di opere d’arte. Facendo al governo richieste molto concrete, ma inevase proprio perché lontane dalla bolla della politica: un Fondo Riparazione di 20 miliardi di euro, da prevedere annualmente nel bilancio dello Stato per i cittadini che verranno sempre di più colpiti dagli eventi metereologici estremi.
La strada, occupata temporalmente per il blocco stradale è, paradossalmente, nella violazione di norme, lo spazio in cui si genera una primordiale e nuova forma di pratica democratica. Ed è lì che ogni volta vive il conflitto generazionale.
Ma basta vedere qualche video che documenta le loro azioni nonviolente, per verificare che la volontà dell’apertura di una dialettica, è sopraffatta immediatamente dalla ferocia. Il più delle volte verbale, ma spesso anche fisica (sputi, calci, spintoni, musi delle macchine a meno di un palmo dal corpo) di automobilisti adulti, imbelviti dal doversi fermare per un quarto d’ora (è il tempo medio che passa tra l’inizio di un blocco stradale e l’arrivo della polizia che rimuove gli attivisti), e che si improvvisano esecutori “fai da te” dell’ordine pubblico.
Probabilmente è il tema, quello della giustizia sociale e climatica, ad aumentare esponenzialmente la rabbia dell’adulto: perché la denuncia degli attivisti mette a nudo la colpa imperdonabile delle generazioni più mature. L’aver spremuto talmente in nome del profitto e del benessere personale il pianeta, da condannare i propri figli e nipoti a vivere da qui a pochi anni in una Terra che sarà per gran parte inospitale per il genere umano.
Due generazioni di adulti per le quali questa, oltre che una colpa imperdonabile, rappresenta una dichiarazione completa di fallimento. Una riproduzione in chiave contemporanea dell’antico mito di Re Crono che, spaventato dallo spodestamento generazionale e della morte, divora i propri figli.
La reazione della Generazione X e di quella dei Baby Boomers, incapaci e ancor prima disinteressati ad agire nel provare a contrastare gli effetti della catastrofe climatica, è quella più classica: la repressione.
Questa sposta i giovani dallo spazio della strada, a quello del Commissariato o della Questura cittadina. In cui, prima di essere rilasciati con i verbali delle denunce ed in attesa dell’inizio dei processi, trascorrono anche più di otto ore.
Dopo lo stigma dai salotti e dalle redazioni del main stream, la repressione è il solo strumento che queste generazioni adulte sanno usare, tanto da raffinarne anche gli strumenti legislativi e penali.
Facendo, nel caso dell’Italia, lavorare il Parlamento per approvare nuovi provvedimenti punitivi ad hoc per i movimenti della giustizia sociale e climatica. Ma rispetto ad altre aree geografiche del pianeta, alla Generazione Z italiana va anche “grassa”, come si dice. Ci sono Paesi dove gli attivisti per il clima vengono tragicamente collocati negli spazi cimiteriali, ammazzati dai “carabineros” e dalle guardie private al soldo delle multinazionali del fossile: 177 nel 2022 secondo il rapporto dell’ONG Global Witness.